Drone Tag Archive

Fast Listening | Luglio 2016

Written by Recensioni

Le Larve – Non sono d’accordo (Cantautorato, Rap) 6,5/10
Ispirato, audace e incazzato: Non sono d’accordo de Le Larve, al secolo Jacopo Castagna, è proprio così. Il suo cantautorato in-opposition sa di rabbia verso la società e la falsità di certi rapporti umani. Un fiume in piena colmo di spunti interessanti ma che avrebbe bisogno di essere arginato quel tanto che basta per esprimere al meglio tutto il proprio potenziale.  Da non perdere “Fantasmi” e “Quello che sono”, con il prezioso feat. di Chiara dello Iacovo.

[ ascolta “Fantasmi” ]

The Great Saunites – Nero (Heavy Psych) 6/10
Più meditato dei suoi predecessori, Nero, suite di 35 minuti divisa in tre parti, conferma l’ossessione dei lodigiani per il tribalismo e per la circolarità del suono, andando però a perdere un po’ troppo in fisicità, soprattutto lungo i 19 minuti dell’iniziale title-track. Funzionano meglio i due successivi movimenti (“Lusitania” e “Il Quarto Occhio”) ma ci si trova in definitiva di fronte ad un lavoro che ad ascolto concluso non ci lascia dentro grandi tracce di sé, risultando meno scuro e misterioso di quanto probabilmente si sarebbe voluto. Insomma, un piccolo passo indietro per due musicisti che comunque non si discutono.

[ ascolta “Lusitania” ]

The Star Pillow – Above (Ambient, Drone) 7/10
Registrato al Btomic (storico locale spezzino chiuso ad inizio anno) davanti al solo Jacopo Benassi (tra i proprietari del locale),  questa nuova fatica del toscano Paolo Monti è una cosmica escursione chitarristica Ambient-Drone. Un intimo viaggio nel buio siderale dalla durata di 48 minuti suddivisi in 5 coinvolgenti tracce, morbide, sognanti, crepuscolari, abissali e cinematiche che rappresenta indubbiamente uno dei migliori dischi nel genere firmati da un artista italiano in questo 2016. Ad impreziosire il già pregevole lavoro, prodotto da Time Released Sound, troveremo nell’edizione limitata il CD inserito nel box di una pellicola Kodak del 1969 (anno dello sbarco sulla Luna di Neil Armstrong) ed all’interno della confezione foto originali della NASA scattate in quello stesso anno.

[ ascolta “Sleeping Dust” ]

Le Scimmie – Colostrum (Doom Metal) 6,5/10
Formazione nuova (ingresso di Simone D’Annunzio all’effettistica oltre che un cambio dietro le pelli dove ora siede Gianni Manariti) e nuova forza espressiva per la band di Vasto. Lontano dal poter dirsi originale, Colostrum è comunque un disco che libera una grande potenza e che, anche grazie ai nuovi componenti della band, riesce a fissare e descrivere meglio le atmosfere del trio guadagnando in densità e tensione, risultando indubbiamente superiore al precedente Dromomania. Un buon passo avanti ed un convincente lavoro per la band capitanata dal chitarrista Angelo Mirolli.

[ ascolta “Crotalus Horridus” ]

Mesarthim – Isolate (Atmospheric Black Metal, Doom, Elettronica) 6,5/10
I growl lontani e riverberati non sporcano più di tanto questo disco di Black Metal travestito da Post-Rock atmosferico (o è il contrario?). Sono ambienti distesi e armonie avvolgenti quelli attraversati dai Mesarthim con le loro chitarre ultra-distorte, i loro assoli retrò e le loro batterie col doppio pedale continuo, in un mistone di rilassatezza e tensione che pende forse più verso la prima che verso la seconda. Qua e là spuntano persino curiosi arpeggiatori, synth frizzanti e pianoforti lievi, in un crossover Metal-Ambient che ricorda qualcosa dei Junius e che incuriosisce più del previsto.

[ ascolta “Declaration” ]

Dubioza Kolektiv – Happy Machine (Balkan, Ska-Punk, Dub, Hip-hop) 7/10
Gruppone bosniaco ribelle che mescola stralci di musica tradizionale e generi alternativi per cantare dai bordi d’europa la voglia di un mondo diverso, con pochissimo cinismo e tanta fame di cambiamento e festa. Il disco è divertente, ballabile e intenso: pur senza inventare granché, riesce a rimanere interessante mescolando suoni e culture in un marasma che, nel caos, coinvolge facilmente. Con partecipazioni di, tra gli altri, Manu Chao e Roy Paci.

