Maggio, 2014 Archive

La Band della Settimana: Majakovich

Written by Novità

Majakovich è un trio. Majakovich non sa bene l’inglese ma si adopererà per impararlo. Majakovich non sa fotografare e non credo voglia impararlo. Majakovich tende al partenopeo perchè convinto dell’assoluta potenza della Napulè’essong! Tre majakovich su tre sanno cucinare. Un majakovich su tre non ti crederà mai. Due majakovich su tre pure. Un majakovich su tre è irrimediabilmente bello. Tre majakovich su tre sono amanti di donne altrui. Majakovich è squisitamente eterosessuale. Majakovich è campione mondiale 2007 di tiro alla fune. Majakovich è pizza, mafia e mandolino. Majakovich è assolutamente majakovich.

Majakovich viene da esperienze precedenti. Nasce poco oltre la metà esatta del 2006. Il 20 dicembre 2010 esce Man Is a Political Animal by Nature. Disco di sette tracce registrate al “Blocco A studio” da Giulio Ragno Favero. Dal dicembre 2010 al dicembre 2011 Majakovich suona un bel pò ovunque. Nell’ottobre 2011 Majakovich parte per un viaggio negli Stati Uniti lungo la Route 66 con gli Afterhours e apre il loro show all’Echoplex di Los Angeles. Tornati in Italia, nel dicembre 2011 suonano all’Alcatraz di Milano in apertura agli stessi Afterhours. Nel marzo 2012 esce Meet Some Freaks on Route 66, disco registrato durante il viaggio negli Stati Uniti, in cui suonano “Dolphins” di Fred Neil insieme agli Afterhours. Nel 2012 apre gli show di Afterhours, The Zen Circus, Bud Spencer Blues Explosion.” Da pochissimo è uscito il loro nuovo album intitolato ironicamente Il Primo Disco Era Meglio e sono loro la nostra nuova Band della Settimana!

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I TARM festeggiano vent’anni di attività con “Per Principianti tour!”

Written by Senza categoria

Si intitola “Per Principianti”, il titolo del tour estivo 2014 dei Tre Allegri Ragazzi Morti, che celebrano i loro vent’anni di attività. Prima data il 6 giugno 2014 a Milano. “Per principianti”, ricorda i famosi volumi giallo fluorescente “For Dummies” che affollano le nostre librerie dopo averci insegnato qualsiasi cosa: usare un iPod, parlare cinese, riconoscere le razze dei gatti e tutto il resto dello scibile umano… L’idea è quella di proporre dal vivo a chi si avvicina solo ora al trio mascherato di Pordenone una panoramica antologica completa, simile ad un greatest hits, per insegnare a tutti come si fa ad essere un allegro ragazzo morto!

Ecco le prime date del tour:

06 giugno Segrate (MI) – Miami Festival
14 giugno Trieste – Etnoblog Estivo
19 giugno Ancona – Gulliverock
20 giugno Porto Sant’Elpidio (FM) – Aspettando Bandiera Blu
23 giugno Sansepolcro (AR) – School Night
27 giugno Saronno (VA) – Bandzilla Festival
28 giugno Foresto Sparso (BG) – Forest Summer Fest
01 luglio Bologna – Bolognetti Rocks
16 luglio Parabiago (MI) – Rugby Sound Festival
19 luglio Azzano X (PN) – Fiera della Musica
23 luglio Torino – TBA
24 luglio Chiuppano (VI) – Isolon Festival
26 luglio Soliera (MO) – La Tempesta, l’Emilia, la Luna
31 luglio Montecosaro (MC) – Mind Festival
01 agosto Giulianova (TE) – Piazza
03 agosto Pulsano (TA) – Villanova
08 agosto Cagliari – Teatro Civico

