elettro Tag Archive

Recensioni #03.2018 – Porches / Paolo Cattaneo / Bianco

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Recensioni #09.2017 – Lev / Ufomammut / Black Tail / Emmecosta

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #31.03.2017

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Depeche Mode – Delta Machine

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Delta Machine”, tredicesimo appuntamento sonoro degli inglesi Depeche Mode, non è come gli altri della prosopopeica della formazione capitanata da  David Gahan, ma si allontana dai contenuti seminali della loro storia per abbracciare un blues elettronico mantenendone sempre quelle tonalità scure e di pece, travalicando i territori della loro istintività, ratificando una vena fosca e ossessiva che è – o pare – parimenti attitudine o specchio dei tempi; Gahan, Gore e Fletch con l’avvicinarsi al blues non come sperimentazione ma come nuovo pads da colonizzare, si introducono in una differenza sostanziale che nelle ballad murder e nei suoni profondi, condensati, ritirano fuori quella nozione geografica sonora che ridona respiro e vitalità alle loro genesi per ritornare quei cavalli di razza a rimordere il freno delle grandi e buone cose.

Con i precedenti Playing The Angel e Sounds Of The Universe già si aveva in tasca l’incorruttibilità di una band che col passare degli anni dava ancora gioielli neri, ma ora con questo nuovo lavoro la colorazione si tramuta in un rosso rubino maledetto, una proclamazione di bellezza che tra beat, sintetizzatori, bave sliddate e quel trascinamento lussurioso black come la notte, vive una seconda, terza e quarta vita, bellezza tutta miscelata nella “figurazione e nell’estetica”; con la produzione di Ben Hiller, Delta Machine è una vera macchina sonora, entusiasmi sfumati e una innegabile perizia strumentale, una dimensione in cui i singoloni “Angel” e”Heaven”, il Mississippi che score venoso tra le parole di “Slow”, la dance robotica che graffia il marchio sacrosanto DM “Soft Touch/Raw nerve”, la foschia vasta che annebbia “Alone” o la memoria incancellabile di una Personal Jesus che pare resuscitare dall’hook radiofonico “Goodbye”, sono l’alchimia superiore di una profonda svolta che premia questo disco tra le migliori cose uscite in questi primi mesi del 2013, e non è una esagerazione!

I Depeche Mode non tradiscono mai, hanno nel sangue – oltre che la maledizione del bello – anche tutte le sfumature del nero infinito che altri non hanno e non avranno mai.
http://youtu.be/bxi5MlJFyvE

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Kill Your Boyfriend – Kill Your Boyfriend

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Benvenuti nei deliri onirici dei veneti Kill Your Boyfriend, trio elasticizzato, che nel loro omonimo debutto garantiscono l’effetto straniante e accentuato di un bellissimo elettro-post rock e filamenti punk-wave, una digressione o meglio una imponente estensione di suoni, larsen, nenie e cosmique thing che desta attenzione nonché una buona e stralunata vertigine che si innesca sin dalla prima delle otto tracce in scaletta.

Dunque una prorompente onda color pece che si affaccia nella consapevolezza e tra le divagazioni della musica indipendente, un progetto sonico che vede in Marco Fontolan, Matteo Scarpa e Roberto Durante e nelle manipolazioni in fase di missaggio di Nicola Manzan (Bologna Violenta) la tiratura emozionale di un disco buio ma illuminato da accecanti ed impenetrabili flash di lontani anni Ottanta – ma di quelli svegli – sui quali si possono rileggere i sospiri malati di  Joy Division, Jesus & Mary Chain, Velvet Underground, quel fustigato senso maledetto che – nonostante gli anni di mezzo – esponenzialmente seguita a crescere incredibilmente, diaboliche fitte nel cuore che questa formazione contribuisce a riprodurne i fasti e le convinzioni dentro un viaggio sonoro, notturno,  a cinque stelle.

Con l’annaspo filettato di certi Sigue Sigue Sputnik che agitano la robotica di “Chester”, il disco comincia a macinare pazzie amplificate, nichilismi avanzati e coma vigili che si diffondono immediatamente nelle angolarità sintetiche di “Jacques” come negli inneschi ad ingranaggio cosmico che si fanno mantrici nelle volte di “Xavier”; è  un esordio teso, stupendamente teso che attacca togliendo il fiato fino ad incantarti del tutto, togliendoti momentaneamente un pizzico di ragione mentale in una gemma ipnotica dai sapori orientali “Tetsuo”, traccia col numero sette del lotto che su fusioni psichedeliche e tratteggi etnici-elettronici ti domina e ti fa suo al pari di un amore sacrificale.

Già sapevano di avere tra le mani un piccolo capolavoro, ed ora è inutile dire che ci avevamo visto, pardon, sentito bene!

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MF/MB/ – Colossus

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Partiamo subito dal presupposto che gli MF/MB/ non sono una band emergente in cerca di fortuna, sono di fama mondiale e molto conosciuti. Spieghiamo il perché a chi per ovvie ragioni non li conoscesse. Vengono dalla gelida Svezia e alcuni pezzi estratti dal loro primo disco Folded del 2010 sono stati inseriti in colonne sonore di serie televisive di caratura mondiale come CSI:NY e The Inbetweeners, forse avete ascoltato i loro brani tantissime volte senza sapere di chi fossero. Siamo quindi d’accordo che gli MF/MB/ sono già una grande band non in cerca di fortuna. Sotto quest’ombrello non piove di sicuro. In una fresca primavera svedese del 2012 decidono di tornare in studio per dare vita al loro secondo disco Colossus esaltando le loro capacità compositive oltre l’umana immaginazione. Colossus esce per Adrian Recordings dopo un accurato missaggio di Magnus Lindberg (Deportees, David Sandström, Totalt Djävla Mörker e Refused), Colossus ti spacca la faccia al primo ascolto. I ritmi sono esagerati, i suoni bellissimi e il concetto di musica raggiunge prospettive non ancore conosciute in Italia, o meglio, non ancora valorizzate come dovrebbero essere. La batteria spinge talmente forte che ogni drum-machine ben confezionata risulterebbe banale a confronto, i suoni freddi sanno di elettro new wave, la voce calda porta il giusto equilibrio e le chitarre scavalcano i confini della realtà. Colossus non lascia mai spazio alla libera interpretazione da parte di chi ascolta, è talmente deciso da possedere potenti armi persuasive, sono gli MF/MB/ che decidono in quali direzioni bisogna andare per godersi il disco in tutte le sue parti più intime. Gli MF/MB/ dicono del loro ultimo concept rispetto al precedente:” Colossus è auto-analisi e terapia. E’ affrontare noi stessi e la bestia che è la nostra band. In Folded la nostra rabbia e frustrazione erano dirette verso l’esterno a tutti i bastardi che non capivano. In Colossus abbiamo invece guardato dentro, sperando di ottenere risposte a tutte quelle cose che non capiamo”.

Un disco terribilmente personale al quale dobbiamo riconoscere la propria bellezza, non esistono pezzi migliori di altri, il livello si mantiene alto dall’inizio alla fine ma per dovere comunicativo sono costretto a citare l’opener “Unto Death” , il primo singolo estratto “Casualties” (di cui sotto potete vedere anche il video) e la conclusiva “You Where The Last One to do Such a Thing”. Niente viene lasciato al caso, niente può essere fatto per caso quando vengono fuori dischi del genere, una scalata verso la magnificenza in chiave gotica. Una lezione molto forte alla musica italiana ormai sempre più strumentalizzata e comandata a svolgere il compitino classico, gli MF/MB/ sono tanta roba.

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