Getting Killed: capolavoro o hype momentaneo per i Geese?

Written by Recensioni

Le luci della ribalta illuminano il combo newyorkese grazie ad un mix di influenze e atmosfere disparate, buone tanto per le nuove che per le vecchie generazioni.
[26.09.2025 | Partisan | indie rock, art rock, psychedelic rock]

In questo autunno 2025, scrivere dei newyorkesi Geese e del loro terzo disco Getting Killed vuol dire non potersi attenere esclusivamente alla musica contenuta nello stesso, visto l’hype generatosi intorno alla band in poco più di un mese, ossia dalla pubblicazione dell’album a fine settembre.

La prima domanda che ci si pone è: siamo di fronte alla tipica dinamica da bolla mediatica o c’è un po’ di oro in quello che luccica? Il roboante 9.0 affibbiatogli da Pitchfork non prometterebbe bene, vista l’affidabilità pressoché nulla del sito ormai da anni (almeno in ambito rock), ma lo stesso voto venne dato lo scorso anno ad un piccolo gioiello come Diamond Jubilee di Cindy Lee, per cui il beneficio del dubbio è d’obbligo.

La cosa interessante – e su cui vertono alcuni spunti polemici riguardo al disco – è che l’album in questione piace sia alle nuove generazioni coetanee del gruppo che ad ascoltatori più attempati (tra cui è inseribile il sottoscritto). E proprio il loro indice di gradimento “trasversale”, sempre secondo alcuni, andrebbe a detrimento del suo successo.

Non mi va di infilarmi in una polemica che trovo alquanto sterile, perché credo che innanzitutto vada valutato l’album e la musica in esso contenuta, quello che accade intorno è – e deve essere – poco più che un corollario divertente. Di certo mi viene da pensare che, se da un lato è giusto che ognuno cresca con la propria musica (se a mio padre fossero piaciuti i Soundgarden io avrei smesso di ascoltarli seduta stante), dall’altro lo scarto culturale fra un cinquantenne e un ventenne di trent’anni fa non è lo stesso di oggi.

Geese © Mark Sommerfeld
Coerenza e originalità nonostante rimandi musicali spesso distanti fra loro.

Pur con tutti questi se e ma del caso, sarebbe falso dire di trovarsi di fronte al solito disco di revival rock, anzi. Getting Killed è un mostro a più teste difficilmente incasellabile che tocca tanti generi e altrettante atmosfere, a volte diametralmente differenti, pur mantenendo una sua pazza coesione interna che ne è poi il vero valore aggiunto. Un equilibrismo musicale che tiene a braccetto varietà e fruibilità, prendendosi rischi notevoli.

Basti sentire la Trinidad che apre il disco, un brano che procede esclusivamente per strappi free jazz, mentre sotto scorre uno pseudo funk robotico, tutto il contrario di quello che ci si aspetterebbe da un disco di moda. E il prosieguo non è da meno: quasi Sunshine pop (Cobra), folk zoppicante à la Animal Collective (Husbands), cori ucraini in contesto hard rock (la titletrack), crescendo ipnotici che si fermano all’improvviso (Islands of Men), ballad sbilenche e ubriache con tanto di falsetto (Half Real), pop song deviate ma melodicamente perfette (Au Pays du Cocaine), fino a rock song sincopate e funkeggianti (Bow Down).

Una buona fotografia degli anni che stiamo vivendo.

Elemento divisivo ma quintessenziale della band, oltre al tarantolato batterista, è la presenza del cantante Cameron Winter, la cui voce ricorda una pletora di colleghi più o meno famosi (personalmente: Nick Cave, David Byrne, Thom Yorke, Will Toledo dei Car Seat Headrest, il cantante dei Clap Your Hands Say Yeah, ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito) riuscendo alla fine a risultare assolutamente personale. Ovvio che, se non gradite lui, lasciate perdere, perché la sua è una presenza continua e al limite del verboso per tutti i quarantasei minuti del disco.

In ultima analisi, non ci troviamo di fronte ad un capolavoro ma neanche a un disco figlio di un hype momentaneo: non so dire se resisterà o meno alla prova del tempo, ma, nel suo incedere sbilenco e senza facili appigli, fotografa bene questi anni frammentati e sconnessi in cui viviamo.

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Last modified: 2 Novembre 2025