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Less Than a Cube – Less Than a Cube

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La presenza del sempiterno Amaury Cambuzat (Ulan Bator, Faust) alle chitarre della quarta traccia (“Blue Grass”) di questo omonimo disco d’esordio dei torinesi Less Than a Cube non sarà sufficiente a salvare un album che ha poche cose da dire e finisce per dirle malissimo. Nove brani che nelle intenzioni vorrebbero rileggere un passato vecchio vent’anni e più con rinnovata vitalità ma che finiscono con lo scimmiottare chitarre e distorsioni datate in maniera tutt’altro che apprezzabile. Lo scenario lo-fi nel quale tutto sembra inserirsi finisce per suonare piuttosto forzato che non voluto e, non solo suoni e melodie danno l’idea di scarsa ricercatezza e assente ispirazione, ma anche le qualità vocali di prima (Fabio Cubisino) e seconda (Alessia Praticò) voce, entrambe in inglese, finiscono per essere non certo di alto livello e sfiorano una sgradevolezza senza alcun fascino, come chi volesse imitare J Mascis più per necessità che per volontà e Peter Murphy più per superbia che per capacità. Tra le diverse analogie col passato riscontrabili in questo Less Than a Cube, oltre al già citato Alternative Rock anni Novanta (“Blue Grass”, “Revolution”), ritroviamo ritmiche Post Punk (“Dear Secret”) e dilatazioni chitarristiche Gothic Rock (“Not Forget”, Night Song”), reiterazioni Post Rock (“Escape Plan”), accenni Art/Experimental Rock e Slowcore tra Liars e Devastations (“The World On Fire”, “The Dust”) e sferzate Post Hardcore appena accennate (“Monovolt”).

Una marea di riferimenti buttati nel calderone con confusione, senza un preciso punto di arrivo nell’obiettivo, senza palesare alcuna capacità fuori dal comune, anzi, evidenziando una certa banalità d’ispirazione e nessun punto di forza peculiare. Dispiace metterlo nero su bianco ma questa volta il “vecchio” Cambuzat non potrà salvare i suoi figliocci dalla marea di sterilità in cui si sono immersi con le loro stesse mani.

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Manuel Volpe & Rhabdomantic Orchestra – Albore

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Prova di eleganza e di gusto per il marchigiano Manuel Volpe. La sua mano da produttore e musicista si sente in questo nuovo disco dal titolo Albore pubblicato dalla Agogo Records. Interamente scritto, arrangiato e prodotto da Manuel Volpe, l’album si avvale di un eccellente team di produzione composto da Massimiliano Moccia (Movie Star Junkies), Andrea Scardovi (Sacri Cuori), Kelly Hibbert (Flying Lotus, Heliocentrics) e Volpe stesso con la preziosa supervisione dell’esperto di Afro/Jazz/Fusion Andrea Benini (Mop Mop). L’artwork è ad opera di Edoardo Vogrig. A tre anni circa da Gloom Lies Beside me as I Turn my Face Towards the Lights si ripropone sul mercato musicale con una delle più interessanti uscite del nuovo panorama discografico italiano di questo 2016, un lavoro che come pochi, nasce dalla provincia e visita regioni antiche ed altre lontane portandoci a spasso per i territori latini e quelli arabi, tra i popoli e i cori africani e i metalli preziosi delle grandi città. Un disco sostanzialmente di Lounge che coniuga pochissima elettronica ai suoni reali condotti per mano dalla sua inseparabile Rhapdomantic Orchestra. In questi dieci inediti in studio, Manuel Volpe culla e accompagna, in brani che rischiano la monotonia certamente ma che invece ogni volta sanno come sottolineare il proprio carattere e la propria personalità.

“Basrah”è una traccia molto seducente almeno quanto “Rhabdomancy” che però è più
“spirituale” affrontando temi quali il rapporto che l’artista ha con Dio. Il video di lancio, bellissimo, recita il concetto di viaggio ma soprattutto di divenire: il brano è “Nostril” ed il protagonista è un ragazzo di colore che osserva una Torino sconosciuta perché forse vi ci arriva per la prima volta. Oppure osserva la sua città in un modo che mai prima si era sognato di fare e quello che vede, in ogni caso, è una scoperta. Ed il disco di Manuel Volpe il fondo è così: una scoperta dietro il telaio di brani dolcissimi, scuri, intensi, riflessivi e assolutamente internazionali. Prova di stile contro gli inutili quanto ormai scontati tentativi di trasgressione digitali che si espandono a macchia d’olio in questa scena indipendente italiana.

