Interviste

Intervista a Frisino

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Antonio Frisino, in arte Frisino, è un musicista e cantautore pugliese. Si avvicina al mondo della musica, in particolare a quello della chitarra, in età adolescenziale.
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Intervista a Mario Sp

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Mario D’Angelo, in arte Mario Sp, è un Dj producer di ultima generazione che, nei recenti mesi, sta provando a emergere nel panorama Deep Techno grazie anche a diverse collaborazioni con etichette di rilievo quali Klop Music, Bosom, Cubek Label e Klaphouse Records. Lo abbiamo incontrato per parlare del ruolo dell’Elettronica oggi e di quello che può esserne il suo futuro.

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Intervista ai NUDi

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Avere cura di sé || Intervista a Levante

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È un pomeriggio di metà settembre, inspiegabilmente afoso per essere a L’Aquila. La scia dell’estate appena trascorsa è di buon auspicio per il live di questa sera, penultima data del tour di Levante, al secolo Claudia Lagona, cantautrice siciliana trapiantata a Torino che deve il successo a uno sconosciuto di nome Alfonso.

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Africa Unite

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Con grandissimo onore, ospitiamo sulle pagine di Rockambula una storica band Reggae italiana. Sono gli Africa Unite con Bunna e Madaski, ovvero i fondatori e membri principali.  Con immenso piacere siamo riusciti a scambiare qualche parola con queste due icone. Tra qualche chicca passata, l’uscita del nuovo disco intitolato Il Punto di Partenza e uno sguardo sulla realtà di oggi, siamo riusciti nella realizzazione di un’interessante intervista tutta da gustare.

Ciao ragazzi e benvenuti su Rockambula, è un grande onore per noi ospitarvi. Cominciamo l’ intervista dicendo un po’ come sono cambiati gli Africa Unite dal 1981 ad oggi?

MADASKI:  Direi che non siamo più tanto ”ragazzi” (ride), ma ci piace sentircelo dire. Nell’albero genealogico degli Africa ci sono talmente tanti rami.  Io e Bunna siamo i sopravvissuti, ne siamo estremamente felici.

BUNNA: Gli Africa Unite sono sicuramente cambiati da quegli anni in cui si cominciò questo viaggio fino ad oggi. Innanzitutto quando cominciammo avevamo una grossa dose di ingenuità, l’ingenuità di un gruppo che si innamora di un genere e cerca di capire come imparare a riprodurlo suonando. Tutto è cominciato senza un preciso progetto, suonavamo perché ci divertiva e anche perché era l’unico modo per promozionarci. Negli anni abbiamo capito che cosa volevamo e quali scelte sarebbero state più importante da fare affinché gli Africa potessero provare ad avere un loro carattere musicale ed essere riconoscibili. Oggi, siamo contenti di essere ancora qui, dopo tutto questo tempo, a lavorare sul progetto con lo stesso entusiasmo che ci ha fatto muovere i primi passi.

Sempre in questo arco di tempo come è cambiata la vostra scena musicale e come il mercato, considerando che avete vissuto sia l’epoca delle musicassette, che dei dischi fino agli mp3 di oggigiorno?

MADASKI:  Il mercato è cambiato tantissimo, passando attraverso i vari supporti e i vari formati, fino quasi all’annullamento odierno. È cambiato molto l’atteggiamento delle persone, fino a pochi anni fa c’era più ricerca e fidelizzazione, la musica non mainstream era cercata e amata come cosa particolare. Ora si trova tutto a portata di mano e, se questa cosa ha risvolti positivi, in parte, dall’altra viene meno proprio quella voglia del possedere il prodotto musicale che, un tempo, era rappresentato dal disco, o vinile o cd.

BUNNA: Agli inizi, il pubblico che vedevamo ai concerti era un pubblico molto connotato. Il pubblico del Reggae, di allora, condivideva tutta una serie di elementi estetici e non solo che lo accomunavano. Per fortuna negli anni il pubblico che viene ai nostri concerti è un pubblico assolutamente eterogeneo, un pubblico che è solamente accomunato dalla passione per la musica e per l’atmosfera che solo ai live si può respirare. Questo sicuramente anche perché gli Africa sono sempre partiti dal Reggae come ispirazione originaria ma hanno molto spesso cercato delle soluzioni musicali che sconfinavano dal genere stesso. Abbiamo sempre avuto un approccio sicuramente trasversale. La scena musicale è sicuramente cresciuta sia dal punto di vista di chi la musica la fa che da quello di chi la musica l’ascolta. Ci sono state negli anni, molte situazioni gruppi, festival, trasmissioni radiofoniche dedicate, che hanno propagandato la musica Reggae e la sua ideologia ed hanno inevitabilmente fatto crescere il pubblico. La nostra generazione ha vissuto poi i vari passaggi dalla cassetta al vinile, al cd ed infine agli mp3. Con questi cambiamenti, penso, sia inevitabilmente cambiato anche l’approccio alla musica ed agli artisti che la producono. Quando compravamo un vinile lo facevamo perché adoravamo quel gruppo, perché eravamo curiosi di capire un po’ di più su i musicisti, c’era molta affezione. Questa cosa, col passare del tempo, mi sembra stia venendo meno gradualmente. Le nuove generazioni si ritrovano con lettori mp3 imballati di brani che il più delle volte non ascoltano neppure, sono sempre alla ricerca della cosa più nuova che c’è come se questa fosse la cosa più importante. Ormai siamo arrivati al punto in cui, per assurdo, anche il download è superato. Perché andare ad occupare una parte dell’hard disc con dei file, quando è ormai tutto disponibile on demand? Ormai la musica è come l’acqua, che abbiamo a casa, quando la vuoi apri il rubinetto quando non ne vuoi più lo chiudi.

“Il Punto di Partenza” è il titolo del vostro nuovo disco. È un lavoro davvero personale e introspettivo. È una sorta di rivincita o un modo per affermare una volta e per tutte la propria posizione?

