Negramaro Tag Archive

laMalareputazione – Panico

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laMalareputazione, con la minuscola ché ci tengono, escono con il loro secondo disco, Panico, e ne fanno una sorta di concept un po’ oscuro su “le contraddizioni della vita, che si incastra in una routine, uno schema di gesti ripetuti quasi a diventare ossessivo compulsivi, come a voler scacciare il pericolo di un attacco di panico, dovuto proprio all’incapacità di avere tutto sotto controllo”. Lo impacchettano in un Rock Cantautorale senza troppi guizzi, riuscendo solo parzialmente a mescolare un impianto che vorrebbe apparire “colto” con un’energia neanche troppo graffiante, dal filo forse consunto, comunque troppo morbida e prevedibile per scuoterci dal torpore cantilenante che predomina (ci provano: ogni tanto appare una chitarra ruvida, una batteria meno ovvia – “Irene e il suo Cavallo” – ma l’esperimento riesce poco).

Panico suona come i Negramaro senza Giuliano Sangiorgi, o come dei Modà che però apprezzano Modigliani (il dittico “Il Talento di Modigliani” e “Parigi” è dedicato proprio all’artista) e citano Jean-Luc Godard (“Conosco il Tuo Segreto”). Questo non vuol dire che suoni male, intendiamoci: è un disco fatto con tutti i crismi, e laMalareputazione ne esce a testa alta, almeno per quanto riguarda l’aspetto dell’esecuzione e della composizione più puramente tecnico. Ma a Panico mancano le ali, manca il salto, quello vero, che ci farebbe stringere lo stomaco e appannare lo sguardo: paga lo scotto di un’eccessiva codardia (musicalmente parlando), che lo rende noioso e floscio (vedi “La Folle Corsa”, primo singolo, o “Ora che è Semplice”). Ci sono degli spunti molto interessanti (“La Parte Più Sana” ha degli attimi che forse sarebbe bello vedere sviluppati altrove: sarà che qui non fanno finta di voler fare Rock, abbracciando invece un sound più rarefatto, più lieve), ma nel complesso il secondo disco de laMalareputazione scorre abbastanza innocuo, ed è un peccato, date le indubbie capacità della band. È triste dirlo, ma di dischi del genere non abbiamo proprio bisogno.

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L’Inferno di Orfeo – L’Idiota

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Passano due anni dal precedente Canzoni della Voliera e tornano i piemontesi L’Inferno di Orfeo con L’Idiota, un disco decisamente irriverente e con sfumature di Rock da buttare giù a grandi sorsate, rivoluzione interiore al passo con i tempi moderni sempre più bui. L’Idiota nasce sulla base dell’istinto, i pezzi vengono buttati energicamente senza rifletterci troppo, si passa poche volte verso la parte della ragione e i componimenti risultano crudi e viscerali nonostante i riff esprimano in qualche modo una miscela di tristezza e allegria. “La Manovra” apre l’album con una classica canzone italiana dai variegati paragoni di confronto ma con una freschezza comunque personale che narra di un mozzo alle prese con le proprie considerazioni rivolte al capitano della nave incapace di condurla. “La Guerra è Qui” è un pezzo molto interiore fedele alla classica tradizione del Rock leggero cantautorale made in Italy, un modo per riflettere sui sconsiderati atteggiamenti della vita quotidiana. Ballatona dai toni tristi per capirsi meglio.

Non rimango certamente di umore buono. Chitarroni Rock in “Arrampicate” dove L’Inferno di Orfeo tira fuori le proprie radici Prog Rock che non seguono esattamente il passo di quello attuale, sound molto “vecchio” ma non del tutto arrugginito. Si cerca di fare Blues con la traccia “L’Amore ai Tempi del Barbera” e in qualche modo il risultato risulta piacevole nonostante la mia attenzione è rivolta più verso il testo e la voce simil bruciata dalle sigarette che sulla musica. “L’Arte della Manutenzione” dovrebbe essere un brano dal ritmo incalzante ma non riesco mai a lasciarmi trasportare e l’effetto divertimento in poco tempo si trasforma in noia mortale. Non sono abituato a cambi improvvisi di genere, ogni pezzo sembra appartenere ad una diversa band, faccio fatica a rimettere insieme i pezzi. “Col Senno di Voi” inizia a dare il giusto senso al mio ascolto, sarà quella spiccata somiglianza (soprattutto nell’intro) a “Color me Once” dei Violent Femmes o quell’Ambient più cupo, una buona prestazione.

Il pezzo che titola l’album “L’Idiota” è una cavalcata in stile Folk e anche qui trovo piccole ma piacevoli sorprese, forse per la somiglianza voluta all’Indie Folk dei Marta Sui Tubi. L’Inferno di Orfeo descrive “Il Paese che Dorme” come una favola dei giorni nostri immortalata da una polaroid ed effettivamente si sente la paura di sentirsi abbandonati, le sensazioni impazziscono e il brano merita davvero la giusta considerazione. Per la prima volta durante l’intero ascolto de L’idiota sono riuscito a sentirmi sullo stessa frequenza de L’Inferno di Orfeo, riesco a metabolizzare il contenuto e renderlo in qualche modo personale. Ancora Rock che purtroppo non digerisco in “Uguale il Mare”, giuro di essermi impegnato ma la stanchezza delle idee prende il sopravvento. Non trovo il metodo di contatto. Il disco si chiude con “Paola” e gli strumenti elettrici lasciano spazio a quelli acustici per una canzone delicata e dolce quanto un brano dei Negramaro con la voce a fare da padrone. Fermamente senza fissa dimora il mio giudizio verso L’Inferno di Orfeo, quello che non mi piace eguaglia quello che mi piace e la confusione alla fine lascia L’Idiota tra quei dischi che di certo non segneranno quest’annata musicale. Insomma, c’è tutto per fare il salto di qualità basta scegliere la strada da intraprendere.