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Calavera – Funerali alle Hawaii

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Valerio Vittoria, già Froben e Matildamay, oltre che chitarrista live di Colapesce e Alessandro Fiori, esordisce solista col moniker Calavera in questo colorato, agrodolce, liberatorio Funerali alle Hawaii. Il titolo è adattissimo: chitarre riverberate, tastiere, ritmi rotolanti si appoggiano ad armonie di un Pop malinconico, chiaroscurale, in un serpeggiare che è amaro e sereno insieme, come le cerimonie floreali sul Pacifico in cui si dà l’ultimo definitivo saluto alla vita sotto il sole, fra le onde, tra mosaici di petali. Il risultato di questo mix esotico e appassionato si misura in gradazioni di colore morbide, mai pastello: una vivacità sommessa, equilibrio nell’ossimoro tra una nuova libertà e la solitudine del viverla, tra il raccontarsi “senza finestre sul mondo” e un cambiamento anche esteriore: “una nuova città, un nuovo amore ed una nuova vita”. Funerali alle Hawaii è adatto alle mattine piovose ma anche ai tramonti sereni e nostalgici; suona lontano e vicino insieme, peculiare in certi toni antitetici, contraddittori, dove la luce, leggera, si mescola a ombre grigiastre, non ancora tragiche. La pasta sonora riempie ogni spazio intorno a una voce sussurrata che snocciola epifanie semplici ma taglienti, attimi di consapevolezza ritti spalla a spalla con dubbi e ripensamenti, il tutto immerso in un cangiante universo che è veramente, profondamente Pop, dove i ganci si sprecano e le canzoni si susseguono come pillole balsamiche per le orecchie grazie al talento di Calavera per il tocco giusto al momento giusto. Un disco fatto di contrari, di opposizioni, che ricorda certamente molto altro e magari non stupisce, ma che non arriva alla fine senza regalare una scintilla, un brillio di curiosità. Cullante e variopinto.

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Detox – Landing

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Esce per l’etichetta bolognese Relief Records EU (la stessa che portò al successo il rapper Inoki) questo primo grande percorso personale del beatmaker e producer Detox. Un artista che non ha bisogno di presentazioni avendo alle spalle oltre quindici anni di carriera con collaborazioni importanti quali quelle con Dj Gruff, Clementino, Angela Baraldi, Roy Paci e Videomind e una militanza nei Blatters (campioni italiani Dmc 2010, Dmc 2011 e Ida 2011). Una collana di pubblicazioni, quella della Relief, che cerca di sviluppare discorsi musicali paralleli e alternativi per voce di artisti con cui collabora o ha collaborato. Questo Landing è un breve Ep, digitale come il suo dna, in cui Diego Faggiani (in arte Detox) si mette a nudo in cinque composizioni a spasso tra Dubstep, modi Afro e ossature elettroniche metropolitane. Interamente realizzato presso il Menounolab vede alcune collaborazioni di spicco che cercano anche di deviare il flusso di tutto come per esempio la bellissima voce di carattere Soul di Alo per il brano “Mr. Hugee” o come un inaspettato suono di violoncello (anche se elettrico) grazie alla partecipazione di Bruno Briscik. Ed inoltre Alex Trebo, i producer Fuso, Q3000, Maxime e Navak (tutti protagonisti della prima traccia “Just Feel”). Un disco visionario, dalla pelle istrionica che spesso cambia faccia ma che di sottofondo mantiene sempre una stessa identità pur dividendosi fra suoni analogici, campionamenti e groove. Come a dire che se nella prima traccia “Just Feel” siamo in una periferia newyorkese, in chiusura con “Road” siamo finiti a trasformare un Reggae giamaicano in una suite Lounge con trombe quasi fosse una Fusion digitale, il tutto passando attraverso drumming africani come nella splendida “Go On” e facendo un salto in notti fumose di luce di led nel futurismo sociale di una famosa città europea.

Il carattere di Detox va ascoltato e lasciato concimare perché quello a cui siamo di fronte non è un disco immediato, non sono suite strumentali banali e superficialmente campionate. Questo Landing è un’opera elettronica che trasuda spontaneità: alcune cose sembrano rubate al caso di un’ispirazione, altre studiate a tavolino. Altre invece raccolte da anni di collaborazioni e di live. Di sicuro non va relegato ad un primo quanto superficiale approccio, come a tener vivo un sottofondo per i nostri aperitivi. In arrivo anche il video ufficiale; per ora ci godiamo questo live-set che è anche trailer di tutta la produzione di Landing.