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Beck – Morning Phase

Written by Recensioni

Immaginate per un attimo questa situazione. Un’afosa mattinata estiva, una come tante. Un risveglio tranquillo e rilassato, senza impegni di sorta, senz’alcuna fretta. Caffé bollente, nero, intenso, dall’aroma avvolgente, rigenerante. Una sigaretta d’ordinanza, magari consumata in balcone, ancora in pigiama. Avete focalizzato? Bene, a questo punto partiamo dall’assunto che il dodicesimo studio album di Beck David Campbell, Morning Phase, si configura senz’alcun dubbio come la perfetta soundtrack della circostanza sopracitata. Quarantasette minuti scanditi da serafica rilassatezza, una grandiosa opera Folk mirabilmente descritta da un ritmo interiore che fluisce lento, particolarmente rarefatto, quasi immobile ed indistinto. Un lavoro essenzialmente asciutto e minimale, privo di arzigogoli e complicazioni, frutto di una scrittura apparentemente semplice e naïf, ma che trova nell’istintiva naturalezza dell’artista californiano la sua anima vibrante, il suo fulcro primigenio e vitale. Insomma, tredici brani nudi e crudi, dal sapore squisitamente “analogico”: batteria, basso, chitarra acustica e voce, accarezzati da languidi e misurati arrangiamenti orchestrali che, inevitabilmente, sottraggono spazio vitale ai rarissimi inserti elettronici (Odelay sembra lontano anni luce ormai).

Le influenze di Morning Phase (considerato, per analogia stilistica, quasi un sequel di Sea Change) affondano le proprie radici nell’immortale percorso artistico di Neil Young (esplicitamente citato come fonte privilegiata in diverse interviste), ed a tratti nella “fase acustica” dei Pink Floyd post-Barrett. Pare che il mood dell’album sia stato dettato da una fantomatico avvicinamento a Scientology, da fastidiosi malanni fisici, delusioni amorose e chissà cos’altro. Ma, in fondo, si tratta solo di rumors. Per quanto concerne la tracklist, meritano particolar menzione brani come “Heart Is a Drum” che, invitando l’ascoltatore ad assaporare pigramente la calura estiva, si configura essenzialmente come un vero e proprio inno al perder tempo, “Say Goodbye”, il cui canto sofferto é magistralmente interpretato dal banjo di Fats Kaplin, la languida “Blue Moon” (indubbiamente uno dei migliori teaser dell’album) e la commovente closing track “Waking Light”, con la quale si torna a porre l’accento sul tema ricorrente del risveglio, come a voler concludere un ciclo, una sorta di struttura ad anello. Sembra che non dovremo attendere molto per degustare il nuovo capitolo della saga Beck. Prestando fiducia alle parole dell’artista, si tratterà di un progetto ben diverso da Morning Phase, “eclettico e vibrante di energia live”. Attendiamo quindi con ansia.

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Pierpaolo Capovilla presenta Obtorto Collo

Written by Senza categoria

Solo ieri è uscito in tutti i negozi e digital store Obtorto Collo, il disco scuro e romantico di Pierpaolo Capovilla, leader della storica formazione de Il Teatro degli Orrori.
Sempre ieri sera presso La Feltrinelli di Torino si è tenuto il secondo appuntamento di una serie di incontri con l’artista che prosegue oggi a Verona e venerdì ventinove maggio a Roma.

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The Foreign Resort – New Frontiers

Written by Recensioni

Fino a venti anni fa, in piena epoca Grunge ed Alternative Rock, orde di capelloni, depressi e disillusi in camicia di flanella e jeans strappati si accanivano ferocemente contro tutte quelle sonorità fredde e look da fighetto che rappresentano a tutto tondo quel caleidoscopico calderone denominato Post Punk o New Wave che dir si voglia. Dai primi anni Zero, grazie al successo di gruppi quali Interpol e Franz Ferdinand, è avvenuto un vero e proprio revisionismo storico nei confronti della “Nuova Onda” che ha attraversato il panorama musicale dal 1978 al 1983, regalandoci gemme che risplendono prepotenti ancora oggi nel firmamento Rock. La rivalutazione di tanto spessore e la continua citazione da parte di band emergenti sta rendendo nauseante e borioso il magnetismo oscuro di un’era artistica così estrosa, sia nei costumi e nel make-up, quanto permeata da un nichilismo e da un senso di disgregazione che ha fatto le sue vittime (Ian Curtis e  Adrian Borland su tutti).

