Are We All Angels, l’evoluzione degli Scowl tra puristi hardcore e pop

Written by Recensioni

La band californiana abbandona le radici per abbracciare la propria vocazione melodica: salto riuscito o buco nell’acqua?
[04.04.2025 | Dead Oceans | punk rock, melodic hardcore]

evoluzione /evolu’tsjone/ s. f. [dal lat. evolutio -onis, der. di evolvĕre, propr. “svolgere (il rotolo di papiro per leggere)”]. – Passaggio graduale e continuo ad uno stato più perfezionato.

Anche se l’asse sulla quale si sta inclinando il mondo sembra dire il contrario, siamo una specie in continua evoluzione. Le nostre cellule si rigenerano continuamente, il nostro corpo muta a ritmi per noi impercettibili, e al tempo stesso troviamo modi sempre più creativi e autolesionisti per tarparci le ali da soli, quasi fossimo spaventati dalla possibilità che il futuro possa essere, effettivamente, migliore.
Qualche voce potrebbe parlare di involuzione, ma io risponderei che il progresso c’è ed è tangibile: purtroppo c’è quel lato autosabotatore dell’essere umano che trasforma il domani in un pericolo, non in un’opportunità.

Questo pippone serve a presentare Are We All Angels, secondo album dei californiani Scowl, una band punk hardcore che – come avrete facilmente intuito – ha intrapreso una personale evoluzione.
Volessimo usare un paragone che potrebbe piacere alla leader Kat Moss, appassionata di insetti, la band è stata prima bruco, poi crisalide e ora è uscita dal bozzolo come coloratissima farfalla (non a caso ripresa in copertina).

Già dall’EP di debutto nel 2019 si capiva che, dietro ai brani di un minuto e mezzo e il two-step sul palco, c’era la volontà di mischiare le carte e dare tonalità diverse ad un mondo – quello del punk hardcore – estremamente maschiocentrico. Il carisma di Kat, i live incendiari, testi che finalmente raccontavano esperienze da un punto di vista diverso (“What the fuck am I to you after all you put me through? Immune to your abuse, your ego is bruised”), artwork scolasticamente hc (scheletri, muri di mattoni, scenari devastati) invasi da fiori colorati.

La macchina si era messa in moto: due EP, un album (How Flowers Grow), un nuovo EP che introduceva elementi più melodici alla formula consolidata, il temibile Scowlchella che ha reso la band un piccolo caso fuori dalla bolla, la collaborazione con Taco Bell e le sterili polemiche successive (di cui avevamo accennato qui).

Scowl © Ben Morris
Un’etica hardcore in una veste pop.

Una farfalla, dicevamo. Di hardcore, in Are We All Angels, è rimasta più che altro l’etica, i valori a cui la band si aggrappa ancora oggi in ogni decisione (ad esempio scegliendo di boicottare il Download Festival per i suoi legami con Barclays).

Musicalmente, gli Scowl si sono spostati su territori più pop, abbandonando quasi totalmente lo scream per abbracciare un cantato melodico, e strutture squisitamente punk rock. È un male? Se indossate un giubbotto di jeans pieno di borchie e toppe, avete sostituito definitivamente la birra all’acqua, siete musicalmente curiosi come una pietra e vi dondola qualcosa in mezzo alle gambe, probabilmente sì. In tutti gli altri casi, l’evoluzione appare evidente, non fosse altro che per un motivo: questa cosa gli Scowl la sanno fare, e la fanno benissimo. 

I testi raccontano bene la vulnerabilità di chi ha imparato a fare i conti con gli improvvisi riflettori (“I don’t wanna be special / I don’t wanna be different” cantano nel primo singolo Special) o la sensazione di essere un ospite all’interno di un corpo che ormai funziona in automatico, a cui Kat Moss ha dovuto trovare quasi un alter ego, o una stage persona (non a caso cita Chappell Roan come fonte d’ispirazione da questo punto di vista).

Al tempo stesso, nonostante il passaggio da una realtà prettamente hc come la Flatspot alla regina del regno indipendente Dead Oceans, non mancano invettive alla società capitalista che brucia e mangia senza lasciare briciole (Cellophane).

Tutti questi temi, approfonditi anche in una bella intervista su Kerrang!, trovano spazio in un album fatto di grandi ritornelli e melodie estremamente catchy (Tonight I’m Afraid, Suffer The Fool (How High Are You?).

Un album non per puristi.

Più di quanto già fatto dai Mannequin Pussy (che mantengono sempre quell’aura un po’ più ‘alta’ nella loro popizzazione) e meno dei primi Paramore (comunque tra i paragoni più calzanti, per quanto non abbiano mai avuto a che fare con il punk nudo e crudo), in Are We All Angels non c’è paura di abbracciare una scrittura che non sfigurerebbe in una programmazione radiofonica o nel prossimo Tony Hawk.

Anzi, il cantare in clean mette Kat davanti ad un vero e proprio esercizio di crescita personale, dove non può più nascondersi dietro alle urla (“It’s so exposing. […] A lot of it has just been about confidence. Writing those vocal parts required a certain level of confidence that did not exist within me prior.”), riconoscendo al tempo stesso come il recinto dell’hardcore sia stato sempre un po’ stretto agli Scowl (“We want to consistently embody a hardcore mindset, to whatever degree is possible. But also, I love music as a whole. It’s not just about punk and hardcore for me.”) e si sente, nonostante qua e là permangano echi della band che fu (B.A.B.E., Fleshed Out).

I puristi storceranno il naso, agitando vorticosamente le braccia in aria mentre ballano un two-step fuori sincro, ma Are We All Angels non è un disco per loro. Avere a disposizione una scrittura pop così affilata e non sfruttarla sarebbe stato uno spreco, e a cosa serve saper fare una cosa se veniamo frenati da paletti mentali (o ancora peggio, da un intero ambiente) che ci dicono “non è la cosa giusta, non fa per te”?

Il futuro è tutto da scrivere, ma gli Scowl sono una band che ha saputo evolversi, cambiare forma. Il famoso bruco diventato farfalla, o il Pokémon dall’aspetto dozzinale che a livello 36 si trasforma finalmente in quella creatura fighissima che proprio non ti aspettavi.

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Last modified: 7 Aprile 2025

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