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Nuovo album per i siciliani Entourage!

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E’ in arrivo il prossimo 20 Novembre Vivendo Colore, il nuovo album di Entourage, band siciliana composta da Luciano Panama (vox guitar piano), Francesco Piccione (drum) e Paola Longo (bass). Dopo due anni passati nel proprio studio a scrivere e registrare, la formazione torna con 11 nuovi brani di matrice prettamente rock ma che lasciano spazio alle più svariate incursioni. Vivendo Colore segue i due Ep Yoga e Supercar pubblicati dalla band nel 2012 a due anni di distanza dal loro primo album Prisma del 2010. Vivendo Colore è in streaming sul canale Youtube degli Entourage.

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Anna Luppi: debutto solista e videoclip

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Dopo aver fondato gli Idramante e dopo i concerti in Italia, Francia, Spagna, Olanda, Slovenia, Austria, Stati Uniti e Germania, è ora il momento di mettersi in gioco come solista: Anna Luppi, nel mese di gennaio 2014, pubblicherà il proprio primo EP In Mare Aperto e lo distribuirà in tutto il mondo attraverso iTunes, Spotify e tutti gli altri principali servizi di digital download. A testimonianza della vocazione internazionale del progetto, “In mare aperto” uscirà contemporaneamente in versione italiana e spagnola. E’ giá possibile vedere in rete il videoclip del primo singolo All’Infinito.

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Adele e il Mare: nuovo video

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Si intitola La Pioggia è Finita ed è il singolo di lancio del disco di Adele e il Mare. Il brano, tratto dall’Ep autoprodotto Origami, è stato presentato con un video per la regia di Marco Carlos Cordaro. Enjoy!

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EP e singolo di lancio per gli Alphawave

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Dopo diverse esperienze ed anni di progetti paralleli Antonello Brunetti, Fabio Vitale, Davide Miccinilli e Michele Marchesano si sono uniti sotto il nome Alphawave per proporre un progetto inedito con l’ambizione di riportare il rock melodico al grande pubblico. L’EP Alphawave sarà disponibile in tutti gli stores digitale a partire dall’11 ottobre 2013 ed è anticipato dal singolo Illusions.

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Umberto Maria Giardini – Ognuno di Noi è un po’ Anticristo

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Sono naufragata milioni di volte nel mare delle mie inquietudini, e Dio solo sa quante altre tempeste emotive dovrò superare. Ma c’è un modo per far tornare la quiete, là dove per troppo tempo tuoni e fulmini hanno avuto la meglio, e questo modo è spalancare i cancelli dell’anima e dare libero ingresso alla musica. Paradossalmente, però, non tutta riesce a passarci attraverso. Può farlo solo quella fluida come l’acqua, che scivola all’interno di percorsi della mente sconosciuti, capace di scovare i sentimenti più nascosti. Parlo, ad esempio, della musica contenuta in Ognuno di Noi è un po’ Anticristo, il nuovo EP di Umberto Maria Giardini, uscito il 20 settembre 2013.

Non è un disco dall’ingresso trionfale, odia i clamori. È un amico che conosci da sempre e sa come fare a raggiungerti. Parte sicuro, ma a passi lievi, e ti viene incontro con una sezione ritmica leggera accompagnata da una voce melliflua. Subito dopo, il suo incedere lento affretta il passo e si trasforma in corsa per entrare dritto dove vuole entrare (“Fortuna Ora”). E ce la fa. Bene, amico di cui sopra, ormai hai sfondato tutte le recinzioni, cos’altro dire? Prego, accomodati. E lui si accomoda e ti parla; con fare psichedelico e ossessivo (“Oh Gioventù”), e senza proferire parola, ti fa capire che sa tutto di te, delle tue inquietudini, delle dei tuoi scazzi, delle tue incertezze, delle tue solitudini. All’improvviso ti senti nudo, spiazzato, e pensi che da un momento all’altro se ne andrà via, schifato per tutto ciò che ha visto. Ma lui non lo fa. La musica non tradisce. Comincia invece a sussurrarti all’orecchio parole come il tempo è come noi, prende tempo e non perdona (“Regina Della Notte”).