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Cinque canzoni che fanno stare in pace col mondo gli Inutili

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #06.05.2016

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Explosions in the Sky – The Wilderness

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Oltre quindici anni di carriera alle spalle, sette album all’attivo, quattro colonne sonore tra cinema e TV e la consacrazione nell’olimpo delle migliori band post rock di sempre. Cos’altro chiedere agli Explosions in the Sky dopo un lavoro eccellente come Take care, take care, take care, la cui apertura e rottura col passato aveva cominciato a scalfire l’unicità dei Mogwai? Ebbene, le vie del Post Rock sono infinite così come sembrano essere le frecce nella faretra di Hrasky e soci che, senza troppi fuochi d’artificio, dopo cinque anni dall’ultimo lavoro in studio sfornano The Wilderness.
Un titolo secco e preciso e una scelta non usuale per i quattro texani che apre le porte della nostra percezione su una landa selvaggia che però, a detta dello stesso Hrasky, non proviene da nessuna esperienza di vita à la Into the wild e si configura come mezzo per creare la sensazione di un viaggio dove le cose non vanno nel modo in cui ti saresti aspettato.
The Wilderness, seppur ben ancorato all’aspetto strumentale chitarristico e marchio di fabbrica della band, spesso riluttante ad un uso massiccio dell’elettronica, appare come un album innovativo. L’accoppiata “The Wilderness” – “The Ecstatics” racchiude il core sound dell’intero lavoro ed è qualcosa di sorprendente nel suo essere così lontano e allo stesso tempo così vicino alla loro tipica eleganza. Lungo le nove tracce di The Wilderness si possono apprezzare dei richiami vaporosi agli anni Settanta (“Logic Dream”) che ne dimostrano la profondità e l’accuratezza sonora. “Disintegration Anxiety”, che divide il tutto a metà, è una corsa contro il tempo in pieno stile EITS, “Colors in space” conclude la sua cavalcata trionfale in un’estasi mistica che apre alla splendida, finale e riflessiva “Landing Cliffs”.

Un sound positivo che conduce per mano tra luoghi, persone, ricordi, parole, voci e rende The Wilderness un disco satellite rispetto ad un ascoltatore ormai in continuo movimento.
Le parole di Michael James su John Congleton, storico produttore della band , ben fotografano la situazione della band e la gestazione di questo disco: “Ok John, sei stato un tipo strano per tutto questo tempo. Facciamolo ancora più strano.” E l’abbiamo fatto!.
Se il Post Rock è ancora un pasto digeribile è anche merito loro.

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Bruuno – Belva

Written by Recensioni

Tra screamo e post-hc, la band esordisce con l’EP su etichetta V4V.
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Chi Suona Stasera – Mini guida alla musica live | Maggio 2016

Written by Eventi

“Chi suona stasera?”. Sarà capitato ad ogni appassionato di musica live di rivolgere ad un amico o ricevere dallo stesso questa domanda. Eh già, chi suona stasera? Cosa c’è in giro? Se avete le idee poco chiare sugli eventi da non perdere non vi preoccupate, potete dare un’occhiata alla nostra mini guida. Sappiamo bene che non è una guida esaustiva, e che tanti concerti mancano all’appello. Ma quelli che vi abbiamo segnalato, secondo noi, potrebbero davvero farvi tornare a casa con quella sensazione di appagamento, soddisfazione e armonia col cosmo che si ha dopo un bel live. Ovviamente ci troverete dei nomi consolidati del panorama musicale italiano ed internazionale, ma anche tanti nomi di artisti emergenti che vale la pena seguire e supportare. Avete ancora qualche dubbio? Provate. Non dovete fare altro che esserci. Per tutto il resto, come sempre, ci penserà la musica.