MADASKI: Certo, ma affermare la propria posizione dovrebbe essere una cosa normale e quotidiana per chi è musicalmente sincero e ispirato, anche se a volte non è così purtroppo, ma sono contento non sia il nostro caso.

BUNNA: Il Punto di Partenza è un disco nel quale gli Africa prendono posizioni e distanze su e da tutta una serie di cose. Un disco che, come sempre, cerca di essere rappresentativo di quello che siamo e coerente con quello che siamo sempre stati. Un disco che segna un nuovo punto da cui ripartire, con un’attitudine che sia attuale rispetto ai tempi che stiamo vivendo ma che nel suo interno vuole usare la musica per provare a dire delle cose, fornire degli spunti di riflessione sulla realtà che viviamo ogni giorno.

Adoro “L’Attacco al Tasto”, una canzone che ha totalmente rapito il sottoscritto. Ma cosa può essere un attacco al tasto, cioè, che tipo di esperienza o avvenimento vi ha portato a scrivere questa canzone e a considerare la questione proprio come un punto di partenza?

MADASKI: L’attacco al tasto è il primo esercizio di approccio al pianoforte, la base della tecnica pianistica, con la quale si determina la posizione della mano sulla tastiera. In questo testo ho fatto un parallelismo tra la vita e lo studio dello strumento che ha influenzato tutta la mia carriera musicale.

BUNNA: Madaski con questo testo ha voluto raccontare, la sua personale esperienza di approccio alla musica e nello specifico allo studio del pianoforte, usando questa esperienza per tracciare un parallelo rispetto alla difficoltà di fronte alle quali spesso ci troviamo nell’affrontare la vita. Sottolineando l’importanza della determinazione, costanza e del lavoro per ottenere dei buoni risultati, in qualunque ambito.

Sempre riguardo la canzone “L’Attacco al Tasto” successivamente ne è stata realizzata una versione con gli Architorti. Come è nata questa collaborazione e perché vi siete applicati sulla rivisitazione di questa traccia?

MADASKI:  Marco Robino, leader degli Architorti  ha scelto il brano, evidentemente ispirato dal contenuto e ne ha creato una versione per archi e pianoforte, io la trovo stupenda.

BUNNA: La nostra collaborazione con gli Architorti non è una novità. Abbiamo, anni addietro, condiviso un progetto “Corde in Levare” nel quale il maestro Marco Robino (fondatore dell’ensemble) ha riscritto tutta una serie di brani del nostro repertorio per quintetto e per orchestra. Il risultato è stato un tour di parecchie date in cui Madaski dirigeva l’orchestra ed io cantavo i brani degli Africa su tessiture orchestrali di archi. Un’esperienza difficile ma suggestiva. Quelle emozioni ci hanno fatto ripensare a quanto potesse essere bello chiedere agli Architorti di rifare un lavoro di riscrittura simile a quello, che avevano fatto anni addietro, per un brano nuovo. Così il maestro Robino coadiuvato da Marco Benz Gentile , nostro attuale chitarrista, già membro di Architorti, ha provveduto alla riscrittura del brano “L’Attacco al Tasto”.

Parlando delle altre collaborazioni, nell’album avete come ospiti Raphael e i More No Limiz. Come è nato l’approccio con i due artisti?

MADASKI:  Sono amici da molto tempo, ho prodotto alcuni dei loro dischi, diciamo che sono dei personaggi che abitualmente frequentano il mio studio e che, sia io, sia Bunna stimiamo molto.

BUNNA: Le collaborazioni che facciamo nei nostri dischi derivano sempre da un’amicizia e dalla stima che nutriamo per certi artisti. Anche questa volta è andata così. Raphael pensiamo sia un grande talento della nuova scena reggae italiana, More No Limiz è un giovane e bravo cantante con il quale ci è capitato di condividere il palco più di una volta e quindi ci siamo resi conto, anche nel suo caso,  della particolarità della sua voce e delle sue tessiture melodiche. Quindi se possiamo far conoscere nuovi talenti al nostro pubblico lo facciamo molto volentieri.

Per quanto riguarda il tour cosa ci dite? Dove suonerete nei prossimi giorni? Una data a Napoli è prevista?

MADASKI: Molto difficile suonare a Napoli. È da molto che manchiamo, a noi farebbe molto piacere ma, spesso, non siamo noi a determinare l’ubicazione delle date, ma i promoter locali a chiamarci.

BUNNA: Abbiamo finora fatto una decina di concerti e ne abbiamo ancora un bel po’, fino alla fine settembre. Il calendario è ancora aperto e siamo convinti, per come sta andando, che si aggiungeranno ancora parecchie cose. Napoli, per ora, non è prevista ma ci piacerebbe molto ripassare di lì a suonare. Se succederà, lo saprete! Tenete d’occhio il nostro sito: www.africaunite.com e se ancora non l’avete fatto scaricatevi il disco, è gratis!!!!

In trent’ anni vi sarà capitato di tutto: qualche idea vi sarà maturata, altre ancora saranno mutate e qualche obbiettivo sarà cambiato ma attualmente gli Africa Unite a cosa aspirano?

MADASKI:  A fare ciò che più ci piace, con molta onestà. Suonare e continuare ad esprimere le nostre idee, indipendentemente dal genere, cercare di essere originali e fortemente connotati, insomma ci piace essere Africa Unite.

BUNNA: Gli Africa aspirano a suonare il più possibile perché quella è la dimensione che più ci rappresenta, che più ci diverte. Speriamo che il pubblico continui a frequentare i nostri concerti e che il ricambio generazionale che c’è sempre stato continui ad esserci.
Bisogna sempre ricordarsi che un gruppo deve tutto al suo pubblico perché è grazie a lui che si possono continuare a fare i concerti. Il giorno in cui non puoi più contare sul supporto e sulla presenza dei tuoi fan, puoi appendere la chitarra al chiodo.

Prima di concludere vi piacerebbe condividere con i nostri lettori un bel ricordo che hanno gli Africa Unite di un episodio che è accaduto nell’ arco della carriera?

MADASKI: Sono negato per queste cose!!!!!