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Ghiaccio1 – The First EP

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“Non crediamo nell’esistenza dei generi musicali, la musica è un fiume ed è unica, dunque nelle nostre canzoni potrete trovare le influenze di numerosi artisti e numerose altre band”.

È così che si presentano i Ghiaccio 1, quattro (ora diventati tre) audaci e bizzarri musicisti del teramano che mossi da una certa genuinità smaliziata e liberi da ogni pregiudizio, fanno con la musica un po’ quel che vogliono. Ho avuto il piacere di vederli sul palco di Streetambula, contest dedicato a formazioni emergenti Pop e Rock che si è svolto lo scorso 31 agosto a Pratola Peligna e ora vi racconto cosa ne penso. È vero, il loro intento è quello di non aderire a nessun genere in particolare; forse ci riescono o forse no. In realtà il filo conduttore del loro primo lavoro, una demo di quattro tracce, è un Pop camaleontico che assume forme e sfumature diverse durante tutti i sedici altalenanti minuti.

“Tic Tac” parte con un liquid guitar, un basso pulsante e una batteria marziale che si fondono in un Funky abrasivo e incalzante che però puzza di un po’ di Negramaro. “Mary” col suo ritmo allegrotto condito da sferzate di feedback e virate Psych Rock, è un evidente richiamo al Folk italiano che inaspettatamente s’incupisce grazie a un infantile e macabro carillon burtoniano. “Lisergia” è di certo il loro pezzo migliore, chiaro è il riferimento all’immortale Psichedelia di stampo floydiano ed è qui che le capacità tecniche dei nostri giovani abruzzesi si fanno avanti, la voce di Alberto Di Festa perde l’inclinazione melodica per farsi più matura e aspra, chitarre e batteria procedono fluide e decise. Nella conclusiva “Labbra e Fauci” di nuovo prepotente il bisogno di Di Festa e compagni di non rispettare nessun canone musicale proponendo un improbabile connubio tra Verdena e le Vibrazioni conditi con un pizzico di misoginia.

È chiaro i Ghiaccio 1 hanno un forte desiderio di sperimentare, quasi per non sentirsi etichettati o incatenati a un genere preciso; il problema è che la loro eterogeneità rischia d’incamminarsi verso l’inconsistenza, o meglio, nella spersonalizzazione. È bene che s’incanalino invece verso tendenze quantomeno più precise e circoscritte, che costruiscano uno stile personale e riconoscibile, è questo ciò di cui hanno necessariamente bisogno i Ghiaccio 1 e non c’è niente che gli impedisca di riuscire.

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Bad Black Sheep – 1991

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Questo lavoro dei Bad Black Sheep catapulta l’ascoltatore direttamente in una dimensione simil grunge e l’aria che si respira è proprio quella del 1991 sin dalla title track.
Recentemente il rock italiano è mutato parecchio, si è affacciato persino al Festival di Sanremo con i Blastema in primis, tuttavia qui ci sono chiari riferimenti anche a Foo Fighters e Soundgarden.
E così ecco che ci si ritrova proprio “Altrove” (titolo della seconda canzone) grazie al gruppo vicentino, formato da Filippo Altafini (chitarra e voce), Teodorico Carfagnini (basso e cori) ed Emanuele Haerens (batteria e cori).
“Didone” ha testi ammalianti ed un ritornello che entra subito nella testa (senza uscirne facilmente), anche se qui il trio sembra imitare più i Negramaro, mentre “Radio Varsavia” (da non confondere con l’omonimo successo di Franco Battiato) li riporta in atmosfere molto più rock.
“Igreja de Santa Maria” ha una ritmica molto più statica (che sarebbe stato meglio evitare) ma non per questo è di qualità inferiore perché si riprende soprattutto verso la fine, anticipando “Non conta” che forse è l’episodio migliore del disco.

La cover di “Cuccurucucu” riletta in chiave modern punk stile Green Day vi farà pogare per intere giornate mentre “Special 50” vi riporterà sul “Pianeta terra”.
“Mr Davis” ha un inizio molto movimentato in cui si incastrano batteria e basso alla perfezione con chitarra e voce introducendovi ad “Altra velocità” (che in realtà alterna molti tempi diversi).
Concludono il tutto in grande stile “Fiato trattenuto” e “Miglia sotto la norma”.
Unico difetto: Se fosse stato cantato totalmente in inglese probabilmente questo lavoro avrebbe guadagnato quel punticino in più…
Tuttavia la mia vuol essere una provocazione e un invito a tradurre almeno parte dei dodici brani nella lingua madre del rock e chissà che il consiglio non venga ascoltato…

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