Superclassifica Show – estate 2019

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Ovvero, che voto sarebbe Luca Giurato?

Agosto è appena iniziato; molti di voi saranno al mare e molti staranno soffrendo sopra il cemento e non so quanta voglia possano avere di mettersi a leggere recensioni. Anch’io vorrei stare altrove in questo istante ma non posso ed è per questo che ho deciso di scrivere dieci recensioni, in forma di classifica. Un pochino tipo Superclassifica Show, ve la ricordate? E un pochino come la famosa classifica con voto da 10 a 1 che faceva quello che parlava di Formula 1, quello là, come si chiama? Vabbè, avete capito. Solo che, avendo voglia di cazzeggiare: primo, non ho nessuna intenzione di mettere brutti voti ad agosto, e secondo, visto che non mettiamo più voti su Rockambula, ho deciso che sostituirò il voto numerico con un personaggio televisivo o quasi. Perché? Senza motivo; perché voglio fare il cazzone anch’io mentre invidio tutti quelli tra voi che in questo momento si stanno abbronzando il culo al sole di Santorini.

P.S.: Le citazioni non hanno nulla a che vedere con il testo che le segue.
P.P.S.: L’articolo è un pezzo semiserio. Più che di recensioni, si tratta di consigli o sconsigli per l’ascolto.

KOM – GRAZIE VASCO

Voto: FLAVIA VENTO
“Anche le pubblicità attirano dando messaggi erotici. È così in Italia. In America è diverso. La nostra televisione è molto volgare”

Capisco che se ti autodichiari “La più titolata tribute band nazionale di Vasco” non è che posso aspettarmi troppo. Eppure, se decidi di scrivere pezzi originali, significa che avrai qualcosa in più da dire oltre che scimmiottare quello là. Poi ascolto e, tralasciando il tentativo di imitare la voce di Vasco Rossi e dovendo innegabilmente ammettere che non sono tecnicamente degli sprovveduti, la situazione si fa drammatica. Perché il punto non è tanto quanto siano gradevoli all’ascolto le sette canzoni di quest’album che sono chiaramente rivolte a un preciso pubblico che adora qualsiasi cosa esca dalla bocca del rocker di Zocca ma piuttosto ciò che mi chiedo è: a cosa serve questo disco? A farmi ulteriormente del male la traccia che da il titolo all’album, in cui, oltre alle mille citazioni, i Kom si vanno a impelagare in un clamoroso Grazie Vasco urlato calcando quasi perfettamente le note di Grazie Roma di Antonello Venditti. I Kom sembrano una tribute band di Vasco Rossi che canta canzoni di Vasco Rossi che Vasco Rossi non ha mai pubblicato. Oh cazzo, in fondo è quasi esattamente così.

SARAH – LE COINCIDENZE

Voto: FRANCESCA CIPRIANI
“Lele Mora è una persona splendida, con me si è sempre comportato bene, ed io gli voglio un gran bene perché è nata una bella amicizia.”

Faccio una fatica tremenda a parlarvi del disco d’esordio di Sarah. Innanzitutto perché non capisco esattamente dove voglia andare a parare un disco che sembra uscito dagli anni Novanta di Giorgia; non capisco a chi voglia rivolgersi se non a un pubblico che probabilmente non leggerà mai una pagina di webzine come Rockambula. Secondo, non capisco perché questo disco, in questo stile giorgiesco quando non solo non sei Giorgia e non ne hai i mezzi sia tecnici personali sia d’arrangiamento ma non hai nemmeno l’appeal tale da farti apprezzare da chi non è neanche troppo esigente quando si parla di italo-pop di questo tipo. Magari, se questo fosse un talent show tipo X-Factor, potrebbe anche passare il secondo turno; ma se io fossi tra i giudici, mi dispiace, “per me è comunque NO”.

LAPINGRA – AMORE E SOLDI

Voto: ENRICO PAPI
“Io non faccio male a nessuno, sono il Robin Hood del gossip.”