BUNNA: Suonare in Giamaica è sicuramente stata, per me, un’esperienza indimenticabile.
Nel 1991, andare a suonare il Reggae dove questa musica è nata è stata per noi, gruppo italiano, una cosa che sicuramente non dimenticheremo mai. Ci sarebbero moltissimi altri episodi, magari meno esotici, ma non meno emozionanti da raccontare, ma ci vorrebbero troppe parole. Lasciamo che parli la musica!!!!!

Bene ragazzi l’ intervista si chiude qui, concludete come meglio vi pare.

MADASKI: Avere la possibilità di esprimersi attraverso la musica è una cosa stupenda ma sempre più difficile, occorre riflettere bene su questo concetto perché è alla base della nostra attività. Non tutti nascono musicisti e la tecnica non serve poi a così tanto, anche se è indispensabile per muoversi in questo ambiente. E’ sempre necessario avere ben chiaro cosa dire prima di salire su un palco. Bisogna essere curiosi.

BUNNA: La musica può far ballare, riflettere, viaggiare la si può sentire su un giradischi, in un’autoradio, un lettore mp3, ma la magia che si può respirare ad un concerto è una cosa unica. Quell’ alchimia che si innesca tra chi suona e chi ascolta non si può riprodurre in altro modo se non facendone parte. 1Luv!!!

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Stearica

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Il 18 luglio, subito dopo la loro performance per A Night Like This Festival, abbiamo intervistato Davide e Francesco, batterista e chitarrista degli Stearica, band di Torino che ha da poco pubblicato il suo ultimo album, Fertile. Buona lettura.

M. Innanzitutto buonasera. Avete appena suonato, qualche considerazione a caldo su questo live?
D. Eh, c’era la pioggia, è stato divertente (ride). Abbiamo tirato corto per suonare mezz’ora. Siccome abbiamo pezzi molto lunghi dobbiamo tenerci parecchio. Però è stato un bel live.

M. Vedo che portate la maglietta di Fertile, il vostro ultimo album, parliamone un po’. Cos’è questa fertilità, cosa eravate pronti a seminare?
F. Diciamo che il periodo in cui abbiamo composto il disco era un periodo molto “fertile”. Probabilmente sta continuando ad esserlo, anche se son cambiate tante cose da tre anni a questa parte. Lo era perché era un periodo in cui stavamo suonando al Primavera Sound, a Barcellona, e ci siamo trovati proprio nel mezzo delle manifestazioni del movimento degli Indignados che ha poi avuto un certo riverbero nel nord Africa e nel Medio Oriente, in quei movimenti che se ricordi hanno preso il nome di Primavera Araba, C’erano delle grandi speranze in quel momento, dell’energia e ci ha colpiti.

M. Voi fate purtroppo parte di quella schiera di musicisti che all’estero riescono a suonare tantissimo, e sono anche molto conosciuti…
F. Ma in Italia no, diciamolo! (Ridono).

M. Ecco appunto, in Italia no. Cos’ha l’Italia che non va? Cosa c’è in Italia che non permette il diffondersi della vostra musica?
F. In realtà non lo sappiamo. Quest’anno stiamo provando a suonare di più e già arrivare a dei festival come questo ed il Siren (Vasto Siren Festival n.d.r.) per noi è un piccolo traguardo, che raggiungiamo dopo 18 anni che suoniamo. Abbiamo cominciato prestissimo a suonare all’estero, perché è sempre stato più facile. Mandavamo il materiale in Italia e lo mandavamo all’estero: fuori ci chiamavano, qua no.
D. Ed è ancora così. Stanno per uscire le date dell’ennesimo Tour Europeo, ed in Italia niente. Continua ad essere esattamente come prima.
F. Apriamo un’inchiesta con i lettori di Rockambula: com’è possibile che in Italia non si riesca proprio a suonare? Dobbiamo forse cambiare deodorante? (Ridono).

M. Voi vi siete fatti un’idea del perché in Italia non riuscite a suonare?
F. Le idee ce le abbiamo ma sono cattive e non le possiamo dire.

M. Ma Rockambula è una webzine senza peli sulla lingua… (Ridono)
F. Guarda in realtà non lo sappiamo davvero. La cosa che ci dicono sempre è “ spaccate, siete fighissimi e bla bla bla…” ma quando arriva quel momento in cui se lì con i pugni stretti e continui dicendo “E quindi?” in realtà poi non succede mai niente. Quindi dobbiamo sempre farci un po’ di chilometri per suonare. E soprattutto non possiamo mangiare il cibo italiano.
D. La cosa bella di quando suoni in Italia è che comunque mangi sempre bene.

M. Portarsi dei sughi da casa? (Ridono)
F. Qualche volta abbiamo fatto anche quello.

M. E di Torino invece cosa mi dite? Com’è stato tornare a suonare nella vostra città?
D. Abbiamo presentato Fertile allo Spazio 211, ed è stato molto molto bello.

M. Come l’avete ritrovata, musicalmente parlando?
D. La serata degli Stearica allo Spazio è una cosa, la città di Torino musicalmente parlando è un’altra cosa. Io sono abbastanza deluso di quello che ha fatto Torino negli ultimi 2-3 anni. C’è stato un periodo in cui sembrava potesse diventare una città del calibro di Berlino o Londra, l’attitudine era verso quel tipo di realtà. Artisticamente parlando c’è un gruppo di gente che suona, ma alla fine non si quaglia. Ovviamente parliamo sempre del nostro ambito e settore musicale.
F. Nonostante abbiano aperto anche diversi locali, che poi però nel frattempo hanno anche chiuso.
D. Ecco, a me sta sul cazzo che c’è stato proprio un momento, circa 4-5 anni fa, in cui vedevo uno sviluppo di situazioni e di festival, di cose belle che succedevano. Poi ad un certo punto improvvisamente si è fermato tutto quello che sembrava stesse nascendo.