I Foreign Resort sono un trio originario di Copenaghen, vero e proprio cuore nero d’Europa (basti pensare agli Ice Age), attivi sin dal 2009 e composto da Mikkel B. Jakobsen (chitarra e voce), Henrik Fischlein (chitarra e basso) e Morten Hansen (batteria e voce). Sfornano questo New Frontiers imbastendo un flusso sonoro carico di velata malinconia e di fantasmi mai svaniti che ormai è divenuto un cliché dal sicuro impatto sul pubblico anche se annoia brutalmente. Mikkel. voce e penna della band, strizza l’occhio a Robert Smith con quel cantato affogato e lontano per tutte e nove le tracce; musicalmente domina la ritmica funerea dei Joy Division , condita ora con elementi Synth Wave tanto cari ai Depeche Mode quanto ai Cocteau Twins, ora da sferragliate di feedback nella migliore tradizione Shoegaze (My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain).  Per quanto i riferimenti ai fasti del passato siano gloriosi, si finisce per essere risucchiati da un vortice tedioso e stucchevole; al massimo cercate un po’ di brio  nello spedito Post Punk a tinte epiche della titletrack.

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Redline Season – Invictvs

Written by Recensioni

Usiamo l’immaginazione e ipotizziamo di trovarci a camminare su un terreno paludoso disseminato da sabbie mobili, muovendoci in punta di piedi nel tentativo di prevedere le trappole. Questo è lo scenario nel quale ci sembra di piombare all’ascolto di Invictvs, seconda fatica dei Redline Season. Non sono a conoscenza della relazione tra il nome della band e il brano “Red Line Season” dei These Arms Are Snakes , ma non trovo, a dir la verità, grosse distanze stilistiche tra i due gruppi. Sicuramente i cinque modenesi avranno assaporato quanto di buono fece il combo di Seattle in ambito Noise e Post-Hardcore, magari prestando un orecchio particolare a Tail Swallower & Dove, album in cui è appunto contenuta la traccia a cui accennavo poc’anzi. Le bordate iniziali “Fallacy” e “Deaf Heaven” (probabile che nel Paradiso dei sordi ci si finisca se spariamo ad un volume troppo alto Invictvs) ci conducono tra labirinti ipnotici e sortite in ambienti i cui strilli disperati paiono provenire dalle mura di un manicomio criminale. “Black Battles”, canzone che preannunciava l’uscita del disco, è un pelo più sotto controllo, pur cibandosi di quella specie di calma apparente persistente per tutta l’opera. Il doppio capitolo “Phoenix” si presenta dapprima come il classico pezzo riflessivo composto esclusivamente dalla voce pulita accompagnata dalla chitarra acustica (“Phoenix First”), per poi sorgere come una fenice (“Phoenix Last”) con una stizza ingovernabile degna dei migliori Jesus Lizard (veri numi tutelari del Noise negli anni ‘90).

La ricerca di un sound veramente nuovo sul territorio italiano è l’obiettivo che si sono autoimposti. Sono molto vicini alla meta. Così su due piedi l’unica somiglianza che mi viene in mente è quella con gli ormai sciolti Cut Of Mica, anche se il loro rumoroso Mathcore doveva parecchio agli Shellac, meno attenzione, quindi, alla forma canzone e maggior spazio ai suoni estremi del genere, feedback di chitarra compresi. Non è il caso di rovinare la festa a nessuno perché, a conti fatti, i Redline Season ci appagano, 40 minuti della nostra vita spesi più che bene.

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Bretus

Written by Interviste

Il Doom in Italia è quasi d’élite, in pochi lo propongono in maniera decente. I Bretus sono tra i primi della classe ed abbiamo il piacere d’intervistarli venendo a conoscenza dei loro progetti futuri. Non resta che gustarsi questa interessante chiacchierata.