Ed allora capisci nell’inganno in cui sei caduto, è tempo perso il loop in cui sei capitato. Pochi secondi con il fiato sospeso, e poi l’esplosione in un finale deciso, un misto di gioia per esserti ritrovato, e tristezza per esserci cascato ancora. Il resto è solo una parola: “Omega”. E’ ora di farla finita. La melodiosa bellezza della voce ed un sottofondo psichedelico carico d’inquietudine convogliano in un unico, solo finale Progressive. Non è da tutti fare certi viaggi all’interno di sé stessi; ci vuole coraggio, ma conto di averne a vagoni stracolmi al binario della tua città (“Tutto è Anticristo”). Non c’è da vergognarsi per quello che ne viene fuori quando ci si guarda dentro. C’è del bello e del brutto in ognuno di noi. In fondo, Ognuno di Noi è un po’ Anticristo.

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Uscito l’Ep di Le Gros Ballon

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Le Gros Ballon ha lanciato il suo Ep, Hey!, lo scorso 20 settembre. Quattro tracce ben distinte tra loro e allo stesso tempo stilisticamente omogenee, capaci di offrire uno spaccato chiaro del progetto Le Gros Ballon. I brani sono disponibili su Bandcamp.

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Sakee Sed – Ceci N’Est Pas un Ep

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I Sakee Sed sono un duo bergamasco formatosi nel 2010. Il cantante e chitarrista Marco Ghezzi e il batterista Gianluca Perucchini determinano il centro di una formazione che a seconda dei concerti si allarga con Marco Carrara alle tastiere, synth e cori, Jonathan Locatelli al basso e Guido Leidi alla chitarra. Il loro viaggio, come stavamo dicendo, inizia nel 2010 e dopo i primi LP Alle Basi della Roncola, Bacco EP e A Piedi Nubi lo scenario cambia e si allarga verso l’apertura dei concerti dei Verdena, Bud Spencer Blues Explosion, Zen Circus, Giorgio Canali e la creazione della loro etichetta discografica Appropolipo Records.

Anche il 2013 comunque si arricchisce con l’uscita di Ceci N’Est Pas un Ep, lavoro formato da una copertina molto vintage e sei brani. Primo tra tutti “Boccaleone”, orecchiabile, incalzante, che apre l’immaginario sonoro a una vocalità piena di effetti e che mira, attraverso il video ufficiale, a sottolineare il loro essere sempre in tour e le loro influenze visive, come la leggendaria passeggiata dei Beatles sulle strisce pedonali, riproposta da tutti e in mille salse diverse. Si prosegue con “Il Mio Altereggae” che centra l’intenzione di riproporre il genere Reggae qui in versione molto Blues, con un marcatissimo levare e synth sempre presenti che arricchiscono il tutto.E si cambia scenario con “Metal Zoo” molto anni settanta dai toni forti e dalle chitarre aggressive, e con “Olderifa Express” dall’inizio destabilizzante che poi si concretizza in una delicata ballata Rock, nella quale però la voce appare poco chiara. “Jimmy è Perso Nel Delirio” invece è un breve cavalcata Rock’n’Roll/Country, al contrario dell’ultimo brano “Strappi Bianchi” che racchiude in se un po’ tutto l’Ep, dal sapore Blues e con cori sempre molto centrati.

Insomma i Sakee Sed sono un gruppo volenteroso, come direbbero le maestre di una volta, per l’indubbia voglia di fare, di studiare e riproporre in chiave più contemporanea il Rock anni settanta con delle contaminazioni stilistiche interessanti e molto centrate.Un gruppo ironico che sa prendersi in giro e sempre pronto a registrare, mixare e masterizzare i loro lavori, soprattutto Ceci N’Est Pas un Ep che verrà stampato anche in vinile e in edizione limitata.

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Jiurrande – Jiurrande EP

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I Jiurrande sono un duo acustico calabrese. Un duo di cugini, Ettore e Luca, che fin dalla scuola superiore hanno condiviso l’amore per la musica, l’hobby di una vita messo da parte per parecchio tempo, per poi decidere, però, di riprendere in mano le loro canzoni, riarrangiarle, scriverne di nuove e registrarle in casa tra Lamezia Terme e Platania (Cz) all’inizio del 2012. Questa è la loro biografia stringatissima, come pochissime sono le loro pagine sul web e questo certo non aiuta a conoscere il progetto.