M. Voi avete avuto modo di vivere la scena della Torino Punk Hardcore?
D. I nostri primi live, quando avevamo sedici anni, li abbiamo fatti insieme a gruppi Punk Hardcore, pur non suonando Punk Hardcore. Eravamo in quel giro lì.
F. Ecco vedi, quella lì ad esempio è stata una cosa pazzesca. Quel periodo lì che ovviamente per noi è una delle poche scene che riconosciamo come valide, c’era una apertura mentale ed una voglia di aiutarsi, anche tra i gruppi. Ricordo sempre quando suonavamo alla Delta House e ci dicevano che facevamo musica da viaggio, da trip. E ci suonavamo con facilità, avevano piacere ad invitarci. Quando abbiamo cominciato a suonare noi, 18 anni fa, c’era un’attitudine, c’era molta forza, energia. Adesso la sensazione che ho è che si tende a curare tutta una serie di cose. Già da quattro anni a questa parte i Social hanno cominciato a dettare tutte le regole.
D. Devi categoricamente essere un gruppo da Social.
F. C’è questa storia che bisogna avere quel tipo di facciata, quel bisogno di far vedere che vai a cagare e ti fai il selfie sul cesso. E non lo fa solo Arisa, lo fanno anche i signori dell’Indie. Non ho la sensazione che si voglia creare qualcosa tra gruppi, poche volte succede.
D. Sembra ci siano dei canoni preconfezionati che devi per forza seguire.
F. Forse è questo uno di motivi per cui abbiamo sempre suonato poco in Italia. Forse non abbiamo coltivato un certo tipo di immagine, un certo tipo di contatti. Però ti ripeto, non è una cosa che ci interessa, non ci appartiene.

M. E per quanto riguarda il discorso dell’attitudine di cui parlavi prima…
F. Io credo che se suoniamo in un certo modo è perché siamo nati e vissuti in un certo periodo. Quando ci chiedono i nostri riferimenti, musicalmente è difficile dirlo, anche perché abbiamo sempre suonato cose diverse da quello che ascoltavamo. Più che dei riferimenti musicali, noi abbiamo proprio avuto dei riferimenti umani, è questa la differenza grossa, ed è stata una roba che ci ha fatto dare veramente una svolta ai tempi, e che oggi ci fa un po’ soffrire, perché ci sentiamo un po’ fuori da questo tipo di mondo.

M. Cosa vi portate oggi dietro di quegli anni, di quel periodo che avete vissuto. Come lo riproponete oggi?
D. Con quell’attitudine che vedi sul palco.
F. Quando suoniamo vogliamo spaccare il culo, ma nel frattempo proviamo profonda tristezza nel vedere che dall’altra parte del palco non è più così.

M. E dall’altra parte, all’estero, cosa c’è che qui manca?
D. C’è più curiosità, meritocrazia, cultura musicale, ascolto. Che poi se ti piace la musica è quello che dovresti fare. All’estero c’è chi ascolta la musica e va ad ascoltare le band che non conosce. Se gli piacciono si gasa, e poi magari compra anche i dischi.

M. Bene, siamo giunti al termine, io interrompo l’intervista e vi ringrazio. È stato molto bello parlare con voi.
F. La cosa è reciproca.
D. Ciao, alla prossima

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Rebeldevil

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I Rebeldevil sono un gruppo formato da icone del Metal tricolore: Dario “Kappa” Cappanera, GL Perrotti, Ale Demonoid e Paolucci. Esperti musicisti che ne hanno viste di tutti i colori tra successi e insuccessi. Abbiamo l’onore e il piacere di scambiare due chiacchiere con Dario “Kappa” Cappanera. Si è giunti a parlare del nuovo disco del gruppo, The Holder the Bull, the Harder the Horn, fino a scovare qualche piccola chicca. Non resta che gustarsi l’ intervista.

Ciao Dario e benvenuto su Rockambula. Cominciamo a dire come sono nati i Rebeldevil. Come è avvenuto l’incontro tra questi quattro big del Metal italiano?

KAPPA: Nel 2007 mi ritrovai con una manciata di brani finiti, che dovevano finire nel secondo ipotetico album per una reunion dei Cappanera (la band di Materializin Dream, Lucretia Records) ma la cosa non funzionò. Fu allora che una sera in giro per locali con Ale Demonoid si parlava del fatto che mi sarebbe dispiaciuto non utilizzare quel materiale, e di chi avrebbe potuto fare al caso mio per cantarli. Demonoid allora menzionò Gl Perotti, con cui ero già amico dal 1993. Provai a chiamare Gianluca, gli mandai il cd con dodici pezzi  e lui che tra l’altro veniva da un periodo parecchio triste, avendo appunto perso la madre da poco, si entusiasmò alla cosa, anzi fu per lui un esorcizzare i suoi mali; si buttò anima e corpo sui quei brani e poi scese giù a Livorno a farci ascoltare cosa aveva fatto. Provammo e qualche settimana dopo eravamo in studio al Larione di Firenze per la produzione di un demo, poco dopo l’album e uscimmo nel 2008 con Molten Metal Productions U.K, un marchio inglese gestito pero’ da un nostro amico di Firenze.

“The Holder the Bull, the Harder the Horn” è effettivamente il secondo disco dei Rebeldevil. Perché non ci spiegate di cosa tratta e a quali tematiche vi siete inspirati?

KAPPA: Beh gia’ dal titolo ci proponiamo di affrontare il fatto che anche per noi sono passati ormai venti anni, in giro tra palchi, dischi, glorie e fallimenti. Il mondo intorno a noi è cambiato radicalmente in peggio, la musica e’ ormai un completo deserto creativo e pur avendo un eta’ media sui quaranta, quarantacinque anni ci sentiamo già dei veterani.  In questo senso volevamo dimostrare che appunto “più vecchio è il toro, più duro e’ il corno”; senza esperienza e chilometri alle spalle non si crea niente di concreto o di qualità. Questo e’ il Rock n’ Roll, anni e anni passati tra sudore, lacrime, notti insonni, chilometri macinati, palchi, vittorie e glorie da una parte e fallimenti e delusioni dall’altra.

