Japandroids – Near to the Wild Heart of Life

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Cinque anni sono tanti per la gestazione di un album che non arriva a cinquanta minuti per otto canzoni. Sono troppi se quello che si cerca è ripetere una formula collaudata che per il duo canadese chitarra, voci, batteria Brian King & David Prowse corrisponde a un Noise Pop sovraccaricato e senza troppo impegno richiesto all’ascolto. Se invece le finalità sono di mettere “nero su bianco” le proprie convinzioni artistiche, un’impronta peculiare, un sound che possa dirsi proprio, identificabile, definibile, cinque anni sono un respiro giusto, quasi necessario. Proprio questo fanno in Near to the Wild Heart of Life i Japandroids; con c’è assolutamente uno stravolgimento di quel modo di fare Indie Rock con l’aggiunta di spigolature Noise ma una ricerca melodica e di suono fortemente Pop, con la grinta del Post Hardcore e la tanto abusata inclinazione Lo-Fi. Sono ancora questi i punti fermi del loro lavoro ma quello che viene ancor più fuori dalla terza prova full length è un prendere le distanze dagli anni Novanta del Rock rumoroso e sgangherato stile Pavement, cosa che apparve fin troppo marcata con l’ascolto dell’esordio Post-Nothing. Viene meno quella ridondante ricerca del Lo-Fi “fatto bene” e allo stesso modo, Near to the Wild Heart of Life finisce per allontanarsi anche dal suo predecessore, Celebration Rock, in cui a farla da padrone erano gli inni Punk style a metà tra Replacements e Hüsker Dü, con una grande dose di energia, passione, malinconia ed emotività che trasudava a ogni nota.

Ovviamente, chi si è innamorato dei due per le sopra citate caratteristiche dei loro album, farà una certa fatica ad amare Near to the Wild Heart of Life ed anche la mia prima impressione non è stata delle più attese, come chi tracanna d’un fiato un bicchiere d’acqua per scoprire solo in bocca di aver bevuto vodka. Il suono dei nuovi Japandroids si fa più nitido e preciso, l’urgenza espressiva lascia il posto a una maturità inaspettata e tutto quello che di buono c’era nei lavori precedenti, è riproposto in una veste meno adolescenziale, che tende la mano più al Power Pop che non al Post-Hardcore. Le uniche tracce che paiono legarsi per epicità al precedente (“Near To The Wild Heart Of Life” e “No Know Drink or Drug”) si mescolano comunque in maniera pulita alle restanti, che per certi versi strizzano l’occhio alla tradizione yankee dell’Heartland Rock (“North East South West”) con una dose imponente di romanticismo tutt’altro che spicciolo (“True Love and a Free Life of Free Will” “I’m Sorry (For Not Finding You Sooner)”). Il vero punto di svolta si ha con “Arc of Bar”, la traccia più lunga del disco e quella più anomala, con quel synth ad affiancare la linea vocale che sembra provenire da oltre manica piuttosto che da oltre oceano. A chiudere il tutto si piazza la ballatona “In a Body Like a Grave”, una sorta di riassunto di quello che è stato il passato dei Japandroids e di quello che resta di ciò che è stato, incastonato in un presente vivo e vitale come agli esordi, anche se con una maggiore consapevolezza di sé.

Difficile dire se Near to the Wild Heart of Life possa avere lo stesso impatto di un Post-Nothing o magari affermare con esattezza che è questo il miglior disco del duo di Vancouver. A essere sinceri, probabilmente non lo è. È semplicemente qualcosa di diverso, fatto da chi ha scelto uno stile in cui suonare diversi è davvero difficile. È un’opera matura e coraggiosa e non è cosa frequente poter mettere vicini due aggettivi così; ancor meglio se l’accostamento regala qualcosa di sopra la media.

Last modified: 20 Febbraio 2019

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