Ciao ragazzi, direi di cominciare l’intervista presentando i Bretus ai nostri lettori…
GHENES: Ciao Vincenzo . I Bretus sono nati ufficialmente nel 2000 da una mia idea , ma è solo nel 2007 che abbiamo iniziato a pensare a noi come ad un gruppo vero e proprio. Da allora abbiamo rilasciato un demo, un Ep e, per ultimo, nel 2010 il full “In Onirica”. Altri pezzi sono poi comparsi in alcune compilation delle più importanti fanzine/webzine del genere, italiane e straniere. La band è composta da me, Zagarus (voices), Azog (low guitar) e Striges (percussions).

Come mai la scelta di riproporre e rimasterizzare l’omonimo del 2010?
GHENES: E’ stata un’idea della Doom Cult Records. Avevamo fatto uscire l’Ep in numero limitato con la piccola etichetta Mad Die Records, ma le copie sono terminate in poco tempo. Per quanto riguarda il remaster, a noi poteva andare bene anche il suono dell’Ep così com’era venuto, ma è come se gli avessimo dato una rinfrescata, e magari sono venuti fuori dei dettagli che prima non si notavano.

Quali sono le principali differenze tra l’omonimo del 2010 e quello di oggi? Che tipo di lavoro avete svolto?
GHENES: Più o meno il lavoro fatto sui due dischi è stato il medesimo. Abbiamo messo insieme in studio le idee che avevamo. Essendo nato il gruppo come un progetto da studio, i dischi sono stati registrati senza mai provarli tutti insieme prima in sala e, a parte il fatto che In Onirica è un full, non troviamo delle differenze sostanziali tra i due album. Per noi, così come per tutti, la musica è una questione di sensazioni. Di sicuro nell’ultimo album avere una line up più o meno stabile, ci ha permesso di mettere a fuoco meglio alcune cose, ma siamo soddisfattissimi anche della spontaneità del precedente Ep.

Che idea vi siete fatti della scena Doom in Italia?
GHENES: In Italia abbiamo sempre avuto una tradizione consolidata nel Doom, e all’estero questo ce lo riconoscono. Sono tante le band italiane “meritevoli” (troppe per nominarle tutte e non lasciarne fuori qualcuna) e nella scena ci si supporta a vicenda, consapevoli che non diventeremo mai ricchi e famosi suonando un genere così particolare, e che la musica non è una gara sul chi suona meglio o per chi ha l’immagine più curata. Come dice qualcuno: questione di attitudine!

Molti di voi sono impegnati, oltre che con i Bretus, con altre band. Riuscite a dividere e ad equilibrare gli impegni?
GHENES: Non suoniamo spesso in giro. Considera che ad oggi abbiamo fatto solo tre concerti, quindi nessuno nella band deve fare i salti mortali per dividersi fra i vari impegni, e nessuno nella band è stato mai costretto a lasciare un precedente impegno per dare spazio ai Bretus. Suonare deve essere sempre e comunque un piacere.
ZAGARUS: Quando c’è passione e volontà tutto diventa “gestibile” , conta che non campiamo con la musica, quindi oltre agli impegni con le altre band ,bisogna anche mettere in conto i problemi di tutti i giorni, lavorativi e non. Come ha detto poco fa Ghenes, non siamo una band che suona spesso in giro, preferiamo la qualità alla quantità e soprattutto suonare possibilmente in contesti a tema, se si tratta di festival Doom come avvenuto a Malta o come avverrà a Vienna, meglio ancora.

Che riscontri ha ottenuto l’omonimo di oggi? E’ venduto di più tramite internet o durante le vostre date live?
GHENES: Al momento è ancora presto per dire come sta andando, ma di sicuro non suonando molti concerti i dischi li vendiamo di più tramite internet che, se usato bene, può essere uno strumento eccezionale per farti conoscere. Andiamo in giro con gli altri nostri gruppi da un po di tempo e l’esperienza non ci manca, sappiamo bene come funziona, ma notiamo con piacere che la nostra musica suscita reazioni positive anche in posti dove non ci hanno mai ascoltati dal vivo.

