The Emptiness of all Things, la disintegrazione terrestre nei Massa Nera

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Il nuovo album della band del New Jersey suona come una feroce e implacabile invettiva contro tutto ciò che sta annichilendo il nostro pianeta. Un allarmante concept album che ci deve svegliare come una doccia fredda.
[31.10.2025 | Persistent Vision | screamo, post-hardcore]

“Shrapnel sears through skin like heat from the sun / Family reunions held in cemeteries / eclipsed by the black moon”
(Lavender)

Calo subito la maschera: il nuovo disco dei Massa Nera è uno dei più complessi che mi sia capitato di recensire negli ultimi tempi. E lo dico totalmente affascinato da quello che la band dal New Jersey è riuscita a partorire.

C’è bisogno di ambizione nella musica urlata e nel raccontarvi l’album vorrei cancellare le etichette, perché The Emptiness of All Things, in uscita su Persistent Vision, è fortemente concettuale e decide di scomporre, sviscerare e ricostruire le influenze del gruppo, che ha sì folte radici nella scena screamo, ma che pulsa di una massiccia sperimentazione e contaminazione di generi, protraendosi in quello che, mi permetto di coniare come neologismo, è un extremscape: un paesaggio sonoro estremo totalizzante, senza pause.

Il lavoro nasce attraverso un contatto della bassista Aeryn Jade Santillan, che riceve la richiesta dalla Gabriela Lena Frank Creative Academy of Music di scrivere della musica che sviluppi l’argomento della crisi climatica globale all’interno della serie artistica Composing Earth. È una sfida per la band stessa, che si trova a riflettere su come non banalizzare l’argomento per trattarlo in modo umano e sociale, senza essere sotterrati dagli stereotipi.

Massa Nera © Wendy De Armas Dominguez / Christopher Rodriguez
Un’impietosa immagine del mondo.

Fin dalla prima e suggestiva A Body, il feeling che si ha con l’album è paragonabile al varcare la soglia di un’esibizione di arte contemporanea, piena di installazioni, affreschi, quadri, filmati sgranati e artefatti apocalittici che il quartetto del New Jersey dispone lungo delle stanze plumbee e cataclismatiche. Se viviamo in un periodo storico dove ci si interroga spesso e volentieri sul ruolo dell’arte nell’enorme dramma politico che stiamo vivendo, in cui a nobili mecenati (di spirito) si sono sostituiti sedicenti nobili (arrampicatori senza alcuna etica) che la finanziano, avere nella forma musicale questa impresa titanica dei Massa Nera sembra un raggio di luce che squarcia i cieli più minacciosi. Cieli che urlano annientamento. Cieli che incombono su una crisi esistenziale.

Qui dentro siamo sull’orlo di un crepaccio, il quartetto si destreggia e si rincorre senza alcun ritorno e pezzo dopo pezzo nei 47 minuti del lavoro, una durata che mai come in questo caso sembra necessaria per far esplodere la poliedricità esecutiva messa in campo dai Nostri.

È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, direbbe Mark Fisher, e i Massa Nera lo quoterebbero molto volentieri, del resto le descrizioni e le fotografie che ci offrono sono impietose: dai mari che vomitano petrolio e veleni, ai cieli arancioni che non sono usciti da Blade Runner 2049 ma dagli incendi californiani che annientano vita e vite.

C’è un rigetto e una repulsione che guida il gruppo dentro la patina di cucine gourmet di New York, mentre le persone normali non riescono ad affittarsi una misera stanza per guadagnare quel che serve per dormire con serenità la notte. L’album è un acuto lavoro di riflessione in cui ogni brano è concatenato con l’altro, e in cui il giudizio finale è imperdonabile: “Surpassing thresholds / Devoid of Compassion / We chose to live like this / Everything and nothing are the same / Everything that grows must die”.

È un paradosso, ma quando mi ritrovo a esplorare i temi dell’album la mia mente mi porta subito a Koyaanisqatsi, il film del 1982 con la colonna sonora di Philip Glass. In lingua hopi, Koyaanisqatsi vuol dire “vita in tumulto”, intesa come conseguenza dell’accelerazione frenetica della società moderna, costellata di metropoli e ritmi insostenibili: i Massa Nera la provano a frammentare nel 2025. E il risultato è un aspro destino. Il vuoto, il nulla.

Il DIY come risposta al collasso del sistema.

La band prosegue la critica meccanica e alienante che avevamo vissuto dentro Derramar | Querer | Borrar, ma qui raggiunge il proprio di rottura, eccellendo anche a livello musicale. Si concede infatti ampie divagazioni strumentali, quasi jammate, come in City of Mines, integrando ad esse cupi ambienti atmosferici, vedi la suite di cinque minuti e trentadue secondi Lavender, che possiede infinite anime.

Le composizioni sanno sfociare in una follia pesantissima – spicca in tal senso Pèlerin con le sue tinte math, posta in apertura come monito – ma anche concedersi una voce pulita, da cantastorie solitario in prossimità delle colonne di Ercole, come in Death Shall Flee from Them o nella spiritualità assertoria e conclusiva di New Aminism. C’è ovviamente anche l’anima punk, annidiata nelle parti più veloci come in Mechanical Sunrise, senza scordare il caos fuori controllo che si lega alle strutture robuste e violente del post-hardcore/metal che si ibrida, innestandosi nelle particelle più soffocanti in breakdown schiaccianti, come in Avalon Cove.

Echi di distruzione, personale e ambientale, come in The Best Is Over, ci trasportano così brano dopo brano dentro un manuale d’istruzioni che ama vivisezionare un certo modo di usare le chitarre e le distorsioni, i timbri di basso, le ritmiche di percussioni e batteria, con le voci che mutano forma e coinvolgimento emotivo senza problemi. Voci disperate, ma anche profetiche e dilaniate, se non malinconicamente spezzate, qualora l’architettura della canzone lo richiedesse.

I Massa Nera sono entrati nel gioco dei grandi nomi e personalmente mi sento di dover ringraziare Aeryn Jade Santillan, Allen Núñez, Christopher Rodriguez e Mark Boulanger per aver concepito una delle uscite più coraggiose e affascinanti da ascoltare nell’underground che, ancora oggi, lotta nel DIY per un cambiamento indipendente, con una spinta propulsiva collettiva, che urli ciò che sta portando al collasso inevitabile la nostra Terra e il nostro ecosistema, oramai stanco, sciupato e incrostato dall’inquinamento di parassiti che la stanno spremendo fino al midollo osseo.

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Last modified: 31 Ottobre 2025