TEHO TEARDO & BLIXA BARGELD
04/05@Quirinetta, Roma
05/05@Locomotiv Club, Bologna
06/05@Lavanderia a Vapore, Collegno (TO)
08/05@Santeria Social Club, Milano
Il 15 Aprile, a 3 anni dall’ottimo Still Smiling, è uscito Nerissimo il nuovo album della coppia italo-tedesca che suonerà in Italia per 4 imperdibili date
[ascolta]

OSLO TAPES
05/05@Dal Verme, Roma
06/05@Malloni Trace, Porto Sant’Elpidio (FM)
13/05@Off, Lamezia Terme (CZ)
Progetto di Marco Campitelli autore sul finire dello scorso anno del buon Tango Kalashnikov prodotto da Amaury Cambuzat che vi suona anche (come nel disco d’esordio del 2013), tra i nuovi nomi da tenere d’occhio per il Rock alternativo italiano, quello buono.
[ascolta]

UFOMAMMUT
05/05@Bronson, Ravenna
06/05@Tetris, Trieste
07/05@Benicio Live Gigs, Giavera del Montello (TV)
14/05@Cueva Rock, Quartucciu (CA)
27/05@Cycle Club, Calenzano (FI)
28/05@Magazzino sul Po, Torino
Il trio Sludge Doom piemontese di casa Neurot porta in giro per l’Italia il l’ultimo lavoro Ecate, uscito nel Marzo dello scorso anno
[ascolta]

SOPHIA
06/05@Covo Club, Bologna
Mr. Robin Proper-Sheppard porterà la sua malinconia nel nostro paese per un’unica data durante questo mese, da non perdere
[ascolta]

MOTORPSYCHO
07/05@Il Deposito, Pordenone
09/05@Circolo Magnolia, Milano
10/05@Init, Roma
11/05@Teatro Polivalente Occupato, Bologna
Il supergruppo norvegese non ha certo bisogno di presentazioni, sempre più dolci e psichedelici, sempre e comunque essenziali, in italia per il tour del nuovo lavoro Here Be Monsters
[ascolta]

JOZEF VAN WISSEM
10/05@Sotto la Sacrestia, Milano
11/05@Vicious Club, Roma
12/05@Museo del Sottosuolo, Napoli
13/05@Chiostro delle Grazie, Vittoria (RG) per Scenica Festival
14/05@Circolo Dong, Recanati (MC)
Il liutista olandese che ha stregato Jim Jarmusch sarà in Italia per 5 concerti che assicurano una grandissima intensità
[ascolta]

POLAR FOR THE MASSES
14/05@La Cantina Mediterraneo, Frosinone
15/05@Le Mura, Roma
19/05@Serraglio, Milano
A due anni di distanza da Un Giorno di Merda, i Polar for the Masses tornano a calcare i palchi per presentare il loro nuovo album, Fuori.
[ascolta]

EGLE SOMMACAL
08/05@house concert, Fidenza (PR)
12/05@Klamm, Roma
13/05@El Chupito Bar, Perugia
14/05@Altroquando Dart Club, Zero Branco (TV)
16/05@Rifugio Falc, Pizzo Tre Signori (BG)
Il chitarrista italiano che da qualche anno lavora come solista dopo le esperienze con Massimo Volume ed Ulan Bator ha da pochi giorni pubblicato il nuovo album L’Atlante della Polvere, queste le date per poterlo gustare live
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RESUMED
14/05@Garbage Live Club, Pratola Peligna (AQ)
La band di Sulmona fa tappa a Pratola Peligna per una notte all’insegna del Death Metal
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WREKMEISTER HARMONIES
13/05@Freakout, Bologna
14/05@Asilo Occupato, L’Aquila
15/05@Godot Art Bistrot, Avellino
16/05@Location da definire, Roma
17/05@Giardini del Frontone, Perugia
18/05@Parco della Musica, Padova per Sub Cult Fest
19/05@Lo-Fi, Milano
Esplorazioni emotive di chi percepisce la vita come un lungo e graduale processo di decadimento, il Doom pastorale di J.R. Robinson sarà questo mese nel nostro paese per 7 date, il suo ultimo lavoro Night of Your Ascension è fuori da Novembre 2015
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DE RAPAGE
28/05@ Garbage Live Club, Pratola Peligna (AQ)
La band abruzzese torna sui palchi per farvi ascoltare il suo ultimo lavoro Droga e Puttane uscito lo scorso anno. Carica esplosiva assicurata.
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MICHAEL NYMAN
16/05@Auditorium Parco della Musica, Roma
19/05@Teatro Comunale, Vicenza
Il grande pianista, celebre in particolar modo per le colonne sonore realizzate per il regista Peter Greenaway oltre che per Lezioni di Piano di Jane Campion, sarà in Italia per 2 date
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JOAN AS POLICE WOMAN
20/05@Monk Club, Roma
21/05@Teatro Leopardi, San Ginesio (MC)
22/05@Teatro Giuseppe Verdi, Busseto (PR)
23/05@Spazio Alfieri, Firenze
24/05@Teatro Grande, Brescia
A due anni dalla pubblicazione di The Classic torna Joan Wasser per 5 nuove date nel nostro paese, famosa quasi più esser stata la fidanzata di Jeff Buckley che per i suoi dischi e le sue infinite collaborazioni (Lou Reed, David Sylvian, Sparklehorse, Antony and The Johnsons e tanti altri), (ri)scopritela
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MARK LANEGAN
22/05@Teatro Antoniano, Bologna
23/05@Teatro Metastasio, Prato
24/05@Fabrique, Milano
Sarà possibile ascoltare l’inconfondibile voce del songwriter statunitense per 3 date nelle quali troveremo come opening act Duke Garwood bluesman col quale Mark nel 2013 pubblicò Black Pudding dopo averlo ospitato in un paio di tracce del precedente Blues Funeral
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ELVIS COSTELLO
23/05@Teatro Colosseo, Torino
24/05@Teatro degli Arcimboldi, Milano
25/05@Gran Teatro Geox, Padova
26/05@Teatro Verdi, Firenze
28/05@Auditorium Manzoni, Bologna
29/05@Auditorium Parco della Musica, Roma
31/05@Palabanco, Brescia
Il cantautore e chitarrista britannico autore nella sua lunga storia di grandissimi dischi toccherà questo mese la nostra penisola con un buon numero di date
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EXPLOSIONS IN THE SKY
30/05@Orion Club, Roma
31/05@Circolo Magnolia, Milano
I Post-Rockers di Austin saranno a fine mese in Italia per il tour di supporto al loro ultimo disco The Wilderness uscito lo scorso 1°Aprile
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THE CHROMOSOMES
20/05@Irish Café, L’Aquila
21/05@Garbage Live Club, Pratola Peligna (AQ)
La storica band Punk Rock livornese, attiva dal 1993, fa tappa in Abruzzo per una notte di fuoco. Hey! Oh! Let’s Go!
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Niagara – Hyperocean