Come siete entrati in contatto con la Doom Cult Records?
ZAGARUS: Il tutto è nato tramite Facebook, dopo l’uscita del full per Arx Productions, iniziammo a ricevere un pò di richieste per il mcd d’esordio, a quel punto iniziammo a pensare ad una ristampa.La label che si dimostrò disponibile a stamparlo in breve tempo fu la Doom Cult Records del mio amico Etienne che a dirla tutta voleva stampare anche il primissimo demo.

Per quanto riguarda i concerti futuri invece, dove potemmo ascoltarvi?
GHENES: Siamo stati confermati per il Doom over Vienna a Novembre di quest’anno. Sarà un’altra bellissima esperienza da fare dopo il Malta Doom Metal Festival dell’anno scorso, ma per il momento è l’unica data che ti posso anticipare.

Cosa bolle in pentola per i Bretus, cosa ci riserverete per il futuro?
GHENES: Stiamo preparando il nuovo album, che uscirà nel 2015 per la storica etichetta Bloodrock di Genova. Non ti posso ancora anticipare i dettagli perchè al momento non c’è niente di definitivo, ma ti assicuro che sarà una una piacevole sorpresa per tutti quelli che hanno apprezzato i precedenti album. Di sicuro non cambieremo genere solo per attirare nuovi “adepti”.
ZAGARUS: In questi giorni è uscita anche la versione LP di In Onirica sempre tramite la Blood Rock Records del nostro amico Enrico Spallarossa, in estate uscirà uno split 7″ assieme ai nostri amici Black Capricorn, il disco verrà stampato dalla The Arcane Tapes che aveva già stampato la versione tape del nostro full.

Prima di chiudere, in generale a cosa aspirate con i Bretus?
GHENES: Vogliamo solo suonare la nostra musica e, possibilmente, conoscere tanta gente appassionata come noi… d’altra parte siamo sempre e comunque dei music fans con la voglia di divertirsi. Mi pare che basti no?

Bene ragazzi, l’ intervista si chiude, concludete come meglio vi pare…
GHENES: Grazie a te per il supporto. speriamo di incontrarci presto da qualche parte con una birra in mano e la musica a tutto volume!!!
ZAGARUS: DOOM ON!

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Rockambula vi racconta il Primavera Sound in diretta. Noi ci saremo!

Written by Senza categoria

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Da giovedì 29 a sabato 31 maggio torna l’appuntamento ormai consueto al Parc del Forum con quello che è uno dei festival più importanti d’Europa, il Primavera Sound Festival di Barcellona. Dalla prima edizione del 2001 al PobleEspanyol di una sola giornata e una line-up che contava una decina di artisti si è passati negli anni alla formula della tre giorni, che propone in totale oltre 200 live show, e ad una seconda edizione in Portogallo, nella cornice della città di Porto. Il Primavera Sound si è contraddistinto negli anni per una proposta musicale eclettica che lascia spazio agli amanti di ogni genere, con un occhio di riguardo per le novità degne di attenzione, che in ogni edizione hanno affiancato grandi nomi quali Patti Smith, Wilco, Nick Cave, Neil Young, My Bloody Valentine, PJ Harvey, Pet Shop Boys, solo per citarne alcuni.

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Quest’anno, per quanto riguarda i soli headliner, si esibiranno Arcade Fire, Pixies, Nine Inch Nails, Mogwai, Queens of The Stone Age, The National, Slowdive, Caetano Veloso, Kendrik Lamar. Anche per quanto riguarda gli eventi musicali Barcellona si conferma un contesto mediterraneo atipico, per la capacità di gestire un evento paragonabile a Glastonbury o a festival d’oltreoceano del calibro di Lollapalooza e Coachella, ma soprattutto per la volontà di investire in eventi culturali come questo, imprescindibili per poter comprendere l’evoluzione del panorama musicale mondiale. Quest’anno Rockambula presenzierà all’evento, a partire da mercoledì 28, giornata in cui il palco ATP sarà già attivo e tra gli altri si esibiranno i Temples, una bella rivelazione del 2014. Gli eventi collaterali al festival inizieranno infatti da oggi e dureranno fino a mercoledì 4 giugno, nei club della città catalana e al Forum stesso. Nei giorni del festival cercheremo di districarci tra gli undici spazi in cui si susseguiranno le performances, nel tentativo di raccontarvi il più possibile di ciò che l’edizione 2014 del Primavera Sound offrirà. In attesa di un intenso live report, seguiteci sulla pagina facebook di Rockambula per aggiornamenti in tempo reale e testimonianze fotografiche dei live show!

