Il 66esimo tragico Sanremo

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Ci risiamo. Ci facciamo fregare ogni anno. Il Festival di Sanremo arriva puntuale ogni febbraio e noi ci lasciamo travolgere inermi da un’ondata di nazional-popolare. Inutile lamentarsi della discesa inesorabile della kermesse in fatto di qualità: rispolveriamo gli archivi per dire ogni volta che prima era meglio, ma la polemica è vecchia e sterile tanto quanto il festival in sè. Infervorarsi ogni volta davanti a una impostazione che negli anni non ha mai dato cenni di voler cambiare suona ormai ingenuo, e d’altronde, da bravo programma televisivo la cui preoccupazione sono essenzialmente gli ascolti, il target a cui punta Sanremo è da sempre quello più ampio: i profani della musica.
1604479_1050602244962422_7205461661449977175_nPretendere che un evento come questo sia lo specchio in cui riflettere lo stato di salute della musica italiana finisce per essere ingiusto nei confronti di una scena parallela che ha ben altri canali. D’altra parte non lo si può bypassare come fosse un evento di poco conto, perchè tra un brano stantio e l’altro il Festival della Canzone Italiana resta un fenomeno di costume che la dice lunga su molti aspetti della società.

Dopo tale premessa disillusa e rassegnata, torniamo a noi e cerchiamo di fare a pezzi anche la 66esima edizione in pochi punti salienti, una escalation tra le brutture che hanno infestato la televisione pubblica per una settimana, dall’ottava alla prima posizione, e se volete metteteci pure un immaginario rullo di tamburi in sottofondo, ‘che tra le tante cose Sanremo serve anche a ricordarci gli intramontabili escamotage per creare la giusta suspense.
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8° – “Sole, cuore, Mediterraneo”: l’attualità in pillole
Sarebbe stato un ottimo nuovo slogan per risollevare le sorti della Costa Crociere, ma purtroppo invece è stato solo il faro che ha illuminato la strada dei parolieri sanremesi 2016. Se da sempre il Festival è noto per la banalità romantica, cioccolatosa e melensa delle liriche, quest’anno cuori, sentimenti e lussurie hanno dovuto, con grande sorpresa, cedere il passo ai temi di cronaca e di attualità. Notti stellate, mare oscuro e spaventoso, visi di bimbi inermi riversi sulla sabbia. E non ci sarebbe niente di male, davvero, considerando la serietà dell’argomento e l’importanza della sensibilizzazione verso il tema, ma aveva tutto un retrogusto di patetismo forzato e melodramma italiota, più costruito per arraffare voti che per altro.

7° – Il team di addetti al trucco & parrucco
Solo dopo l’esilarante esibizione di Elio e Le Storie Tese in versione botox abbiamo capito dov’era il problema:tra i truccatori ci sono di mezzo anche quelli di Tale e Quale Show, che abituati ai lavori pesanti evidentemente non riescono a contenersi quando si tratta di mettere giusto un filo di eyeliner e un po’ di blush. A Dolcenera è toccato un ombretto perlato illegale, mentre a Francesca Michielin hanno vaporizzato la faccia col Vernidas. Un 7° posto meritatissimo, perchè riuscire a regalare a tutte quella decina di anni in più è impresa non da poco.
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6° – Gli ospiti
È già da parecchio tempo che a Sanremo non capitano più gli artisti internazionali di una volta. Il campanilismo di Carlo Conti ci ha già regalato Tiziano Ferro nell’edizione 2015, con la stessa formula medley si sono esibiti invece quest’anno Laura Pausini, Eros Ramazzotti, i Pooh, Renato Zero. Poi però arriva una Ellie Goulding qualsiasi e insegna a tutti come si fa un pezzo pop. D’altra parte con l’artista britannica Carlo Conti non si è risparmiato nel fare sfoggio del suo inglese da terza media, per cui forse tutto sommato è meglio giocare in casa.