Written by Recensioni

“Musica dell’altro mondo”, come si suol dire, perifrasi entusiastica di cui spesso si abusa, a voler condensare in poche parole la sensazione tonificante di star ascoltando qualcosa di inedito. Giunti al terzo album in studio i Niagara ci mettono in condizione di poter usare l’espressione senza risultare poi così esagerati.
Non che nelle puntate precedenti Davide Tomat e Gabriele Ottino abbiano mancato di sorprenderci piacevolmente, ma c’è uno scarto sostanzioso tra le intuizioni del passato e l’ambizione con cui Hyperocean è nato, come luogo ancor prima che come disco, perchè questo terzo atto ha davvero la pretesa di essere musica dell’altro mondo, colonna sonora di un pianeta immaginario e immaginifico: brano dopo brano, le sue undici tracce modellano le fattezze di un universo che non contempla terre emerse, in cui apprendere l’arte dell’ascolto in apnea è condizione necessaria per la sopravvivenza.
L’attrazione dei Niagara per lo stato liquido, che pure era tangibile nei suoni immersi nel fluido elettrico di Don’t Take it Personally, si spinge fino a diventare principio ispiratore di una dimensione parallela governata da logiche compositive ancora da scoprire, in cui l’acqua è elemento imprescindibile, che lasciato a reagire con le strutture melodiche le disgrega e ne disperde il senso.

Il duo cementa il sodalizio con la londinese Monotreme Records e conferma la necessità di guardare oltre i confini della Penisola nel caso in cui ci si voglia sforzare a collocarli entro correnti e tendenze: le arguzie compositive di producer come Arca e Lapalux, le perturbazioni ovattate di Oneohtrix Point Never, l’ossessività degli Animal Collective. Nelle liriche sommerse dei Niagara trova spazio un nuovo modo di fare cantautorato, che rifugge i costrutti collaudati eppure mantiene la vocazione Pop, scegliendo la musicalità della lingua inglese che si confà al suo ruolo, perchè il cantato ha lo stesso peso degli altri layer sonori.
L’analogico è ridotto all’osso, percussioni e acqua, catturata da idrofoni in ogni condizione e stato, dagli abissi marini al ghiaccio in una bacinella. Il resto è lavoro in digitale di sovrapposizione strato per strato di anomalie e pulsioni emotive. Sui gorgheggi metallici dell’opener “Mizu” si incastra una voce femminile robotica, sopraffatta poi dal crescendo dei synth.  Materia sonora di ogni tipo confluisce nei brani e ne esce snaturata: orchestre di archi acidi che suonano come vetri rotti in “Escher’s Surfers”, molecole di nebbia elettrica che sibilano in “Fogdrops”, abrasioni regolari a cadenzare linee vocali e riverberi Psych plastificati di “Blackpool”. Nell’accumulo di elementi sonori, sono piccoli escamotage quelli che innescano la detonazione, come ad esempio un lieve sfasamento, quello tra i sample che si rincorrono nella title track, o quello tra i singhiozzi sintetici e i loop vocali di “Solar Valley”.
L’impasto è artefatto ma suona vivo e pulsante, dall’inizio al finale incompiuto di “Alfa 11”, una nenia disturbante che degenera dilatandosi in sferzate apocalittiche per oltre dieci minuti, fino a placarsi in una calma che ha tutta l’aria di essere solo apparente.