[ ascolta “No Escape” ]

Fiumi – The Fat Sea Time (Indie Rock) 6/10
Dopo due EP e una  decennale esperienza sui palchi i Fiumi ci presentano il loro primo disco. E lo fanno molto bene, offrendo dieci tracce variegate e godibili. La matrice di partenza è un sound ispirato agli anni 90, ma che sa essere moderno, giocando sapientemente a volte con la psichedelia, a volte con sporcature di elettronica o lievi distorsioni.  Un disco che riesce trasmette con leggerezza un senso malinconico, che ti avvolge con piacevolezza ed equilibrio, mai eccessivo e mai carente nell’ispirazione.

[ ascolta “In The Noise” ]

Monaci del Surf – Vol. 3 (Surf Rock) 5/10
I Monaci del Surf sono degli ottimi musicisti e degli ottimi performer che fanno scatenare il pubblico a botte di surfer riff. Il loro terzo capitolo non si discosta dai precedenti lavori ed composto completamente da cover riadattate in chiave surfer. Ce n’è per tutti i gusti, dai Nirvana ai Depeche Mode, agli Offspring, senza dimenticare la madrepatria con Donatella Rettore e Nicola di Bari. Come tradizione vuole per i Monaci del Surf è vietato prendersi troppo sul serio quindi, tra la cover della sigla di Game Of Thrones a “Sognando la California”, mettete le cuffie e let’s surf.
[ ascolta “California dreamin’ “ ]

Alessandro Sipolo – Eresie (Cantautorato, Folk) 6,5/10
Sipolo è un cantastorie d’altri tempi, dalla voce suadente e dalla penna fine, e il suo Eresie un concentrato di atmosfere: Folk, soprattutto, ma anche Manouche, Blues, Rock e latine, impregnate sempre di una forza lirica e una coerenza ideale degne di ammirazione. Raffinato e multiforme, capace dell’intensità dolorosa di “Tra Respirare e Vivere” e dello sberleffo ironico di “Comunhão Liberação” con la stessa credibilità, soffre un po’ il cliché del Folk impegnato (Modena City Ramblers, Bandabardò) ma riesce spesso ad arginare il déjà vu grazie a uno sguardo che dimostra di possedere, qui e là, una sensibilità non comune.
[ ascolta “Comunhão Liberação” ]

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Hate & Merda – La Capitale del Male