Ma andiamo avanti. Alla fine della registrazione viene fuori un Ep omonimo, il primo lavoro discografico dei Jiurrande, formato da sei brani. Il primo è “Demo Goldsound” che più che brano lo potremmo definire un piccolo intro stile musichetta dei giochi 8 Bit. Il tutto continua con “Elastici” con il suo intro di chitarra e la forma canzone pop-rock più ortodossa, rispetto anche all’intero lavoro. Nonostante l’homemade  che si avverte fin da subito, il ritmo rimane l’elemento più piacevole del brano anche se qualche volta in maniera quasi impercettibile cade, al contrario della voce che non convince affatto fin dall’inizio,non amalgamandosi mai con la musica, con l’intonazione e con il ritmo. Un’alchimia che non c’è insomma. “In Dormiveglia” è il terzo brano che come inizio utilizza sempre la chitarra; la forma del pezzo è uguale al precedente, le impressioni della parte strumentale sono positive al contrario di quelle vocali, che peggiorano nettamente in “Autunnando”, quarta canzone nella quale si percepisce qualcosa di strano anche a livello strumentale (saranno stati gli strumenti scordati?) e naturalmente anche a quello vocale, il cui lamento diventa insostenibile. Penultimo passaggio è “Il Saggio” che, come prima, lo potremmo definire una poesia con sottofondo musicato al contrario dell’ultimo pezzo “Deliri”, in realtà  ghost track che non aggiunge niente e non toglie niente.

Insomma Jiurrande, avete aspettato ben dieci anni prima di riprendere a suonare la vostra musica, potevate aspettare un altro anno, altri due anni, prima di registrare e mettere in giro il vostro lavoro perché comunque il tempo è l’unica cosa davvero importante; parlo del tempo per studiare, per perfezionarsi, per creare uno stile. Questo a mio parere non è un Ep pronto; allora qual è il senso di mettere in circolazione un lavoro nel quale gli elementi positivi sono ben pochi rispetto a quelli negativi? Non certo per pubblicità o per creare con la musica una prospettiva. Forse per gioco, ma anche il gioco allora deve essere fatto bene altrimenti a nessuno andrà più di giocare.

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Insect Kin – The Faster, Louder, Loser EP (Canzoni Sull’Orlo di Una Crisi)

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Aprendosi con un’irresistibile sensazione di  voragine che si spalanca sotto i piedi con l’intento proprio di fagocitarti interamente nel suo stomaco sonico “Pretty Little Cuties”, “The Faster, Louder, Loser EP” (Canzoni Sull’Orlo di Una Crisi) –  il ritorno ematico dei milanesi Insect Kin – mette subito bianco su nero le sue intenzioni di non passare “inosservato”, un marcato contrasto che si mette a zeppa tra tantissime pubblicazioni vanesie e il tenore idiosincratico di suoni senza suono, sei tracce più una bonus track che giocano un ruolo elettrico che mette sull’attenti chiunque. Lapilli Grunge, saette Stoner e giugulari ingrossate come tubi di gomma, bypassano un effetto di lacerazione, ossessione e disagio come modalità di espressione, un disco che ti carica come pochi e come altrettanto pochi bastona il giusto.

Più che una crisi riversata su canzoni si potrebbe ridefinire una sete spasmodica di libertà elettrica, una iperveloce precisione maniacale a scansionare e costringere l’ascolto a fare i conti con i carichi e le nervature di un Rock ibrido, che non si assoggetta ai diktat fashion ma morde e sbava di suo, con la bellissima forza della schiettezza di un canzoniere issato su barricate di pedaliere e ampli infuocati e fumanti: watt e cuore dolorante, pogo e tremori a dispersione, rabbia e fretta di urlare al massimo del punteggio, una straordinaria pagina rock che gli Insect Kin griffano come una maledetta profezia col jack.