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I Missili – Le Vitamine

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I Missili sono una sorta di collettivo dai membri intercambiabili che giocano con ritmi Pop e arrangiamenti ridotti all’osso intorno a filastrocche infantili che richiamano la gran moda naif di questi tempi. Il loro disco, Le Vitamine, è un braccialetto plasticoso e colorato che si vende in spiaggia a poche lire (neanche euro, fa più fico), composto da otto perline dalle ritmiche lineari e dall’esecuzione volutamente approssimativa, sempre nell’ottica di un Lo Fi che vuol essere divertente e che, in parte, anche ci riesce. Le Vitamine è un disco leggero, solare, ludico. Si sfiorano ambientazioni estive e rotolanti arcobaleni Pop (“Dio Romano”, “A Bastonate”), oppure ritmi in levare ondeggianti che richiamano certi anni 70 stile “Giovane Esploratore Tobia” (“Fotoricordo”) negli episodi più riusciti (dove cioè il sorriso si fa complice e strizza l’occhio); in quelli più odiosi si striscia piagnucolanti attraverso pianure di noia (nonostante le ritmiche sempre uptempo, per quanto semplici) e immagini stantie (“Fossili”, “è da un po’ che ti guardo e tu, è da un po’ che non mangi più, bambina”, o “Una Grande Tribù”, “lassù c’è una grande tribù, hanno appeso un uomo a testa all’ingiù, e rulla il tamburo voodoo, com’è bello il coro delle mamme zulù, fammi restare qui sulla mia sdraio blu, fa troppo caldo e su, io non ci torno più”).

I Missili camminano sul filo, ridacchiando, tra una simpatia soave e lieve, che non riesce ad essere poetica quanto vorrebbe, ma che può regalare un sorriso e qualche passetto di danza, e una strafottenza sempliciotta che dovrebbe passare forse per illuminazione e che invece provoca fitte dolorose d’insofferenza. Ascoltatene a vostro rischio e pericolo se oltre ad una luminosa foschia volete toccare con mano qualcosa di fermo, sodo, vero.

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Damon Albarn – Everyday Robots

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Musicista, autore, compositore, produttore Damon Albarn è un artista poliedrico e traversale che, dagli esordi nel lontano 1991 fino ai giorni d’oggi, ha macinato chilometri nel mondo della musica, percorrendo molte vie e raccontando la sua arte in tanti modi. Un storia lunga ventitre anni partita dal Brit Pop dei Blur, continuata con l’Alternative Rock così underground dei Gorillaz, deviata dal super gruppo made in England The Good,The Bad & The Queen, inframezzata da un EP, qualche colonna sonora e due libretti per opera. Un bagaglio importante di esperienze, senza le quali, forse, Everydays Robot non esisterebbe. Ascoltando l’album tutto d’un fiato si percepisce subito il tiro di tutto il lavoro, maturo, calibrato, intimo e dall’essenza minimalista. La storia di un uomo di quarantasei anni che, spente le luci accecanti e riposti gli artifizi di scena nel baule, si racconta e ci fa assaporare un po’ del suo mondo e dei suoi ricordi, tra la paura ancestrale di perdere se stesso, al rapporto conflittuale con una tecnologia sempre più invadente, fino alla solitudine e alla dipendenza dalla droga.