Al termine del viaggio le linee guida del sound dell’altro mondo sono ben delineate, e il disco che ne porta il nome suona organico, più oscuro e inquieto del suo predecessore. Quelli esotici e tecnologici di Don’t Take it Personally sono stati luoghi affascinanti, ma pur sempre parte del nostro pianeta e confinati in quel limbo che è il presente, mentre Hyperocean ha le ispirazioni giuste e l’audacia sufficiente per inventarsi un possibile futuro post-elettronico.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #29.04.2016

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Kay Alis – Hidden

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L’album d’esordio del quartetto ternano capitanato dalla voce di Alessandra Rossi è il punto d’arrivo e insieme di rinnovata partenza di un percorso iniziato nel 2008 quando la band umbra scandagliava il passato Electro Wave anni Ottanta in cerca della propria dimensione. Hidden è un punto d’arrivo, perché muovendo da quelle ricerche sonore che non disdegnavano di addentrarsi tanto nella New Wave e nell’Elettronica, quanto nel Trip Hop e l’Industrial, sono giunti a un suono distinto, caratteristico, peculiare pur non facendo dell’originalità il punto di forza. Hidden è, però, anche un punto di partenza perché proprio il conseguimento di questo sound specifico pone le basi, vista la buona qualità espressa, di un futuro avvincente sotto diversi punti di vista. Prendendo il via da un banalissimo tema quale l’amore, i Kay Alis (prima moniker della sola Rossi, ora nome della band a tutti gli effetti) ne indagano gli aspetti più felicemente corrotti e inverosimili grazie a voce e testi proprio di Alessandra Rossi, riuscendo a non essere mai insipidi, almeno sotto l’aspetto lirico. Sotto quello squisitamente strumentale, invece, restano le scie nostalgiche di certe sonorità Trip Hop, New Wave e Industrial, specie nella sezione ritmica curata da Samuele Rosati (basso) e Daniele Cruccolini (batteria) ma il lavoro di Giorgio Speranza a synth e programming plasma un sound molto discorde, che convenzionalmente si riduce a eredità ovvia di Kraftwerk e Depeche Mode ma nel concreto sembra un parallelo dalle distanze pericolosamente ridotte dei britannici Ladytron (il legame è rafforzato dalla comune voce femminile alla guida) da un lato e dei canadesi Junior Boys dall’altro. A guardare bene, vista la linearità della proposta dei Kay Alis, i paragoni scomodi potrebbero essere davvero tanti ma la cosa non sarebbe altro che un’inutile distrazione dall’ascolto di un prodotto intrigante almeno per le evidenziate potenzialità. La voce di Alessandra Rossi è croce e delizia; tenue, soffusa, dalla timbrica accattivante e capace di fare da perfetto amalgama tra l’anima Electro e l’urgenza Pop ma, nello stesso tempo, un limite per il futuro se quanto messo sul piatto dovesse essere il massimo manifestabile.

Accurata ma non troppo convincente la ricerca melodica; le linee gravi a farne da cornice e la globalità di quanto ascoltato forniscono diversi elementi per ben sperare ma c’è da rilevare che la semplicità mostrata rischia di diventare una debolezza e un handicap per i nostri italiani, specie se contrapposti ai colleghi lingua madre. Per andare oltre ed ergersi prima nel panorama tricolore e poi, magari, in quello oltre confine serve uno sforzo in più, possibile ma difficile da parte della Rossi, ben più alla portata dei restanti musicisti. Hidden è un buon lavoro che rischia di restare anonimo per mancanza di coraggio in fase compositiva e che potrebbe diventare il via di una bellissima realtà nostrana se solo musica e voce riuscissero a superare i propri limiti.

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