Queens of the Stone Age – In Times New Roman…

Written by Recensioni

Josh Homme e soci hanno dato priorità alla sperimentazione, esplorando le profondità più scure della loro creatività per realizzare un disco aggressivo e umano.
[ 16.06.2023 | alt rock, hard rock, art rock | Matador Records ]

Avevo sedici anni quando mi imbattei per caso nel video di No One Knows dei Queens of the Stone Age, in una sera con già la neve fuori dalla mia stanzetta. Sulla scrivania libri di scuola impilati, i fumetti di Frank Miller, romanzi di Bret Easton Ellis e Chuck Palahniuk, sull’anta dell’armadio il poster di 28 giorni dopo. Quella canzone divenne per me una vera ossessione, tanto che la imparai a memoria in pochi giorni. La ascoltavo sempre, sulla corriera per andare a scuola, durante ricreazione nel mio angoletto solitario, e nei fiacchi pomeriggi mentre fingevo di studiare matematica.

Sono passati più di vent’anni e la mia vita è cambiata decisamente in meglio, ma, quando capita di sentire quel pezzo, torno sempre con la mente a quel periodo. E, dopo vent’anni, eccomi qui a parlare ancora della band californiana e del suo nuovo lavoro, che ha ridestato ricordi ormai immortalati nella mia mente.

In Times New Roman… è un album familiare, denso, graffiante. Un album che racchiude molti degli eventi personali del frontman Josh Homme intercorsi tra il 2017 (anno di uscita del precedente Villains) ed oggi. Una battaglia pubblica per la custodia dei figli dopo il divorzio, una battaglia più privata ma altrettanto dolorosa con un cancro. Tante emozioni, tante parole con cui sfogarsi.
Ed è così che è nata questa nuova fatica, buttando fuori tutto il male e la rabbia di Josh, dando vita ad uno dei dischi più personali e “di pancia” mai pubblicati dalla band.

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Con il suo solito fare da cowboy scazzato, Homme vomita bile nell’opener Obscenery, per un malessere che è conseguenza del suo recente divorzio e dell’essere sotto i riflettori per l’affido dei figli. La batteria è ipnotica e macabra, le chitarre si dispiegano in riff corposi e distortissimi. Blues marcescente e cinematografico che graffia e fa male.
L’instant classic Paper Machete è dritto e mitragliante hard rock che richiama i suoni dell’indimenticabile Rated R. Centrale è ancora il divorzio di Homme con la moglie Brody Dalle, che Josh descrive come “manipolatrice e masochista”.

Seducente, acida, scapicollata è invece la traccia uscita già alcune settimane fa come singolo, Carnavoyeur. Un brano sul senso della vita.
Josh Homme, un Elvis di un metro e novanta con i baffi ingialliti dalle troppe sigarette e la barba rossiccia screziata ormai di grigio, riflette su sé stesso, su quanto il cancro gli abbia cambiato l’esistenza, spiattellandogli in faccia che, in fin dei conti, la vita bisogna godersela giorno per giorno.
Riflessione che si allarga alle vite che non ci sono più, a quegli amici scomparsi troppo presto, con chiaro riferimento a Mark Lanegan e Taylor Hawkins (“When there’s nothing I can do / accept, enjoy the view / When there’s nothing I can do, I smile”).

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Il trittico finale è quello in cui i QOTSA sperimentano maggiormente: il blues desertico e arabeggiante di Sicily suona come lo spettro di Jim Morrison, mentre Emotion Sickness sembra una ibridazione tra il grunge degli Stone Temple Pilots e i Led Zeppelin più voraci.
E infine arriva Straight Jack Fitting, nove minuti in cui Homme e soci tirano fuori tutta la loro classe e bravura. Un brano in cui si entra in un vortice di rock lisergico, frammentato da momenti acustici e altri tiratissimi. Vi si scorgono rimandi a Space Cadet dei Kyuss (il passato torna sempre a galla) e anche a The Rain Song degli stessi Led Zeppelin.
Nel testo, la voglia di Josh di lasciarsi alle spalle gli ultimi difficili anni: “Bring on the healing / Go on and heal me”.

Il paesaggio sonoro di In Times New Roman… è incredibilmente denso e apparentemente claustrofobico, ma i cinque musicisti riescono ad elaborare un disco sfaccettato e stratificato, con una gamma di suoni psichedelici e inebrianti, distorti e gratificanti. L’ottimo lavoro di Troy Van Leeuwen alla chitarra è esaltato dal perfetto equilibrio tra la parte ritmica dirompente del batterista Jon Theodore e del basso pachidermico di Michael Shuman, determinanti nello scandire gli irrefrenabili ritmi stoner dell’album.

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La rabbia, la tensione, l’angoscia sono ciò che rende questo nuovo lavoro un album bellissimo. I QOTSA hanno dato priorità alla sperimentazione, esplorando le profondità più scure della loro creatività per realizzare un disco aggressivo e umano.
Siamo al cospetto di un lavoro imprevedibile, che sfida le convenzioni e scardina le aspettative. I Nostri sono tornati con un album che lascia il segno, che si pone come nuovo classico del rock alternativo.

E chissà cos’avrebbe detto di questo album il me sedicenne innamorato di No One Knows. Sicuramente lo avrebbe adorato, ascoltandolo all’infinito durante la ricreazione e in quegli oziosi pomeriggi dopo scuola.
In ogni caso, quanto è bello essere qui oggi dopo tanto tempo e sapere che i Queens of the Stone Age sono ancora la più grande rock band del mondo.

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Last modified: 13 Agosto 2023