Dietro le iconiche sfumature shoegaze della copertina, tutto il malinconico fragore del debutto della band texana.
[04.04.2025 | Deathwish, Sunday Drive | shoegaze, dream pop, alternative rock]
Da un paio di settimane, complice il ritorno dell’ora legale, nelle giornate serene ho ricominciato a riassaporare il piacere di osservare la bellezza dei tramonti. Una tremenda banalità, si potrebbe pensare, ma c’è una sensazione che ogni volta scava dentro di me senza tregua quando penso che quegli stessi colori, quelle stesse composizioni di nuvole e sfumature, quelle stesse nuances che avvolgono il cielo non si ripeteranno mai due volte identiche.
Gli eventi della vita, benché possano apparire ciclici fino a reiterarsi all’infinito, non si ripeteranno mai due volte allo stesso modo. Contemplo il tramonto e cerco di assorbire questa lezione come un lento mantra, ogni volta che mi sento sopraffatta da quella sfilza di giornate che sembrano tutte uguali e mi soffocano sotto il loro peso insostenibile.
Un’esplosione di calde tonalità inebria la copertina di Sunset Funeral, esordio su LP dei texani Glare.
È un tramonto inteso come un lutto, una sofferente testimonianza della fine di qualcuno o qualcosa, un tentativo di elaborare attraverso il suono qualcosa che le parole non riescono a raccontare. Come il tramonto di oggi non assomiglia a quello di ieri, né a quello di domani, ogni reazione ad una dolorosa scomparsa è diversa e totalmente soggettiva. A chi la affronta tocca l’arduo compito di raccoglierne i cocci e ricomporli secondo il proprio disegno personale, creando un puzzle unico e differente dagli altri.
Ametista è il colore di Mourning Haze, cangiante e talmente intenso, talmente vivo da abbagliare. In un’estasi di cascate shoegaze, le massicce chitarre esplodono in tutta la loro malinconia. Ed è un sentimento di negazione quello che affiora prepotentemente dal testo, in quel tormentato refrain: “When my eyes shut / I see you smiling”. Nulla è mai accaduto: se posso vederti, seppur ad occhi chiusi, sei ancora qui.

Una nostalgia che pervade ogni cosa.
Luccicano di uno sfavillante giallo tendente all’ambra Kiss The Sun e Saudade. Quella nostalgia che non è più un sentimento invertebrato: ha ossa, poderosi muscoli che la sorreggono in quelle linee di basso profonde come l’oceano, in quei muri di suono che si innalzano maestosi, quasi a voler sormontare l’ennesimo ostacolo.
Sfuma in miele e arancione 2 Soon 2 Tell, una versione più energica e compatta dei DIIV, salata come una lacrima che scorre lungo una guancia mentre un ricordo passa veloce in sovrimpressione.
Chlorinehouse porta con sé l’indubbia eredità dei Nothing. È nascosta nel cuore più purpureo, dove le emozioni sono ancora in ebollizione come lava ustionante, riportata in superficie da una batteria che ci risveglia da un dolce torpore e ci conduce a passi lenti e cadenzati in un vortice di memorie senza fine. È una rassegnata, ma pacifica contrattazione: “can you feel it / can you feel it fade away?”.
Rosso fuoco è la rabbia dei riff Nü Burn, intinta nel grunge e spolverata di fragilità, impreziosita da una voce crepuscolare che naviga incerta fra strati e strati di saturazione. Lascia spazio agli sprazzi dream pop di Turquoise Dreams, che in una tonalità di azzurro vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio per poter rivivere qualcosa che è già stato, che è già trascorso, che è già sepolto.
Si stagliano, distanti, delle dense e scure nubi indaco: è Guts, come un cattivo presagio che fatichiamo a scacciare, un’ossessione che tarda ad allontanarsi dalla mente.
Una silenziosa accettazione.
Quando l’ora dorata volge al termine e il sole si tuffa dietro l’orizzonte, il paesaggio si veste di ombre e oscurità. La depressione più cupa cede il trono ad una silenziosa e malinconica accettazione, in un punto di blu che tende al buio pesto.
Gli accenni di slowcore disperato di Sungrave sono una soffice coperta che ancora conserva fra le sue pieghe un profumo amato. Different Hue arriva come un’ultima ninna nanna che cantiamo a noi stessi per alleviare il fardello delle tragedie dell’esistenza: “Don’t cry / we’re fine now / see you in the end / Moments of passing joy / play inside my head”.
La mia speranza è che quest’album vi possa raggiungere e tendere la mano, se vi trovate in un periodo così. Un periodo in cui siete tristi, inconsolabili, se avete perso una persona a cui volevate molto bene e vi sentite giù, oppure la vita vi è crollata addosso in qualche modo quando meno ve lo aspettavate. I tramonti si spegneranno, le ferite guariranno e la vostra tavolozza di colori tornerà finalmente a splendere.
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Last modified: 9 Aprile 2025