Complici una produzione ad hoc e l’aggiunta di un tocco elettronico alla propria consueta formula vincente, la band veneziana dimostra di non aver esaurito la propria creatività.
[30.05.2025 | Fuzz Club | psychedelic rock rock, synthwave, post-punk]
Non è tanto rilevante il fatto che possa accadermi sotto il sole cocente di un festival spagnolo, al bancone di un pub di Londra in attesa dell’esibizione di un nuovo sensazionale collettivo inglese, o sulla soglia di casa a chiacchierare con la mia vicina che fra una playlist Spotify e l’altra ha appena scoperto l’esistenza degli IDLES: l’esito è sempre lo stesso.
Se durante una conversazione occasionale mi venisse chiesto di nominare una band italiana a mio parere degna di un ascolto, mai e poi mai il nome dei New Candys mi salterebbe in mente.
E, mettiamo immediatamente in chiaro i miei intenti: non che io non li apprezzi – anzi – direi l’esatto opposto.
La spiegazione è molto semplice. Il loro sound, che valica i confini a livello di atmosfere e ricercatezza, ma soprattutto intenti, mi fa pensare a band come Temples o The Black Angels. Musica che richiama i meandri psych più ipnotici e gli abissi synthwave più inesplorati, il loro nome compare nei cartelloni di prestigiosi festival o affiancato a quello di iconiche band di fama internazionale come – giusto per fare un esempio – The Dandy Warhols (con cui hanno condiviso un tour nel 2022).
Insomma, vista anche la situazione a dir poco asfittica in cui riversa il panorama indipendente italiano, spesso e volentieri mi capita di dimenticare che i New Candys siano un’affermata realtà nostrana di cui vantarsi.
Non è un caso che sia proprio la Fuzz Club ad annoverare ancora una volta la band veneziana nell’interessante calderone delle proprie uscite. Il loro quinto album in studio, The Uncanny Extravaganza, vede la luce proprio oggi per la rinomata etichetta inglese, che in fatto di psichedelia, ritmi ad alte frequenze e mondi lisergici è sempre in pole position.

Fra reale e immaginario.
Complice una formazione rivisitata e il contributo del produttore Maurizio Baggio (The Soft Moon, Boy Harsher) in cabina di regia, il quartetto veneto aggiunge agli ingredienti essenziali della propria cifra stilistica originaria un tocco di mordente e avanguardia in più.
Non siamo poi così distanti dall’ottimo Vyvyd, precedente disco datato 2021, eppure sembrano esserci di mezzo anni luce. Un risultato che sembra davvero arricchito e rimodernato, plasmato a dovere, ad inaugurare una nuova fase: e questa evoluzione – non così drastica, ma decisamente tangibile – gioca a favore, eccome.
Non c’è quindi da stupirsi se la traccia in apertura, il singolo Regicide, ci attacca subito in partenza con l’energica propulsione di un aggressivo synth. In questo nuovo lavoro le influenze elettroniche sono molteplici e variegate, sempre ben studiate per allinearsi ad un assetto già rodato, che continua a librarsi incessante fra l’ossessività di una corposa synthwave e l’oniricità di un gaze sempre a fuoco, costantemente in un piacevole stato confusionale fra reale ed immaginario.
La forma dell’acqua.
Fra brani dal sapore acido e danzereccio (Crime Wave), balzi a piè pari in un’estetica post-punk dai connotati garage/surf (Night Surfer, per l’appunto) e soluzioni che si abbandonano a dimensioni più eteree ma sempre conservando fedeltà alle proprie radici (Breath Me In), è lo stesso Fernando Nuti, cantante della band, a fornire una chiave di lettura dei testi: spesso enigmatici e visionari, mai troppo immediati, piacevolmente dispersi nella saturazione degli arrangiamenti strumentali.
Il filo conduttore, come già intuibile anche dall’artwork, è l’acqua: Nuti “riflette su come tutto ciò che è sott’acqua si trasformi, apparendo onirico, distorto, inaccessibile e spesso privo di vita”.
In effetti l’intero album, anche nei suoi momenti più grezzi e meno introspettivi, appare pervaso da una soffusa e sognante sensazione, espressa maggiormente da un cantato che sembra fluttuare in un ovattato universo subacqueo.
Esemplare, da questo punto di vista, è Aquawish: un’incursione in un dream pop sgranato, quasi ipnagogico, che concede un gradevole respiro prima di rituffarsi di testa nella martellante Cagehead.
Dulcis in fundo.
Di solito non dichiaro apertamente i miei pezzi preferiti di un album del quale sto scrivendo, ma per questa volta farò una meritata eccezione: lo dico senza riserve, i due brani che più hanno attirato la mia attenzione stanno proprio in coda all’album.
Sarà forse per quel suono caldo dei synth che profuma di 80s e retromania, ma Gills On My Lungs è candidata ad una posizione certa nella mia futura classifica delle migliori canzoni del 2025: più catchy di così, credo sia impossibile. E la degna chiusura di Final Mission, con le sue meravigliose chitarre così protagoniste, nitide e mai così libere di quella densità che caratterizza gran parte dell’opera, è una sorpresa a dir poco inattesa che lascia un retrogusto nostalgico non indifferente.
Stavolta mi sento in obbligo di prometterlo solennemente: la prossima volta che qualcuno mi chiederà di citare una valida band italiana, mi ricorderò orgogliosamente dei New Candys.
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Last modified: 24 Maggio 2025