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Gli Hate & Merda sono un duo fiorentino composto dal batterista Unnecessary 1 e dal chitarrista ed urlatore Unnecessary 2. Oltre a nasconderci i loro veri nomi il duo non mostra i propri volti, coprendoli con impenetrabili calze nere in modo da annullare l’identità visiva, cosa che, oltre che con questi tempi di selfie ad oltranza, risulta in contrasto con le copertine dei loro dischi; un singolo volto accompagnava il loro primo lavoro La Città dell’Odio, una vecchia e piuttosto macabra foto di gruppo accompagna questo nuovo full length, volti di tanti signor nessuno che potrebbero essere chiunque, volti di tanti non necessari. Il sound del gruppo è molto istintivo (il disco è stato registrato in una sola notte) e vi troveremo molteplici riferimenti (Melvins, Yellow Swans, Black Sabbath, Om, The Angelic Process, Earth per citarne alcuni) tutti piuttosto estremi; sarà dunque in modo radicale ed ossessivo che viaggeremo tra la vita e la morte, tra i rapporti umani e la solitudine. “Non esiste filosofia che possa contemplare il male. Quando arriva si mangia tutto(…), però il male è rappresentato, già tempi or sono dal Ponte Vecchio si buttavano le streghe”. Con queste parole del bizzarro filosofo fiorentino Stefano Santoni, prima di essere sommerse da droni e tamburi palpitanti, parte il disco con la title track, subito capace di farci capire quali territori andremo a visitare, subito virulenta, capace di farci smuovere qualcosa dentro, per poi dissolversi e farci ritrovare chiaramente le ultime parole di Santoni: “il male serve, serve anche il male…”. Si prosegue con “Foh”, tiratissimo pezzo Sludge Noise con parte centrale più rilassata, brano in cui inizia a prendere forma una certa circolarità (ma sempre e comunque spigolosa) del lavoro della band che qui ci delizia con un testo ermetico ed intenso che se fosse proposto da un cantautore dalla voce sottile, pizzicando le corde di una chitarra classica, quasi ci farebbe gridare ad un nuovo miracolo della canzone d’autore italiana, invece il non necessario numero due ce lo sbraita in faccia, ci sbraita in faccia queste parole: “l’unica cosa che esiste sono io, ho dovuto accendere una luce per capire che ero solo…le persone sono sempre bellissime quando ti dicono addio, ma un giorno anch’io me ne andrò, e allora anch’io sarò bellissimo”. Violentissime sono “L’Inesorabile Declino”, introdotta da una celebre scena de Il Cattivo Tenente di Abel Ferrara, e “La Capitale del Mio Male”, due veri e propri macigni disturbanti di Noise, Drone e Sludge nei quali si fatica a credere che tale delirio e personalità possano essere proposti da soli due elementi spersonalizzati. Tra queste due rocce si trova “In Itinere”, pezzo col quale ci spostiamo in territori più ambientali e nel quale troviamo come ospiti Matteo Bennici (Squarcicatrici) al violoncello e Stefania Pedretti (OvO, ?Alos) alla voce, che con i suoi versi primordiali accresce l’intensità di questo brano dove tutto è più tranquillo ma non meno scuro: la batteria suona triste, sommessamente marziale, la voce non urla, sembra quasi riflettere tra sé, l’atmosfera è notturna, probabilmente stiamo sognando, ci troviamo in un momento di apertura claustrofobica, è il momento più intimo del disco, e ne è il suo cuore pulsante; siamo partiti ma non siamo cambiati, il male che avevamo dentro ci accompagna ancora, e soffriamo di nostalgia, vediamo, sentiamo e ritroviamo quello che abbiamo lasciato, e non siamo capaci di spiegare noi nemmeno a noi stessi, di nuovo e per  sempre soli nella nostra fuga permanente. Il Doom di “Profondo Nero Senza Fine”, conduce alla conclusiva ed urticante “Vai Via” dove troviamo l’essenza della band, sia musicale, con i suoi momenti più duri ed estremi ed i suoi passaggi più pacificati ed ambientali, che lirica (“se il tempo potesse tornare indietro tornerebbero indietro le cose perdute (…) questo album di foto guardato al contrario riporta i morti alla vita di prima (…) non dormirò mai più per non sognarvi mai più”), con parole che sembrano urlate dal nucleo interno della terra. I due Unnecessary firmano un disco tosto e di sicuro impatto che suonato live, con la sua fisicità, non potrà che catturarci in modo ancora più totalizzante, e ci ricordano, con questa storia di chi fugge e di chi resta, che la sensazione di solitudine che ci accompagna non ci abbandonerà mai e che la capitale del male è dentro ognuno di noi, mostrandoci, oltre ad odio e merda, cuore e cervello, nonché due corpi in volo, perpetuo e consapevole, dal Ponte Vecchio alle rosse acque dell’Arno.

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Nagasaki mon amour || Dieci artisti giapponesi che dovreste conoscere

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Intervista ad Alessio Premoli a.k.a. Chelidon Frame

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Chelidon Frame è uno dei tanti progetti dietro al quale si nasconde il chitarrista milanese Alessio Premoli. Il suo lavoro più sperimentale è una miscela di Ambient, Noise e Drone. Lo abbiamo incontrato per capire al meglio la sua musica cercando anche di scoprire se certi suoni possano avere un ruolo primario nell’età moderna.

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D.In.Ge.Cc.O. – Y.S.I.L.F.U.

