A pochi mesi di distanza dalla pubblicazione del suo primo EP, il collettivo sperimentale inglese torna con un’uscita che vuole riallacciarsi al debutto gettando le basi verso il futuro.
[31.10.2025 | autoprodotto | post-rock, art rock, experimental rock]
Già a marzo avevo parlato del primo EP dei The Orchestra (For Now); posso così integrare alcuni pensieri maturati nel frattempo e parlare di questo secondo EP, Plan 76, uscito a soli sette mesi dal precedente.
Nevrosi e parti urlate e caotiche carattererizzano entrambi i lavori della band e sono riconducibili anche ai primi due EP dei Maruja, egualmente densi e strutturati. Allo stesso modo, non è un caso che in alcune parti si possano percepire echi dei Radiohead (Paranoid Android sembra una tappa fondamentale per molte band): l’alternanza tra quiete e turbine, la costruzione del crescendo e la riflessione interiore ne rappresentano un chiaro rimando; a differenza loro, però, l’intellettualismo diventa fisicità immediata, forse uno degli elementi cardine di questo BMNRcore.
In Amsterdam c’è la ripresa di un motivo di Wake Robin (brano contenuto nel primo EP e che suonava come una citazione a In the Court of the Crimson King), come un voler unire con un filo i due lavori. Accanto ad esso, il singolo Hattrick agisce da vero ponte tra le due uscite: una traccia cinematica ed esplosiva che contribuisce al carattere di Plan 76 e rinsalda il legame con Plan 75.
“Una sequenza di esplosioni e tentativi di recupero e riconciliazione”, ha affermato la band in una recente intervista. I The Orchestra hanno prediletto la continuità rispetto alla rottura: piccole variazioni, come andremo a vedere.

Due EP per un unico corpo.
L’elogio al progressive sinfonico che si mescola ad un punk rumoroso e al jazz rock è un fattore ancora predominante e centrale grazie all’impostazione da crescendo post-rock. Esso è riscontrabile in brani come Impatient e Deplore You / Farmers Market, con entusiasmanti dinamiche piano/forte. In particolare, quest’ultima mostra un lato più minimale rispetto al resto della discografia della band: gli spazi vuoti preparano la detonazione e il crescendo finale, frutto di una ricerca intenzionale e consapevole.
Se The Strip era l’episodio meno convincente nell’EP di debutto, anche qui troviamo una traccia debole: è il caso di The Administration, che si trascina stanca anche nelle sue esplosioni: il problema è la dinamica molto schiacciata e, forse, un po’ di noia dovuta a queste distorsioni prive di variazioni di modulazione.
In conclusione, si può comunque affermare che Plan 76 è un lavoro altrettanto valido rispetto all’esordio. Un ultimo elemento interessante legato ai due EP è che la band li concepisce come un unico corpo di lavoro. Questa scelta è coerente con la strategia di non voler fare un LP completo troppo presto – un “problema” generalizzato nella scena contemporanea: tra la paura di sparire in un mondo accelerazionista e la pressione di pubblicare costantemente, molte band preferiscono dividere il materiale in EP ravvicinati, anche per ragioni economiche, di attenzione e di ricezione da parte del pubblico.
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Last modified: 4 Novembre 2025