Nirvana, ombre desertiche, limature Verdeniche e sangue offuscato sono le singolarità della verve d’ascolto della formazione meneghina, una rigogliosa giungla di distorsori e poetica svenata che trova mentalmente una suo pathos elaborato, qui la leggerezza non si sa cosa sia effettivamente, tutto spacca e a volte placa come la tenerissima “Saint-Exupery”, il resto della miccia è innescato nella baldanzosità grunge della titletrack, nella stizzosità punkyes “Moondog Coronation Ball” o nelle ecchimosi bluastre che “(The dDscent)” ti lascia come un succhiotto dato da un’amante in sifilide acuta.

Gli Insect Kin sono tornati sulle scene per espandere il loro voluminoso essere, uno dei registrati più toccanti e belli che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, specie quando transita sullo stereo la bellissima tracotanza di un brano che sembra l’anima indomita di un guerriero sulle rovine del mondo “#Revolutionoutofstok”.

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Silent Carrion – Suprematism EP

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Molti filosofi nel corso dei decenni si sono dibattuti sul considerare o meno questo il migliore dei mondi possibili e se cuore non fa sempre rima con sole, spesso lo fa con amore, anche se ci sono delle eccezioni. I Silent Carrion, band trentina, infatti, faticano a sentirsi attori di questo giocoso gioco e con un nome che richiama saghe dal sapore horror si lancia musicalmente in un’ardita sperimentazione: Il primo EP, di una trilogia Drone Noise Metal, titolato Suprematism I Jupiter. Ora, per chi non si fosse perso tra cupcakes fluo e golosi pan di stelle, il Drone è un genere poco familiare alla penisola italica, figlio ingrato, forse, di Madame Black Metal e Monsieur Doom.

Non spaventatevi, quindi, voi che ascolterete l’EP, se il livello di gradevolezza e melodia scenderanno a livelli minimi, da fossa delle Marianne. Ammetto che ronzii e rumori non sono un ascolto facile per tutti i palati musicali, anzi si dovrebbe parlare di nicchia salvo che uno non sia nato in Norvegia. Con queste premesse le sei tracce, esclusivamente strumentali dell’Ep, non si presentano al meglio; i ragazzi trentini ci provano a creare nuove forme espressive del genere contaminandolo con l’Elettronica, l’Ambient e il Metal, ma l’esperimento non riesce alla perfezione e risulta poco convincente. Le classiche atmosfere Drone si perdono nel caos che si crea e sembra di vagare tra la casa di Dracula di una Gardaland attempata e un bosco del varesotto durante un raduno delle bestie di Satana. Perché anche se si parla di rumore, non vuol dire che questo non abbia delle prerogative o attitudini, e se in alcune tracce si riesce a percepire un non so che del primo Burzum sotto prozac, non si riesce a ritrovare lo stile da manuale dei padri Sun O))), creatori del manifesto programmatico del genere.

La sperimentazione spesso è un’arte e al tempo stesso una necessità per dei musicisti, e innovare e contaminare probabilmente ne rappresentano le chiavi, ma non sempre i generi lo permettono. Questo Ep non riesce a colpire nel segno, ma considero i Silent Carrion coraggiosi nell’intraprendere e nel portare avanti una loro visione musicale di un genere a dir poco ostico. Probabilmente nemmeno il Vegan Black Metal Chef avrebbe potuto, visti gli ingredienti, creare un piatto così amaro da buttar giù. Credo che questo non sia per i Silent Carrion il migliore dei mondi possibili.

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Camp Lion – Pangea EP

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Audaci i Camp Lion che tentano, con Pangea Ep, di portare in casa Italia un genere che va a pescare nel bacino dell’Alternative Noise Rock britannico. Distorsioni e riverberi che pian piano creano una scena evocativa che sale e scende, per lasciare alla voce, che mai prevale e sempre a contorno, lo spazio del sogno. Per l’esattezza il genere è lo Shoegaze ed è una branca sotterranea dell’Alternative Rock sviluppatasi alla fine dei ’90 con i My Bloody Valentine, The Jesus And Mary Chain e i Ride. I Camp Lion sono riusciti ad adattare alla nostra lingua la questione, cosa che nel precedente lavoro La Teoria di Romero risultava meno nitida.