Come si è svolto il lavoro di ognuno di voi; cioè quale è stato il  contributo di ogni membro?

KAPPA: In questo senso, io purtroppo o per fortuna ho un mio modo di lavorare; nel senso che quando scrivo, scrivo di getto e finisco la canzone, in senso armonico e di stesura; su alcuni brani ho anche scritto testo e melodia vocale, (“Angel Crossed My Way”, “The Older the Bull the Harder the Horn”, e “Crucifyin You”) . Quando il brano è steso, lo passo a Demonoid che arrangia con me le parti di batterie, stessa cosa per Paolucci al basso. Il pezzo finito poi va a Gl che finisce linee melodiche e testi. Per questo album è stato ancora una volta così, ma abbiamo fatto tutto in studio insieme in quindici giorni complessivi, dalla scrittura, alla stesura, arrangiamento e tutto il resto;  tutto di getto, buono alla prima, senza menate, alla vecchia maniera. 1.2.3.4 Rock n’ Roll.

Il disco è un autoprodotto. Siete in cerca di un’etichetta o continuerete per questa strada? Ma soprattutto c’è qualcuna che vi ha contattato?  

KAPPA: Abbiamo fatto girare il demo dell album a due o tre etichette indipendenti italiane, ma non e’ interessato nessuno; abbiamo così optato per un’autoproduzione totale con la sola uscita in digitale, veloce e indolore, tutto fatto in casa.

Parlando appunto di futuro, i Rebeldevil sono un progetto che avrà una concreta costanza? Insomma il gruppo continuerà ad esserci?

KAPPA: Beh noi vorremmo, ma sta diventando sempre più difficile poter tenere in vita una band del nostro livello senza finanziamenti da parte di terzi (leggasi case discografiche). Quindi non so, per questo anno siamo usciti, abbiamo fatto un grande album di canzoni che ci ha dato molta soddisfazione personale, abbiamo organizzato una manciata di concerti, che stiamo ancora facendo in giro, se pur non molti. Prendiamo quel che viene e cerchiamo di divertirci, poi si vedrà.

Che differenze ci sono tra “The Holder the Bull, the Harder the Horn” ed il vostro primo disco, “Against You”, pubblicato nel 2008?

KAPPA:  Beh Against You era un album più Metal, se vogliamo, inteso come “metal moderno”, molto aggressivo e incazzato, sempre con un retrogusto Blues ma pur sempre Metal; quest’ ultimo e secondo album è arricchito da brani più Rock e Blues, ed altri molto più Hair Metal anni 80. C’e’ decisamente un Flavour Heavy anni 80 in alcuni brani ed il resto più Southern Hard Blues, credo.

Avete in progetto di girare un nuovo video?

KAPPA: Siamo riusciti a malapena a far uscire “Rebel Youth” con i nostri ridotti budget autofinanziati; volevamo farne un secondo per “Remember” ma i budget scarseggiano. Insomma qua questo Metal non paga più, e diventa appunto difficile investire da noi in nuovi progetti, abbiamo famiglie, responsabilità ed una vita pure noi.

Questo nuovo disco come è stato accolto dal pubblico e come dalla critica? 

KAPPA: In questo non sbagliamo mai, la critica recensisce i nostri album sempre come Dischi dell’ Anno, come qualcosa che non si sente dai tempi che furono:  grandi elogi, grandissime recensioni e questo ci fa molto piacere. Allo stesso tempo però ci fa pure girare i coglioni: la consapevolezza di essere così bravi a fare il nostro lavoro ma senza raccoglierne i frutti meritati ci ha davvero rotto il cazzo.

Bene Dario, l’ intervista si chiude qui. Concludi come meglio ti pare…  

KAPPA: Beh innanzi tutto grazie a tutti voi per questa chiacchierata, siamo sempre grati e riconoscenti a chi ci supporta; se potete venite ai nostri show, non vi deluderanno. Un’ora con noi equivale ad un’ora passata ad ascoltare grande musica suonata impeccabilmente e con molta passione. Se invece non vi va, andatevene affanculo e continuate a scrivere le vostre stronzate su Facebook !!!!

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Anthony Laszlo (video intervista)

Written by Interviste

Il nostro collaboratore Lorenzo Faustini qui nelle vesti del suo alter ego cantautorale La Scimmia ha realizzato questa bella intervista ad una delle band più promettenti del panorama nazionale, Anthony Laszlo.

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Dr. Quentin & Friends

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Dr. Quentin & Friends è un progetto aperto che ruota attorno alla figura carismatica di Quinto Fabio Pallottini. Lo abbiamo incontrato subito dopo il live Aspettando il Primo Maggio per parlare di presente e futuro della sua musica.

Partendo dal farti i complimenti per la recente vittoria alla finale abruzzese di Arezzo Wave e il mio in bocca al lupo per la prossima apertura a Marlene Kuntz e Lo Stato Sociale, ti chiedo subito, perchè hai vinto tu?

Quentin ha vinto per l’energia della sua esibizione e la capacità di colpire la gente e la giuria.

Di recente hai deciso di rinnovare completamente la formazione, i tuoi “friends”. Cosa ti ha portato a questa scelta?

Il motivo principale è che uno dei membri non si sentiva più parte del progetto. Un amico che ha suonato con me per anni ha scelto di non continuare ma il progetto non si fermerà mai. Solo lui ha scelta di prendere una strada diversa e gli auguro tutto il bene del mondo.

Vieni dal Punk, hai intrapreso strade Folk per poi puntare dritto sul Reggae. In realtà, la tua musica sembra essere qualcosa che va oltre le definizioni. Tu come la descriveresti? Come nasce la tua musica?

Semplicemente Paghetti Reggae; musica jamaicana suonata da italiani. Nello specifico Reggae contaminato da Rock, Punk e tanto altro. Un “metallaro” potrebbe chiamarlo Nu Reggae.

Molti credono che la forza della tua musica stia tutta nel tuo carisma. C’è qualcosa di più che finisce per colpire chi ti ascolta?

