Øjne – Sogno #3

Written by Recensioni

Un ritorno sulle scene che naufraga in una dolce adrenalina, nutrendosi di introspezione e raffiche emozionali.
[ 16.06.2023 | screamo, post-hardcore | To Lose La Track ]

C’è una pagina del Libro di Sabbia di Borges che mi affascina da tempo immemore e recita così: “L’unico enigma è il tempo, quell’infinita trama di ieri, oggi e domani, del sempre e del mai.”

Il tempo, così labirintico e incompreso, che ingoia e viaggia a più non posso sembra essere una parte integrante del mio rapporto con gli Øjne. E degli Øjne stessi.
Nel 2013 li scoprii su Bandcamp un po’ per caso fortuito, un po’ per suggerimento di amici, ed era appena uscito l’EP Undici/Dodici. Vivevo in una mansarda a Milano e dovevo ancora finire l’università. Il tempo vola. Sono passati dieci anni e, a furia di considerare gli Øjne una nuova leva dello screamo italiano, ne sono diventati dei pilastri d’immenso valore, da custodire e cullare da qualche parte, nel momento giusto. 

Sotto i tigli di questo decennio sono passati split vari e una chicca che già dai primi ascolti sapeva di instant classic. Era il 2017 e Prima Che Tutto Bruci arrivò in un periodo particolare della mia vita: avevano diagnosticato la demenza senile a mia nonna e il testo di Nel Migliore dei Mondi Possibili mi aiutò tantissimo. Dedicai la recensione a lei, a loro.
Ancora oggi, appena sento quegli arpeggi delicati, mi vengono i brividi. Oggi mia nonna non c’è più, eppure l’effetto cicatrizzante degli Øjne ha ancora lo stesso effetto. Forse è addirittura più potente. L’età della consapevolezza, sarà.
E, all’alba della prima calura di giugno, l’arrivo di questi 22 minuti incastonati nell’EP Sogno #3 lo attendevo con impazienza. 

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Per comprendere lo screamo degli Øjne bisogna perdersi nei suoi sfoghi frammentati. Sfoghi umani, sensibili, dove le sfuriate esasperate sono bussole da usare per orientarsi dentro fragili melodie e simmetrie eteree.
Sorrido a pensare che, per un motivo astratto (giusto le cromie in comune), la copertina mi ricorda L’oceano delle onde che restano onde per sempre dei Neil on Impression, il supergruppo post-rock di Forlì con membri di Raein e La Quiete.

Tale impressione dipenderà forse anche dalle parole di Occidente e da quel tuffarsi a strapiombo sul fondale del mare. Nelle acque più pesanti, dove avviene la magia, i colori si dilatano e si sfocia nel surrealismo alla ricerca della tiepida luce dei raggi solari, aiutati anche dallo spoken word del cantante dei Viva Belgrado (ascoltateli!) Cándido Gálvez, per un’incursione in acque spagnole. 

Sogno #3 ti lascia la sensazione di una rincorsa costante, senza fine, a recuperare un qualcosa che si è perso. Non è raro trovare nei testi della band milanese tanti oggetti evanescenti che guidano una sorta di ricerca.
Erano i coltelli in Prima Che Tutto Bruci. Qui invece ci sono i ricordi ingialliti e sbiaditi di quando ci si credeva Carlton Myers. Dei furgoni impolverati. Ville di periferia con giardini. Pianoforti. Caffè e temporali. Notti infinite. Sogni e accendini che si accumulano, racchiusi in sei pezzi che naufragano in una dolce adrenalina, nutrendosi di introspezione e raffiche emozionali, tra macigni, rimpianti e speranze future. Il tutto perso nella ciclicità transitoria del tempo.

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E anche questo capitolo discografico conferma quanto la musica degli Øjne sia una geografia mentale che trasforma nomi e luoghi come Charneca in universali, funzionali al racconto d’insieme. Perché sì, Gianluca ha uno degli scream più potenti e iconici della scena, ma detta i ritmi come un cantastorie che ha un’urgenza straripante.

Un timbro che scolpisce sogni di seconda mano, memorie intime ed escalation liberatorie, vedi Le Vite Degli Altri. Un pezzo che nei suoi cambi ritmici straborda gli argini di una sensibilità pop – nell’accezione più nobile del termine – e che mostra un range di influenze sonore per nulla scontate.
Le coordinate dello screamo si sanno, ma, con gli intrecci malinconici delle chitarre di Alessandro e Jack, gli Øjne ci mettono cuore e personalità come pochi altri. Ed è questo che li fa spiccare in Sogno #3, con una vena compositiva ispiratissima e pure asciuttissima. Saranno pure ventidue minuti, ma non si perde un millesimo di secondo.

La produzione ad opera del bassista Mario Rizzotto e il master di quel guru di Jack Shirley (Loma Prieta, Comadre, Deafheaven) forniscono infine un’ossatura robusta, penetrante e trascinante quanto i filler di Jacopo Sanna, mai banali e sempre vivi, creativi, che ti immergono nella ricorsività degli elementi di questo terzo atto.
Terzo atto in cui ritorna la città di Glasgow, onnipresente nella loro discografia. In cui, in Il Tempo Che Ho Perso, troviamo sia un riferimento all’album precedente (“prima che tutto bruciasse”) che al titolo del pezzo finale, Quando Il Sogno Si Avvera. E in cui proprio quest’ultimo pezzo ci regala una citazione riconciliante ad Ogni Primavera, brano contenuto nel primo EP della band. A fine del cammino il mosaico di “Sogno #3” pare ricomporsi in una placida illusione, invisibile.

© Arianna Carotta, Venezia Hardcore Festival
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Insomma, lo avete capito: c’è da essere orgogliosi degli Øjne. Pronti a sudare in prima fila perché l’esperienza live trascende e completa la band al 100% in un culmine emotivo e, visto quanto il tempo scorre, non perdete occasione di supportarli. In ogni caso, nel mentre pigiate il tasto repeat su Sogno #3, per vivere la vostra estate screamo preferita cantando a squarciagola “e non se ne andrà il ricordo di quei gesti coprirà i giorni migliori che ho passato con te”.

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Last modified: 13 Agosto 2023