Il risultato è un extended play che, con disincanto e morbidezza, ci racconta l’annichilimento  subordinato dell’essere umano in una società fatta di apparenze. Con una formazione tradizionale, basso, chitarra, batteria, che crea la musica adatta a questo genere di narrazione piatta senza risparmiarsi nella scelta degli effetti. La voce, infatti, risulta livellata ma non priva di ascendenze melodiche a sottolineare che in questo genere non è l’ego che la fa da padrone. Personalmente ho apprezzato molto i testi, ben incastonati nella melodia, risultati diretti ad una rassegnazione stoica. Uno fra tutti il testo di “Passeggero Spettatore” che ben sintetizza il concetto di questo lavoro sussurrandoci con una fievole melodia che “Sei un passeggero spettatore / senza il potere di rivoluzionare lo stato delle cose”.

Cinque brani strettamente Indie che, senza pretese, ci raccontano della gabbia esistenziale che ci siamo costruiti attorno, fatta di apparenze e nulla più. Pangea scivola tutto d’un fiato, ben concepito e senza fronzoli. I Camp Lion meritano di essere ascoltati perché nel loro guardare a terra c’è un amore profondo per la musica e la sua capacità di trasmettere emozioni.

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Dimartino – Non Vengo Più Mamma

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Il vero cantautore è quello capace di portarti musica e parole dentro le vene, è quello capace di farti ridere, scherzare, piangere. Innamorare. E per quanto questa fosse una frase fatta e rifatta milioni di volte è così. E’ quello che in qualche modo riesce a raccontare le storie della tua vita, un animo turbolento e viziato del quale però non riusciremo mai a viverne senza. Poi in questi ultimi anni il cantautorato prende tantissime direzioni, quello che preferisco senza dubbio è quello che (senza stare a fare nomi già noti) nasce e si sviluppa nell’Italia meridionale. Dimartino è sicuramente sulla punta della piramide dei cantautori italiani degli anni dieci, belle canzoni, impatto live importante, genuinità. Sarebbe Bello Non Lasciarsi Mai, ma Abbandonarsi Ogni Tanto è Utile il precedente disco non lasciava troppo spazio alla critica negativa, una delle migliori produzioni italiane di quell’anno, uno dei migliori dischi italiani degli ultimi anni. Adesso decide di cambiare, sperimentare, rischiare. Il nuovo lavoro (un Ep) Non Vengo Più Mamma (unico supporto fisico in vinile) non è il disco che un fan di Dimartino si aspettava di ascoltare, o almeno in parte, c’è innovazione elettronica dentro, c’è un bel fumetto scritto da Dimartino e disegnato da Igors Scalisi Palmieri da leggere durante lo “sperimentale” ascolto del vinile.

Sei canzoni a comporre il disco (Ep), senza troppe riflessioni invernali come nell’opener “No Autobus”, il pezzo che da subito mette simpatia e leggerezza sulle spalle dell’ascoltatore. Poi Dimartino decide che le parole in qualche modo debbano finire nel pezzo interamente strumentale e sintetico “Il Corpo Non Esiste”, vera e propria novità artistica del musicista siciliano.

Con “Piangi Maria” ritorniamo a rivivere quelle emozioni classiche alla Dimartino nonostante la musica sembra ancora una crescente evoluzione sonora di quello che fu un ex conterraneo assessore, uno “Shock in my Town” rigenerato nella forma e nello spirito. In “Scompariranno i Falchi Dal Paese” si prova ancora qualcosa di diversamente ispirato, nelle sequenze musicali accompagnate da un inedito Dimartino oratore. Tutto sempre completamente “diverso” dal solito nei due conclusivi pezzi “Come Fanno le Stelle” e “Non Torneremo Più”, una dimostrazione di grande versatilità e prontezza di riflessi intellettuali. Non Vengo Più Mamma sarebbe bello non lasciarlo mai andare via dal vostro giradischi, una boccata di aria nuova, pulita, il desiderio di non dare mai niente per scontato nella vita. Dimartino non delude mai anche quando gioca con qualcosa che naturalmente non gli appartiene, la sua vocazione è quella di fare musica, per il resto divertiamoci nel vederlo giocare con ben riuscite sperimentazioni, Non Vengo Più Mamma suona come una piacevole parentesi nella carriera ancora tutta da fare di uno dei migliori artisti dello stivale. Forza Dimartino, noi non ti lasceremo mai.

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