Non è la prima volta che me lo sento dire. In effetti, specie durante i live, il mio carattere è la prima cosa che ti rapisce e che aiuta a creare un certo legame col pubblico. Tuttavia riesco a colpire anche attraverso i brani, fatti di piccole storie di vita capaci di spingere all’immedesimazione al trasporto nonostante l’uso della lingua inglese.

Pensi che si possa emergere in Italia anche senza scendere a compromessi con i gusti, spesso discutibili, del pubblico?

(Ride ndr) Non ho minimamente idea di come si faccia ad emergere in Italia. Il successo vero sembrano raggiungerlo solo quelle merde dei reality che sfruttando quella merda di televisione. Io faccio solo quello che voglio fare, cercando di stare in pace con me stesso. La musica mi fa sentire vivo e l’ascoltatore italiano medio è semplicemente mediocre.

Qual è la più grande soddisfazione che hai avuto dalla tua, ancora breve, vita da musicista? E la più grande delusione?

Nelle poche occasioni in cui ho suonato con i grandi, la soddisfazione vera è stata sentirsi dire dal cantante dei Giuda che i miei sono grandi pezzi. La delusione… nessuna.

Hai da poco pubblicato un Ep. Cosa hai in programma per il futuro?

Il mio percorso è iniziato in maniera concreta due anni orsono. Devo andare avanti, pubblicando un album con inediti, cercando di esprimere tutte le mie idee e la mia musica.

Pensi che ci siano ancora veri talenti in Italia? Hai qualche nome da suggerirci?

Sinceramente non sono molto interessato alla musica italiana. Mi gasa quella strafica di Levante.

Le tue liriche sono prevalentemente in inglese. Un limite per il mercato italiano ma spesso una necessità espressiva. Credi che sia questa la scelta giusta? E perchè?

In realtà credo non sia poi cosi’ importante la lingua o il significato delle parole. La melodia conta davvero. Capisco che in Italia sia un limite non riuscire a farsi capire ma chi è davvero colpito da una melodia troverà il tempo di capire anche le parole. Quello che dobbiamo trasmettere sono soprattutto emozioni e a questo basta la musica.

Cosa vorresti trasmettere nello specifico? Credi di essere riuscito, fino ad oggi, nel tuo intento?

Voglio che gli altri provino esattamente le stesse emozioni che io provo nel momento in cui compongo una canzone.

Dammi il nome di un artista Indie italiano che credi abbia più successo di quello che si merita…

Lo Stato Sociale (ride ndr)

Nel tuo ultimo lavoro in studio sembra emergere la voglia di dare più risalto all’aspetto vocale (cosa che rende il sound più “Pop”) piuttosto che alla musica, mentre nei live le ritmiche gonfiano il tutto di una forza e un dinamismo maggiore. Hai la necessità di capire ancora la tua strada o è stata una precisa scelta fatta a tavolino?

Il sound è in continua evoluzione. Più suono e più riesco a farmi un’idea di quello che posso creare. Non avete ancora ascoltato nulla e quello che deve venire sarà qualcosa di unico, vedrete. Il sound che ho in testa non è esattamente quello che avete ascoltato.

Dove credi di poter arrivare, mettendo da parte i sogni e le illusioni e provando a ragionare con freddezza?

Sky is the limit

Quale credi che sia la cosa più importante nel fare musica? La capacità di essere innovativi, la tecnica, la coerenza, l’anima, la capacità di cogliere i desideri della gente o cos’altro?

Passion. La passione

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Mom Blaster

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Nascono nel 2010 e iniziano sin da subito a scrivere propri brani e proporli live abbinati ad alcune cover, affascinati dal reggae ma con il dna di rocker, miscelano il sound jamaicano con il rock pop europeo, generando uno stile che loro amano definire rock in levare. Diamo un ben venuto nelle pagine di Rockambula ai Mom Blaster.

Ciao ragazzi, raccontate chi sono i Mom Blaster ai lettori di Rockambula.
Siamo quattro ragazzi di Lanciano (Chieti), abbiamo messo su la band nel 2010, ci piaceva l’idea di suonare un rock bello ritmato con tanto reggae e dub, per definirlo in due parole l’abbiamo chiamato “rock in levare”. Nel 2013 abbiamo firmato per l’etichetta Ridens Records e abbiamo pubblicato il nostro primo disco We Can Do It!, nove tracce cantate in inglese molto contaminate, forse troppo per alcuni, ma noi siamo fatti così, ogni membro della band proviene da esperienze musicali diverse, non poteva uscire un lavoro “monostilistico” musicalmente parlando. Abbiamo suonato il disco in giro per l’Italia e pare che sia piaciuto e questo ci ha dato la forza di andare avanti e di provare però ad evolverci (secondo il nostro punto di vista), passando al cantato in italiano e ad un sound con più elettronica.

”Ciò che è Giusto” è il primo singolo estratto dal vostro nuovo album la cui uscita è prevista in autunno. Come è nato questo pezzo e qual’è il messaggio che volete mandare a chi vi ascolta?
Per noi questo brano è un manifesto politico, contro ogni tipo di prepotenza e sopruso di cui siamo in quest’epoca spettatori ogni giorno. Pensiamo al sistema economico che continua a mietere vittime, al sistema malsano della nostra politica, agli estremismi religiosi, ai politicanti razzisti e così via. Ciò che giusto per noi sarebbe fermarsi e riflettere, chiedersi dove stiamo andando e se è questo il mondo che vogliamo. Il videoclip su Youtube aiuta ancora meglio a capire il messaggio che vogliamo dare con questo singolo.