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L’esordio di Gianluca D’Ingecco, in arte D.In.Ge.Cc.O., titola Y.S.I.L.F.U. (sta per “your spirit is looking for u”) ed è una raccolta di brani elettronici strumentali dalla durata media di sei/sette minuti. In otto tracce di atmosfera vintage, tra sintetizzatori pastosi, beat retrofuturistici, arpeggiatori frizzanti, D.In.Ge.Cc.O. ci dona il biglietto per un viaggio in un mondo tutto suo, di un’Elettronica giocattolo di riff scomposti e soundscapes ruvidi. Lo sguardo di D.In.Ge.Cc.O., che in questo disco riflette sue più ampie filosofie (“D’Ingecco si propone di far luce su tutte le sensazioni che nascono da tutte le esperienze umane, sia quelle terrene, ovvero quelle legate ad un mondo crudo, minimale e molto violento ma reale, sia quelle riferibili ad un mondo immaginario surreale, a volte rappresentante esperienze al di là del tempo e dello spazio”), pare comunque volto al passato, per quanto riguarda sonorità e scelte stilistiche, con alterne fortune: in alcuni episodi sembra fuori dal tempo, piacevolmente, in un tentativo di catturare l’ascoltatore nella trappola di armonie rotonde e suoni slabbrati, spigolosi, con una punta di fastidio che è come grattarsi un prurito, un soddisfacente disagio; in altri, pare un rigurgito di tempi che furono e non sono più, sommersi da ormai brevissime e rapidissime ere elettroniche che hanno portato con loro altri gusti, suoni, paesaggi. Ma ricordiamoci che nulla si crea e nulla si distrugge, e che la ciclicità è la vera legge delle cose che non esistono, come l’anima e la musica.

Quindi largo a D.In.Ge.Cc.O. e al suo affascinante enigma: in bilico tra passato e futuro, il disco scorre, si lascia ascoltare, un piacevole panorama che sfreccia fuori fuoco oltre il finestrino di un treno veloce il giusto. Y.S.I.L.F.U. non apre nessuna porta prima chiusa, ma ci mostra un vecchio corridoio in cui non mettevamo più piede da un po’, ed è un corridoio che hanno riarredato da poco. Farci due passi potrebbe anche non essere un male.

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Silent Carrion – Suprematism EP

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Molti filosofi nel corso dei decenni si sono dibattuti sul considerare o meno questo il migliore dei mondi possibili e se cuore non fa sempre rima con sole, spesso lo fa con amore, anche se ci sono delle eccezioni. I Silent Carrion, band trentina, infatti, faticano a sentirsi attori di questo giocoso gioco e con un nome che richiama saghe dal sapore horror si lancia musicalmente in un’ardita sperimentazione: Il primo EP, di una trilogia Drone Noise Metal, titolato Suprematism I Jupiter. Ora, per chi non si fosse perso tra cupcakes fluo e golosi pan di stelle, il Drone è un genere poco familiare alla penisola italica, figlio ingrato, forse, di Madame Black Metal e Monsieur Doom.

Non spaventatevi, quindi, voi che ascolterete l’EP, se il livello di gradevolezza e melodia scenderanno a livelli minimi, da fossa delle Marianne. Ammetto che ronzii e rumori non sono un ascolto facile per tutti i palati musicali, anzi si dovrebbe parlare di nicchia salvo che uno non sia nato in Norvegia. Con queste premesse le sei tracce, esclusivamente strumentali dell’Ep, non si presentano al meglio; i ragazzi trentini ci provano a creare nuove forme espressive del genere contaminandolo con l’Elettronica, l’Ambient e il Metal, ma l’esperimento non riesce alla perfezione e risulta poco convincente. Le classiche atmosfere Drone si perdono nel caos che si crea e sembra di vagare tra la casa di Dracula di una Gardaland attempata e un bosco del varesotto durante un raduno delle bestie di Satana. Perché anche se si parla di rumore, non vuol dire che questo non abbia delle prerogative o attitudini, e se in alcune tracce si riesce a percepire un non so che del primo Burzum sotto prozac, non si riesce a ritrovare lo stile da manuale dei padri Sun O))), creatori del manifesto programmatico del genere.

La sperimentazione spesso è un’arte e al tempo stesso una necessità per dei musicisti, e innovare e contaminare probabilmente ne rappresentano le chiavi, ma non sempre i generi lo permettono. Questo Ep non riesce a colpire nel segno, ma considero i Silent Carrion coraggiosi nell’intraprendere e nel portare avanti una loro visione musicale di un genere a dir poco ostico. Probabilmente nemmeno il Vegan Black Metal Chef avrebbe potuto, visti gli ingredienti, creare un piatto così amaro da buttar giù. Credo che questo non sia per i Silent Carrion il migliore dei mondi possibili.

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