5° – La serata dedicata alle cover
Da alcuni anni, per evitare che si interrompano gli ascolti dopo lo strazio delle prime due sere, è stato introdotto il diversivo per i nostalgici. Senza troppi sforzi nella rivisitazione dei brani, il risultato è prossimo a un karaoke di provincia. Continueremo a chiederci perchè Clementino, con quella faccia da amico degli sbirri, abbia scomodato proprio De Andrè.
In fin dei conti la serata risulta comunque una delle più gradevoli. Peccato però che il più delle volte serva a ricordarci qualche episodio felice della musica leggera italiana, e che di riflesso faccia sembrare merda tutti i pezzi in gara.

4° – L’immancabile quota partenopea
Dalla già chiacchierata esibizione di Maria Nazionale (probabilmente l’avete totalmente rimossa dalla memoria, ma vi garantiamo che esiste e si presentò a Sanremo 2013 con il brano “E’ colpa mia”), sembra che avere almeno un esecutore di Napoli e dintorni sia un obbligo del Festivàl. Come le quote rosa o un numero minimo di categorie protette nelle aziende. Nessun problema, per carità, ma non se ne coglie il quid. Perché non inserire, per esempio, un numero minimo di cantanti valdostani o molisani? Che poi, il Molise esiste davvero?

3° – La festa delle medie
Se ti chiami Marco Castoldi a.k.a. Morgan è certo che prima o poi nel corso di cinque serate troverai un motivo valido per sbroccare, e se non avrai nulla di cui lamentarti al Festival allora vorrà dire che cercherai nel DopoFestival.
Pare che Elio e soci abbiano fatto davvero incazzare Morgan questa volta e l’eccentrico leader dei Bluvertigo non ha potuto trattenersi dal polemizzare apertamente. La faccenda, in breve: Elio invita Adrian Belew (chitarrista per David Bowie, Talking Heads e mille altri) a suonare con gli Elii al DopoFestival. Morgan adora Bowie. Morgan organizza una festa serale tributo Bowie e invita tutti i concorrenti di Sanremo 2016, Elii compresi. Elio se la suona con Belew e non invita Morgan. “Perché non mi hai invitato alla tua festa, perché? Io alla mia ti ho invitato, non ti faccio più amico”. E vabbè.
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2° – Il sofisticato sistema per il conteggio dei voti
Pare si tratti di un pallottoliere di ultima generazione. Funziona benissimo ma i giurati non devono mai alzarsi per andare in bagno ne’ distrarsi a guardare le tette della Ghenea, altrimenti il sistema si inceppa. Può capitare così che nel corso delle sfide tra i concorrenti della sezione Giovani venga annunciata la vittoria di Miele in eurovisione ma ci si trovi costretti dopo la pubblicità a rettificare perchè nel frattempo quello che era al cesso è tornato in sala.
In tutto ciò siamo lieti che sia andata così, perchè uno dei pochi brani validi di questa edizione è stato proprio quello che ha spedito la suddetta Miele a casa (e che poi ha vinto): “Amen” di Francesco Gabbani è contagiosamente pop senza dover ricorrere ai testi faciloni a cui Sanremo ci ha abituati. Chissà se Miele la pensa come noi?
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1° – Gabriel Garko, ovvero l’inedita figura del maschio-valletta
Accanto a lui anche una come Madalina Ghenea acquista lo spessore di Rita Levi Montalcini.
Per non finire in balia della noia che invadeva le case degli italiani durante i trenta secondi in cui Gabriello leggeva i pensierini preparati per lui da Conti, il web si concentrava sulle sue fattezze e si prodigava in photoshoppate rapide ma efficaci.
Rinunciamo volentieri alla parità dei sessi e torniamo a stirare mutande a tempo pieno se ciò può essere utile a far sì che questa inedita versione maschile della soubrette possa estinguersi con la stessa rapidità con cui è nata, perchè a lungo andare la sua esistenza potrebbe legittimare una volta per tutte il fatto che i nostri compagni non sappiano più riparare il tubo del lavandino.PicMonkey Collage (2)

Last modified: 20 Febbraio 2019