Questo vostro lavoro rappresenta, come da voi detto, un cambio di direzione rispetto al precedente album We Can Do It. Perchè?
Dopo due anni di attività intensa, ci sentiamo più maturi e abbiamo anche le idee più chiare su ciò che vogliamo dire e cosa vogliamo suonare. Con l’ingresso di Marco Cotellessa nella band, abbiamo dato un taglio con molta più elettronica dato che a lui piace molto farla, anche se è un chitarrista, è appassionato di Deadmau5 e Skrillex, ed essendo rockettari da sempre, ci siamo spostati verso il rock, dando meno peso al reggae, anche se dei richiami nei brani ci sono, soprattutto dub. Importante è anche il passaggio ai testi in italiano, questo perché abbiamo visto suonando in giro che i messaggi in inglese fanno fatica ad arrivare, su We Can Do It! ci sono testi bellissimi ma purtroppo durante i live vedevamo la gente più presa a ballare che ad ascoltare, con questo disco vorremmo che le cose si invertissero.

Quali sono gli artisti da cui vi fate maggiormente ispirare?
Sono tantissimi, diciamo che chi ascolta questo singolo sente molto tra Subsonica, 99 Posse, Almamegretta, Casino Royale e Africa Unite. Ce ne sarebbero altri, ma questi grandi nomi bastano per far capire la direzione.

Ci volete dare qualche anticipazione riguardo il prossimo album e cosa non mancherà sicuramente nella musica dei Mom Blaster?
Sicuramente sarà un disco che piacerà ad una fetta larga di ascoltatori, questo perché ci sarà un mix tra la bellissima voce di Monica che in italiano è ancora più calda e profonda, e la musica che spazierà dalla ballata indie pop al drum&bass, il tutto unito da un filo conduttore tipico mom blaster: il rock in levare. I testi racconteranno storie, anche abbastanza dure, fatti di vita di quest’epoca buia. Ci auguriamo che piaccia e che sia una proposta interessante “e diversa” nel panorama della musica indipendente italiana.

La vostra collaborazione con la Ridens Records continua già dall’uscita del precedente lavoro, cosa porta una band a voler avere un contratto discografico?
L’etichetta ci aiuta ad essere più stabili e a rimanere concentrati sul lavoro da farsi, che è veramente tanto. E’ un supporto che ogni gruppo dovrebbe avere anche come mezzo di confronto con persone che non sono dentro la band e che ti danno differenti punti di vista su ciò che può essere la produzione ma anche la promozione e la comunicazione del disco, non è roba da poco.

Vi lasciamo le ultime righe, libere, per qualsiasi messaggio vogliate mandare…
Più che un messaggio un consiglio: ogni tanto spegnete il cellulare, recatevi in un posto tranquillo, isolato e ricco di natura, mettevi le cuffie, chiudete gli occhi e fate partire la musica che più preferite, pensate a voi e chi amate, alle cose belle che vi sono capitate e che vi potranno capitare, dimenticate lo schifo che ogni giorno vi circonda, sarà un’ottima terapia. Provare per credere, parola di Mom Blaster!

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Smoke The Bees

Written by Interviste

Tra le pagine di Rockambula accogliamo i piemontesi Smoke The Bees che ci portano all’interno del loro debutto musicale del loro Garrincha. Un viaggio musicale che fonde diverse espressioni e influenze della scena alternative in una contaminata armonia di forte identità rock.

Ciao ragazzi, presentate i Smoke The Bees ai lettori di Rockambula a partire dalla curiosa scelta del nome.
Smoke The Bees è un progetto musicale alternative rock fondato a Torino da Lorenzo Rando nel 2011. Smoke The Bees si traduce con “affumicare le api”, un processo dell’apicoltura in cui l’apicoltore getta del fumo nell’alveare. Questo fumo confonde le api, mescolando gli odori e prevenendo la produzione del feromone che informa le api del pericolo causato da una persona esterna che si introduce nell’alveare. Qui si gioca la dicotomia tipicamente modernista di conformismo di massa vs alienazione individuale. Le api, infatti, smarrendosi, lasciano che la vita si prenda gioco di loro, proprio come noi. La nostra musica nasce da una naturale propensione a miscelare diverse espressioni della scena alternative in una contaminata armonia.
La line-up attuale è:
• Lorenzo Rando (chitarra, voce)
• Maze (basso)
• Samir Hadade (batteria)

Il vostro lavoro Garrincha si presenta abbastanza eterogeneo musicalmente. Dato che sono “solo” sei pezzi vi va di dirci una parola o anche un aggettivo per descriverli tutti?
I sei brani di Garrincha sono quasi una sfida al classico formato da EP, essendo a tutti gli effetti più vicini a un album. La sfida si sviluppa in modi e umori diversi nel corso del viaggio musicale che il disco propone; dai tempi dispari dell’orecchiabile “Yonder” al singolo radio-friendly “Garrincha”, il viaggio continua ambiziosamente verso una “Wrong” tutta orientata al groove di basso e batteria. “Chief Seattle”, figura storica di un passato infelice della colonizzazione nord-americana, e “The Mule”, un’antica favola di Esopo, sono un apprezzato cambio di passo che sfocia poi nell’atmosfera scura e sinistra del finale “Murder Song”.

Esiste un filo rosso che unisce i vari brani?
La creazione di Garrincha EP è stata naturale e organica così come la relazione dei suoi musicisti. È un lavoro arrivato come una necessità di lasciare un “segno” musicalmente e artisticamente in una forma che non fosse quella eterea e sfuggente di un gruppo emergente.

Il nome Garrincha è un tributo all’omonimo calciatore brasiliano che dopo tanto successo avuto nel mondo del calcio per il titolo di miglior dribblatore decide di condurre una vita di eccessi per poi farla finita. Come mai vi siete ispirati a questo personaggio?
Seguiamo il calcio, anche se non ci consideriamo particolarmente ossessionati. Insomma, se dobbiamo scegliere se suonare o vedere una partita suoniamo, per capirci. Abbiamo scelto questo pezzo per far conoscere la storia di questo affascinante personaggio che spesso passa in sordina ai più in favore di nomi più blasonati. Rientra nelle scelte poetiche dei testi che spesso approfondiscono storie di persone, luoghi e situazioni curiose e singolari.