Se avete già sentito parlare dei Lapingra e non ne avete disdegnato le prime cose, probabilmente rimarrete molto delusi dal nuovo album. Semplicemente perché la band sembra dichiarare con questo Amore e Soldi la voglia di inseguire la moda itpop del momento, con quei suoni tanto minimal anni Ottanta, testi in italiano semplicissimi, pieni di giochi di parole, o simili, un po’ stupidotti (Devo dirty di Luca) e una semplicità che rischia di diventare un’arma a doppio taglio senza nessuna reale peculiarità che li faccia sembrare qualcosa di diverso in questo calderone nostrano. Se quando accendete Spotify la prima cosa che fate è lanciare la radio Indie Italia, questa potrebbe essere una bella scoperta. Per tutti quelli con qualche desiderio più complesso, il mio consiglio è semplicemente: andate oltre. E vale anche per loro, visto che ci hanno già dimostrato di poter fare di meglio, anche se magari non è quel meglio che ci farà finire nelle miglior playlist di Spotify.

SIMONE PIVA E I VIOLA VELLUTO – FABBRICHE, POLVERE E UN CAMPANILE NEL MEZZO

Voto: GIAMPIERO MUGHINI
“Con la mia laurea io mi ci sono pulito le scarpe, e non sono neppure venute pulite.”

Può bastare aver aperto i concerti dei Sick Tamburo o aver calcato lo stesso palco di Zen Circus, Nada, Morgan o Roy Paci per garantire un grande disco? Evidentemente no, perché oltre a riempire la biografia di queste cose poi il disco lo ascoltiamo davvero e sinceramente ci saremmo aspettati qualcosa di più a questo punto. Cantanto in italiano, non troppo interessante, un sound che spazia dal più nostrano alternative pop al folk da concertone del primo maggio, con rimandi al mondo western nel suono e alle problematiche del bel paese nelle liriche. Un album che facciamo davvero fatica a consigliare salvo che non abbiate tanto tempo a disposizione per ascoltare qualche nuova uscita.

KONRAD – LUCE

Voto: VITTORIO SGARBI
“Ateo bastardo! Ateo fasullo! Pensi solo all’esibizione della tua oscena bisessualità. Ridicolo, sei!”

Dopo l’esperienza con gli Hype e soprattutto con i Radiolondra con i quali si toglierà le migliori soddisfazioni, il cantautore classe 1975 inizia la carriera solista solo nel 2013 con l’esordio Carenza di logica, album interamente incentrato sul folk di matrice americana. Con questo nuovo lavoro Konrad amplia la sua proposta, ricalcando sia la tradizione cantautorale italiana, sia le sue influenze che, oltre al già citato folk, sono grunge, country e alternative rock. Un disco interessante ma che manca di quelle piccole cose che potrebbero elevarlo a un grande album. La timbrica non è niente di troppo eccentrico o seducente e nessuna delle quattordici canzoni sembra avere qualcosa di più delle altre, nessuna melodia veramente incantevole, visibilmente fuori dal comune e un suono non proprio moderno, nessun testo che sia più di una rappresentazione in parole di ciò che Konrad ha da dire. Insomma, un disco piacevole. Non molto di più.

L’INVASIONE DEGLI OMINI – 8 BIT

Voto: ALESSANDRO CECCHI PAONE
“Uno può avere una buona struttura psicologica e la cultura giusta. Ma la cultura è giusta per vivere a Londra, a New York, a Berlino, a Parigi. Non in Italia.”

La storica formazione punk ormai al ventesimo anno di attività, torna in pista con il disco numero otto, non cambiando in sostanza nulla del sound che li ha sempre caratterizzati e dunque sano punk cazzuto all’italiana, con accenni stoner, nu metal e rock’n’roll e testi che forse sono ora più nostalgici rispetto, ovviamente, agli episodi precedenti (“La nostra storia”). Nostalgia che è accentuata anche dalle immagini retrò ma che non mette in secondo piano l’attualità delle canzoni capaci anche di affrontare il fenomeno trap a suo modo. 8 bit non è certo un disco adatto a chi non mastica punk e per chi invece ne mangia anche a colazione, non sarà il disco che gli cambierà la vita. Eppure ha il sapore di un testamento scritto da una band cui noi che eravamo punk negli anni Novanta dobbiamo inevitabilmente più di quello che crediamo.

CABOOSE – HINTERLAND BLUES

Voto: LUCA GIURATO
(cazzo, lo amo, perdonatemi)
“L’infedeltà è stata una caratteristica costante della mia esistenza. Contemporaneamente ho preso delle cotte pazzesche, sono stato innamorato fino ai limiti della follia.”

