Un viaggio nel tempo – Intervista ai Deux Alpes

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Quattro chiacchiere col duo milanese: esce oggi Two, il loro nuovo album.

(di Miriam Gangemi)

In un periodo in cui il viaggio non ci è concesso, e l’unico spostamento possibile è quello della mente, i Deux Alpes ci portano con loro, facendoci percorrere decenni di storia musicale attraverso il loro nuovo album, Two.

I Deux Alpes sono un duo milanese di musica elettronica, formato da Edoardo e Giuseppe. Grenoble 1998, la loro prima produzione, è un concept EP con un focus sull’elettronica anni 80, un invito alla danza. L’EP racconta la quindicesima tappa del Tour de France del 1998, anno in cui Marco Pantani ne fu protagonista. Continui, infatti, sono i riferimenti del duo al mondo del ciclismo e al movimento continuo e incessante, che è un po’ il comun denominatore tra il mondo della bici e i loro pezzi.

Con questo nuovo racconto i due gravitano attorno all’Italia degli anni 90, periodo d’oro per l’EDM. Non siamo più di fronte ad un concept album, piuttosto ad un esperimento fatto di collaborazioni e punti di incontro inaspettati ed eterei rispetto ad un genere di appartenenza. Con questo album i Deux Alpes si sono presi la libertà di trasmettere ciò che sentivano, senza porsi alcun limite di espressione dettato dai trend del momento. La risultante è una raccolta di storie, alcune da ballare, su ritmiche spiccatamente da club; altre da indagare nella loro tetra intensità e potenza.

Ci siamo fatti raccontare qualcosa sul loro nuovo album Two.

A differenza di Grenoble 1998 in questo caso non ci troviamo di fronte ad un concept album e questo sembra avervi permesso di lasciare più libertà di espressione agli artisti che hanno collaborato con voi. Come mai avete scelto di scollegare la musica dal testo in fase di composizione, per poi unirle successivamente?

Ci interessava sperimentare un nuovo approccio nel processo artistico, che fosse più libero dalle influenze di artisti o generi specifici, ma che venisse fuori da un lavoro collettivo circoscritto tra noi e gli artisti con cui abbiamo collaborato. In effetti è andata così: io e Gido abbiamo preparato delle basi rimpallandoci dei provini, e questo è stato forse il lavoro che ha portato via più tempo. Successivamente abbiamo consegnato dei progetti semi-definitivi ai cantanti: ognuno ci ha messo del suo e il risultato ci ha sorpreso ed entusiasmato, e ci ha “costretti” anche a lavorare nuovamente sulle basi per rendere coerente tutto il processo.

Con questo album avete sottolineato il vostro essere poliedrici, mescolando diverse identità e influenze, ma riuscendo comunque ad essere coerenti con la vostra essenza.  Secondo voi, quali sono gli aspetti che vi rendono riconoscibili?

Mi viene in mente un aspetto più evidente nei live, ma ugualmente importante nel disco: noi facciamo musica elettronica suonando dalla prima all’ultima nota: in tutto l’album non c’è neppure un campione. Comunque credo che la nostra identità sia ancora in divenire, forse lo sarà sempre, chi può dirlo.

Love Me Right è la traccia dal sapore più anni 80, che si fonde perfettamente con la voce di Missey che nel ritornello si fa morbida, per poi tirare fuori grinta ed energia nel resto del pezzo. Com’è nata la collaborazione con lei?

Lei appartiene alla nostra stessa etichetta, una sera durante una riunione Francesco Italiano ci ha fatto sentire un suo pezzo. Ci è sembrata da subito perfetta per quello che stavamo facendo. L’abbiamo contattata, le abbiamo proposto il pezzo e lo abbiamo registrato. E’ stato semplice e piuttosto spontaneo. Ma potremmo dire la stessa cosa per tutti gli altri artisti che hanno cantato nel disco.

You Cannot Hide sembra il racconto di un sogno in cui la protagonista fugge da qualcosa da cui non può nascondersi, per l’appunto. La voce di Chloé Deperne, mescolata ai vostri suoni, rende la narrazione molto coinvolgente e a tratti sembra quasi di sentire delle note di disperazione nel racconto. Quale immaginario volevate creare attraverso questo brano?

You Cannot Hide è il pezzo più scuro a livello di sound, per certi versi a posteriori mi ricorda gli Health o i Crystal Castles. Anche il testo e la voce di Chloé rendono l’atmosfera molto cupa: il suo timbro è davvero espressivo e versatile, mantiene una tensione fortissima durante le strofe pur avendo una cadenza quasi da automa quando dice “work hard, don’t look back”, per poi aprirsi durante il ritornello come se una voce interiore sfogasse tutta la sua carica. L’evoluzione del testo segue coerentemente l’evoluzione della musica: l’ossessività della strofa, la tensione del lancio e l’esplosione del ritornello. Chloé ha modellato la sua voce su questi momenti aggiungendo una carica espressiva che mai ci saremmo aspettati.

Sempre parlando di You Cannot Hide, all’inizio del brano si sentono delle voci in lontananza. Cosa ci potete raccontare di questa parte?

È uno stralcio di un’intervista a Luca Cordero di Montezemolo durante il periodo di Italia 90. All’inizio l’avevamo scelta così come avremmo voluto inserire altri contributi audio di quel periodo, perché il disco si doveva chiamare Italia 90. Poi sono cambiate un po’ di cose, ma l’audio ci piaceva e l’abbiamo lasciato.

L’album si chiude con Ciao, Italia, una strumentale di 10 minuti, scandita da ritmi molto definiti e d’impatto. Qual è il significato che voi date a questo pezzo?

Se in Grenoble 1998 la matrice del sound è smaccatamente anni 80, in questo disco abbiamo voluto mescolare maggiormente le carte riportando tutto a un maggior concetto di modernità. Era però inevitabile non toccare un altro decennio importante per l’EDM come i ’90. Questa traccia nasce dichiaratamente ispirata ad alcuni brani dell’epoca di artisti che ci hanno influenzati. Un po’ come guardare fuori dal finestrino di un treno un paesaggio che scorre e che si ripete. Sembra non cambiare mai, ma invece poco per volta cambia, prende velocità. Questo è il senso del brano. Il titolo sottolinea ancora un volta la metafora del viaggio, come un TGV che ci porta fuori dai confini nazionali, verso dove stanno le origini della nostra musica.

Se il vostro album fosse la colonna sonora di una serie TV, cosa racconterebbe questa serie?

Una serie di un paio di stagioni, ogni episodio è autoconclusivo e racconta una storia prendendo spunto da una diversa nevrosi ossessiva compulsiva. Ovviamente per ogni episodio il regista è diverso.

La quarantena che stiamo vivendo ci sta privando dei concerti live e delle serate di musica. In attesa di tornare sotto i palchi, cosa possiamo immaginarci per le vostre performance live?

Abbiamo fatto in tempo a fare qualche serata, la risposta del pubblico è stata davvero positiva ed entusiasta. Abbiamo lavorato duramente per riuscire a modellare le canzoni del nostro disco per un live che non avesse momenti di pausa e il risultato ci soddisfa pienamente. Comunque manteniamo l’approccio “caotico” e di work-in-progress continuo anche sul set che porteremo in giro, andremo avanti ad apportare migliorie e modifiche all’infinito, probabilmente finché non ne verrà fuori abbastanza materiale per il prossimo disco. Non è escluso.

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Last modified: 29 Marzo 2020