L’intento è quello di riuscire a riproporre fedelmente quello che si sente su disco nei live, secondo voi qual è il segreto per raggiungere questo stato di equilibrio?
Gli strumenti suonati sono esclusivamente chitarra elettrica, basso e batteria, con l’obiettivo di rendere il disco il più vicino possibile alle performance live. Garrincha EP mostra, secondo noi, scelte musicali eclettiche pur mantenendo una coesione artistica e musicale del tutto, che conferisce un sound distinto e piacevole. È una netta dichiarazione di intenti da parte nostra che fungerà senz’altro da promessa a nuove idee musicali che nel breve termine daranno vita al nostro primo album originale.

Progetti futuri, c’è in mente l’uscita di un nuovo videoclip o già lavorate al nuovo album?
Stiamo valutando la possibilità di realizzare un nuovo videoclip. Il feedback dei nostri fan è fondamentale per noi,. Cogliamo quindi l’occasione per chiedere ai nuovi ascoltatori quale sarebbe il pezzo di cui vorrebbero vedere un prossimo video! Nel frattempo continuiamo come assiduità la fase compositiva. Buona parte del nuovo album è infatti già stata scritta. Siamo molto ottimisti in virtù di una crescente intesa musicale e maturità compositiva, e coglieremo i prossimi appuntamenti live per presentare ai nostri ascoltatori dei nuovi brani in anteprima.

Visto che ci siete, nel salutare, volete ricordare qualche appuntamento live in particolare?
Molto volentieri! I concerti in programma sono venerdì 12 giugno in occasione della Festa della Musica, in cui suoneremo un set acustico per le vie storiche del Quadrilatero Romano di Torino. Il giorno seguente, sabato 13 giugno, suoneremo presso il negozio Pepe Jeans in via Lagrange, strada commerciale nel centro di Torino. Il concerto sarà in una location insolita, in “vetrina” dello stesso negozio. Sarà un’occasione per presentare il disco e interagire con una nuova audience. Giorno 21 giugno suoneremo invece un doppio concerto in Francia, a Nizza nella piazza centrale della città in occasione della Fête de la Musique, che in Francia sentono tantissimo come opportunità di festa e condivisione. Concludiamo con un live set completo il 9 luglio al Caffè del Progresso, a Torino.

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Luca Lastilla

Written by Interviste

E’ reduce dall’uscita del nuovo singolo “L’Equazione Di Dirac” un omaggio a una delle formule matematiche più intriganti e discusse di tutti i tempi e, immancabilmente, all’amore. Parliamo dell’artista fiorentino Luca Lastilla, che nell’intervista di seguito ci racconta della sua musica e non solo.

Ciao Luca presenta il tuo progetto ai nostri lettori!
Ciao a tutti! Io scrivo canzoni da sempre con l’unico scopo di emozionare chi mi ascolta! In più credo che sia l’unico modo per me per comunicare!

E’ appena uscito il tuo singolo “L’Equazione di Dirac”, musicalmente parlando come è nato questo pezzo?
E’ una canzone unica nel suo genere … è liberamente ispirata ad una equazione fisica di Dirac  appunto, premio Nobel per la fisica nel 1933… riassumendo questa equazione dice che due sistemi che si “frequentano “ per un po’ di tempo e poi vengono separati in qualche modo continueranno l’uno ad influenzare l ‘altro; io ne ho fatto una canzone pensando al mio pubblico… siamo stati distanti per un po’ dall’ultimo mio lavoro eppure non ci siamo mai lasciati, hanno continuano ad influenzare la mia vita ed io spero di aver fatto lo stesso per loro con la mia musica. Questo singolo, sicuramente rock nell’anima (per questo vi invito a venire a sentirlo dal vivo!) alla fine è una sfida che dura meno di 3 minuti per arrivare direttamente al cuore di chi mi ascolta. Ora tocca a voi farmi sentire la forza che avete dentro, io ci ho messo tutto me stesso come sempre!

La tematica affrontata in questo tuo singolo è l’amore, perchè per te è importante parlare d’amore attraverso la musica?
Credo che l’amore sia l’unica salvezza che abbiamo per cambiare le sorti di questo mondo malato!

Qualche indiscrezione sul nuovo album? Di cosa ci parlerai e soprattutto, il sound che ci dovremo aspettare sarà sempre lo stesso del precedente Cercando del 2012?
Posso solo dire che ci sto lavorando duramente e che sarà anche questo molto particolare…

Qual è il segreto di un’artista per arrivare alle persone?
Sicuramente partecipare ai talent show! Polemica a parte … se resti te stesso a qualcuno arrivi! non piacerai a tutti ma almeno sei vero!

Come vedi la scena musicale italiana per un’artista come al tuo?
Parecchio triste ahime’! I motivi sono molteplici… ne cito uno dei tanti… in tempi di crisi come questo comprare un cd diventa superfluo e allora visto che non ci sono controlli me lo scarico illegalmente e sono a posto! Questo uccide la musica no?

Passiamo alla dimensione live, come si prepara Luca Lastilla per una sua serata e qual è la parte migliore di un tuo concerto?
Provando fino allo spasmo! Per quanto mi riguarda le parte migliori dei miei spettacoli sono due… le ore che precedono la serata dove si vivono emozioni indescrivibili dall’arrivo alla location fino al sound check e poi quando presento i miei grandi musicisti; ogni volta è per me una grandissima emozione; poi durante il live capita sempre che la gente si appassiona ad una canzone alla quale magari non avevo dato importanza nella stesura della scaletta e questa cosa poi rende imprevedibile ogni concerto! Ma comunque poi è in generale il confronto con il pubblico che mi affascina; alla fine dello spettacolo mi fermo sempre con i presenti per carpire a caldo le impressioni…e finora sono sempre state positive!

Lasciamo a te le ultime righe per salutare i nostri lettori.
Io vi saluto e ringrazio per questa “chiacchierata” e invito i lettori ad approfondire la conoscenza di questo piccolo “canta storie d’amore” perchè sono convinto che in fondo abbiamo tante cose in comune… abbattiamo le barriere della diffidenza! Io ci credo e tu? un abbraccio virtuale ma fortissimo a tutti!

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