Nonostante un suono più che standard e radicato nel blues, l’esordio della formazione italo-berlinese Caboose è una bomba imperdibile per gli amanti del genere ma non solo. L’aggiunta d’inserti spoken word e le derive psichedeliche non fanno che impreziosire un grande disco già con una spanna sopra i colleghi nazionali anche solo per la voce e la sua timbrica perfettamente inserita nelle canzoni tanto da sembrare irreale per questo continente. I temi portanti del blues delle origini sono traslati ai giorni nostri e, fermo restando le sensazioni di fondo, cambiano le situazioni tanto da suonare attuali anche in tal senso a chi riuscirà a comprendere i testi in inglese. Un’opera prima che lascia grandi speranze per quello che potrà essere il futuro della band e dei fortunati che continueranno a seguirne il percorso artistico.

ALESSANDRO ANGELONE – STARS_AT_DOWN

Voto: PIERO ANGELA
“Ogni scoperta, ogni invenzione è sempre il frutto di ricerche precedenti che hanno preparato il terreno.”

Giovanissimo pescarese di soli diciassette anni, Alessandro Angelone è un talento tutto da scoprire. Il suo album d’esordio è un disco coraggioso di undici tracce strumentali, con la chitarra e le dita che la stuzzicano a fare da protagonisti assoluti. Undici brani, quasi tutti scritti dallo stesso, esclusi You are not alone di R. Kelly e Love never felt so good di Michael Jackson e Paul Anka, che riescono a emozionare, nella loro delicatezza e a farci ballare l’anima in una serie di emozioni che vanno dalla nostalgia, alla speranza, dalla malinconia, alla spensieratezza. Il risultato è strepitoso e considerando il minimalismo della materia prima e la giovane età dell’artista, strepitoso non è poi aggettivo troppo esagerato.

EILEEN SOL – ICONOCLASTA

Voto: ALBERTO ANGELA
Ho una debolezza: il tiramisù. Casalingo o di pasticceria, non manca mai.”

Progetto con solo tre anni di vita, quello messo in piedi dai quattro musicisti fan di Tool e Zu, solo per fare qualche nome grosso, è una bombetta casereccia di quelle che vorremmo ascoltare più spesso nei localini che ancora possono permettersi di osare. Se le prime note sembrano suggerire una sorta di ambient pop stile Eluvium, ben presto la musica degli Eileen Sol virerà verso un potente e cangiante post-rock, tanto aggressivo quanto capace di rallentare in momenti catartici e rilassanti, riuscendo così a dare un valore al concept del disco anche senza le parole, e cioè la storia di un giovane che è salvato da un eroe dal quale è poi tradito e che deve distruggere per uscire dal suo guscio. Un disco assolutamente da ascoltare, se amate il post-rock senza derive troppo metalliche e che si mette in bella mostra nel panorama nazionale del genere.

ULSTER PAGE – MEMORY

Voto: CARMELO BENE
“È decorazione l’arte, è volontà di esprimersi.”

Ai nazionalisti musicali che ci leggono, forse dispiacerà quanto sto per dire; il miglior disco del lotto è, però, prodotto dei nostri cugini d’oltralpe e non me ne vogliate se non si tratta neanche di un lavoro dell’anno corrente quanto del 2017. Purtroppo la scoperta degli Ulster Page arriva quasi per caso in un live in piccolo locale di provincia e l’innamoramento del momento ha trovato seguito nell’ascolto del disco. Un album profondamente radicato nell’alternative rock statunitense e nel grunge ma che non finisce a scopiazzare nessuno, anzi, si carica di energia e vitalità peculiare tanto da darci l’impressione di sentire qualcosa di mai sentito anche quando ciò che ascoltiamo è molto vicino a quello che ascoltavamo venti anni e più orsono. Una voce fantastica, quella di Benjamin Entringer, che fa da contraltare a uno stile che non disdegna distorsioni e rumore ma che sa anche farsi malinconico. Una band che live da il suo massimo ma che saprete apprezzare alla grande anche ascoltandola sparata nelle orecchie.

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Last modified: 3 Agosto 2019