Potremmo definirlo quasi una sorta dipiccola catarsi in musica, un percorso che non arriva mai ad esprimere le tensione del momento in maniera esplosiva e rabbiosa, ma che lo fa in maniera sommessa, con quell’attitudine all’understatement cosi maledettamente British. Visivamente anche la copertina veicola lo stesso messaggio privo di colori, ma ricco di sfumature di grigio, un’immagine semplice, reale, così reale da passare quasi inosservata. Quello che non passa inosservato sono le canzoni, un beat pulsante, un cuore-motore intelligente, le percorre da cima a fondo dandogli vita.  Uno stile asciutto ed equilibrato unisce in un unicum armonicosuoni elettronici e acustici, campionamenti, archi e cori dal sapore etnico. Un album di Ballad melanconiche e dolciastre, così come i ricordi nei quali affondano le radici e che contengono al loro interno tutta l’anima Pop di Albarn, filtrata,però,attraverso una consapevolezza nuova. “The Selfie Giant”suadentegrazie alpiano mutuato dal Jazz e alla collaborazione di Bath for Lashes, “Mr.Tembo”, che le sonorità africane rendono melodicamente e ritmicamente intrigante.“The History of a Cheating Art” e“You and Me”che ti colpiscono per l’eleganza e la forza del songwriting sofisticato e qualitativo.Il mood del disco non può che definirsi ombroso,ovattato a tratti illuminato attraversol’uso dei cori e degli archi, come nel finale tutto in positivo e dalla grande carica emozionale di “Heavy Seas of Love”, merito del coro gospel della chiesa di Leytinstine. Everyday Robots è un disco pensato nei suoni,testualmente pieno di pathos, calibrato negli arrangiamenti, che fanno la differenza e mostrano il talento di Albarn. Forse non un album di hit e molti rimarranno delusida questo nuovo capitolo non ritrovando il vecchio Damon, ma molti altri sapranno apprezzarne l’onestà, l’intensità, il valore, le atmosfere al limite dell’alienante e goderne a sufficienza.

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Il Nome di Lei – “Ancora Non Ti Arrendi” [VIDEOCLIP]

Written by Anteprime

 È prevista per il 10 giugno l’uscita dell’EP d’esordio Il Nome di Lei dell’omonimo trio Il Nome di Lei , composto da Marco Sambinello, Alex Favaro e Samuele Botter. L’EP è anticipato dal video, il primo ufficiale, “Ancora Non ti Arrendi”, girano nel centro di Milano da Niccolò Bucca (Aosta): “Le immancabili delusioni che si abbattono sul nostro percorso spesso ci inducono nella tentazione di accontentarci, di adagiarci comodamente nelle fasi di stallo della nostra vita, che a volte sembrano accarezzarci e lusingarci. È indispensabile ritrovare la passione che ci brucia dentro e che ci dà la spinta per alzarci, ribellarci alla quiete e raggiungere i traguardi per cui lottiamo.”

ilnomedilei

 Il Nome di Lei EP, registrato a Milano da Jacopo Pinna e Giacomo Dalla presso l’Effetto Note Studio e mixato da Matteo Cantaluppi presso il Tempel Studio di Berlino, è stato prodotto ed arrangiato da Stefano Clessi. Il Nome di Lei EP è un percorso fluido che intende tratteggiare i contrasti tra consapevolezze e illusioni di chi si affaccia all’età adulta. Le contraddizioni sono messe in evidenza da una scelta musicale che sfrutta le potenzialità del Power Pop elaborando sonorità alle volte cadenzate e talvolta irregolari. In inizio di battuta le tonalità sono spesso lasciate nell’incertezza con accordi aperti ed arpeggiati e con un cantato, a suo modo, dolce. Si acquista maggiore chiarezza solo con l’ingresso della batteria: un groove moderno si fonde con synth anni Novanta a rappresentare quel singhiozzante alternarsi di speranze e disillusione. A sciogliere l’indeterminazione tuttavia è solamente la chiusa, che sorprende: ancora una volta l’espediente musicale si piega a descrivere l’imprevedibilità degli eventi.

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Il Video della settimana: Il Triangolo – “Un’America”

Written by Novità

Guarda qui il videoclip di questa settimana.
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