Vegyn – The Road to Hell Is Paved With Good Intentions

Written by Recensioni

La strada per l’Inferno passa per i club di Londra e suona esattamente come il nuovo album dell’artista inglese.  

[ 05.04.2024 | PLZ Make It Ruins | neo-psychedelia, downtempo, electronic ] 

“Io voglio solo vivere. Voglio sentire qualcosa, qualsiasi cosa. C’è così tanto al mondo: c’è la bontà, la cattiveria, la follia, la tristezza, l’orrore e la gioia. Ma io amo solo la bellezza”.
Così il giovane produttore, DJ e graphic designer britannico Joseph Winger Thornalley, in arte Vegyn, scriveva nel suo penultimo album The Head Hurts but the Heart Knows the Truth, sotto lo pseudonimo di Headache.

La profondità delle parole che l’artista, con la collaborazione di un semi sconosciuto Francis Hornsby Clark, ha dettato ad un’entità fisicamente inesistente – l’Intelligenza Artificiale – ha fatto breccia nel mio cuore e nella mia mente, tanto che spesso mi ritrovo a pensare a quei testi con lo stesso accento britannico generato dall’AI, con una visionaria nostalgia che non mi lascia in pace, nemmeno di notte. E mi ritrovo a pensare anche al fatto che il personaggio principale di questo articolo abbia giusto un anno in più di me, così, per dire.

A soli 31 anni gli album all’attivo per Vegyn sono già quattro, oltre a svariati EP e mixtape dal 2015 ad oggi (dando vita alla sua etichetta PLZ Make It Ruins), numerose importanti collaborazioni con artisti internazionali (Frank Ocean, Dean Blunt, JPEGMafia), un’inarrestabile vena creativa che stimolerebbe anche una parete completamente bianca e asettica a cambiare prospettiva e iniziare a tingersi di colori diversi, ogni volta nuovi.

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Quello che c’è all’interno di un disco come The Road to Hell Is Paved With Good Intentions è un qualcosa di sovrannaturale ed emozionante. Un viaggio onirico su tante nuvole di forme e tinte differenti, in cui ogni traccia nasconde un’interpretazione apparentemente personale. Il pezzo che a me farà riflettere, a te divertirà; quello che a me farà immaginare di muovermi dentro un club di Londra, a te farà star fermo a pensare. Non si tratta di poteri magici, ma di sentire le emozioni altrui, traducendole in musica.

Avete presente quella forte e inspiegabile stretta allo stomaco che si presenta quando provate qualcosa di estremamente potente che vi riporta indietro nel tempo? Una sensazione piacevole, che cela dentro di sé una profonda nostalgia.
Ecco, questo è l’effetto del brano di apertura A Dream Goes On Forever, accompagnato dall’avvolgente rap/spoken word dell’artista John Glacier (colpevole di aver recentemente dato alla luce un EP sensazionale che consigliamo caldamente di recuperare) le cui parole sembrano fluttuare leggere nell’aria: il sole continua a splendere, nonostante le nuvole, nonostante la pioggia, gli uccelli continuano a volare e l’acqua a scorrere, il sole continua a splendere ancora e ancora.
Parole ripetute come un mantra, su un beat che lo stesso autore ha definito la sua “happy melancholia”, per merito della quale, se da un lato ti rilassi con un pezzo del genere nelle orecchie, dall’altro vorresti solo piangere ripensando a tutti gli errori fatti nella tua vita. Forse è meglio tralasciare quest’ultima parte, però.

Sul finale, la voce lontana che sembra provenire da una stazione radio ci ricorda che sarebbe tutto molto più bello se fossimo consapevoli del fatto che ci sono delle cose che possiamo cambiare con grande atto di coraggio, altre che invece non possono essere soggette al nostro intervento, ma va bene così: dobbiamo solo riconoscere la differenza tra questo genere di cose e accettarla serenamente.

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Quella con Glacier è solo una delle numerose collaborazioni presenti nel disco, che vanta la partecipazione di Ethan P. Flynn nella laconica Another 9 Days, dall’andamento jungle, essenziale e potente. 
C’è poi il tenero abbraccio della voce di Léa Sen in Turn Me Inside e quello onirico di Lauren Auder in Halo Flip, la cui particolarità vocale va a nozze con le percussioni quasi spaziali del brano, che emanano a loro volta un sentimento nostalgico di un’epoca già vissuta – sì, forse proprio gli anni Novanta – e quello di tornare a casa, sentirsi accolti e non essere dimenticato dalle persone che davvero contano per noi. Siamo già a metà album e per un attimo vengono accantonate le ospitate.

L’estro creativo dell’artista inglese brilla in ogni sua sfumatura con gli elementi elettronici e ambient del singolo The Path Less Travelled, il cui videoclip vede per protagonisti due ragazzi che ballano hip hop tra le strade di una Londra (Oxford Street) che viaggia a ritmi spropositati, tra bus rossi e black cab che sfrecciano dietro i movimenti fluidi e naturali del duo.

Ma questo non è l’unico video in cui si balla, infatti la danza è l’elemento chiave di altri video del DJ e non possiamo non citare l’ipnotica Makeshift Tourniquet, in cui due ragazze si muovono sinuose in punti semi abbandonati di una Londra deserta, accompagnate dal loro barboncino che le osserva. La spinta dance/house del pezzo ci invita a lasciarci andare al suo ritmo che cresce minuto dopo minuto, fino a raggiungere una sorta di catarsi psichedelica finale.

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Il produttore britannico ha voluto sperimentare con la musica dance convenzionale, intrecciando schemi più e meno originali, curioso delle reazioni del pubblico dentro e fuori dai club. Un’inaspettata collaborazione tra il DJ e il cantautore indie pop Matt Maltese riporta ad atmosfere intime, quasi surreali, nella ballata al pianoforte Trust. Gli ultimi squarci di una luce che via via si fa sempre meno evidente, sono dettati dai frenetici giochi di sintetizzatori dell’inno solitario Last Night I Dreamt I Was Alone, in cui una voce femminile riecheggia in lontananza, e da voci e suoni caotici ma delicati della conclusiva Unlucky for Some… 

Con uno sguardo rivolto a maestri come Autechre e Boards of Canada, Vegyn dimostra ancora una volta di sapersi destreggiare molto bene nel mondo dell’elettronica, passando per vie ora più minimali, ora più melodiche, ora più inebrianti, senza mai tralasciare il lato strettamente collegato all’emotività che deriva dalle sue creazioni.  
Non mi resta che augurare una “felice malinconia” a tutti.  

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Last modified: 23 Aprile 2024