Maria Petracca Tag Archive

Musica e Libri. Uno Sguardo sull’ Underground Italiano: Black Hole!

Written by Articoli

Dr. Quentin & Friends – Dr. Quentin & Friends

Written by Recensioni

Il fatto che questo EP riesca ad evocare le sonorità di un disco che porta il titolo di London Calling (dopo l’ascolto di “Carry On”) non è roba da poco. Passato però il momento evocativo la musica prende la propria strada. L’omonimo disco del progetto Dr. Quentin & Friends ha infatti molto di suo, a partire dalla voce Quinto Fabio Pallottini (il Dottore), sporca e vissuta, nonostante la sua giovane età, in piacevole contrasto con la voce di accompagnamento, decisamente più melodica. Un EP che evidenzia una marcata fede musicale che viaggia tra Reggae e Punk, e che non dà molto spazio ad altre contaminazioni sonore. Una sezione ritmica precisa ed una chitarra incisiva per la produzione di un suono spensierato e coinvolgente, ma che a volte sa diventare anche malinconico (“Sweet Dirty Music”). Il risultato è un EP contenente pezzi che, una volta ascoltati, entrano in loop nel cervello e sono capaci di rimanerci per giorni. Al tutto si aggiunge la grandissima presenza scenica di Quentin che ho avuto modo di constatare nel corso dello Streetambula Rock Contest 2014, ma non è questa la sede giusta per dilungarsi su questo aspetto. I presupposti per la nascita di un progetto di spessore ci sono tutti. Resta solo da capire se la band è pronta e disposta ad affrontare altre sonorità con le quali arricchire il proprio sound. I pezzi scelti per l’EP difficilmente lo fanno intuire. Non resta dunque che attendere che la dea ispiratrice (ognuno ha la propria) poggi nuovamente la mano sulla testa dei componenti della band per farne uscire nuovi brani ed un lavoro più corposo. Carry on, Dr. Quentin & Friends. Carry on verso un nuovo lavoro.

Read More

Shellac + Uzeda 27/05/2015

Written by Live Report

Shellac + Uzeda @Cap10100, Torino, 27/05/2015
Che sarebbe stata una serata memorabile, in cuor nostro, lo sapevamo da tempo. Poi, quando il momento arriva e niente riesce a deludere le aspettative, capisci il grande valore dell’attesa, e che il tempo passato ad aspettare è stato speso bene. Vale per ogni buon evento della vita. Vale per chi si nutre di musica, per quelle volte che si acquista un biglietto molti mesi prima della data dell’evento. E così è arrivato il giorno anche per Shellac e Uzeda. Sullo stesso palco. Nella stessa serata. Prima una band, poi l’altra. Ci arrivo leggermente in ritardo, mea culpa, ma non abbastanza per perdermi del tutto la performance della band catanese Uzeda, la loro sezione ritmica ossessiva, la loro chitarra distorta e la voce di Giovanna Cacciola, bassa, sinuosa, forte e potente, portata al limite, sempre che un limite esista. Dopo una breve pausa tecnica per la nuova disposizione degli strumenti, è la volta degli Shellac. Si dispongono sul palco come se fossero una nuova trinità: al centro la batteria di Todd Trainer, ai lati la chitarra di Steve Albini e il basso di Bob Weston. Il loro primo gesto è un’invocazione alla potenza. Come He-Man alzava la sua spada magica al cielo ed invocava la forza di Grayskull, così Todd Trainer solleva al cielo una bacchetta e prende lo slancio per una prima, forte percussione sul tamburo. Da quel momento in poi esisterà solo il suono, e nulla più. Un suono autentico, imprevedibile, devastante, da togliere il respiro. Un susseguirsi di pulsazioni, battiti ed emozioni sonore, senza sosta, senza tregua. Un continuo orgasmo acustico fuori dal tempo. Dove siamo-chi siamo-dove andiamo-non ce ne frega un cazzo- fateci rimanere qui per sempre. Anche gli attimi di pausa si trasformano in momenti memorabili all’insegna dell’ironia. Bob Weston si rende disponibile a rispondere alle domande dei presenti, e via alle gag più disparate. Mi giro spesso per vedere le facce del pubblico, lo faccio spesso ai concerti. Vedo solo visi luminosi, tanti occhi chiusi e tanti sorrisi stampati in faccia. Vedo altri musicisti della scena locale. Scorgo Max Casacci. Ci sono addetti ai lavori, tecnici del suono che ho incontrato in altre occasioni, proprietari di altri locali della città che organizzano eventi di musica dal vivo. Sento parlare inglese, francese, spagnolo. Forse qualcuno è arrivato da molto lontano. E Torino si riempie di magia, ancora, stanotte, come lei sola sa fare. Siamo alle ultime battute. Verso la chiusura, “End of the Radio”, circa 20 minuti di dialogo sonoro tra distorsioni, basso ossessivo e percussioni incisive. E tutto termina come è cominciato. Gli ultimi momenti del concerto toccano alle percussioni. Mentre Albini e Weston portano via, a mano,pezzi di batteria, uno per uno, sul palco rimane seduto Todd, fino all’ultima battuta di tamburo. Poi lancia una bacchetta al cielo. E via, verso il prossimo concerto.

Le foto sono state gentilmente messe a disposizione da Matteo Furlani
https://instagram.com/matterocks/http://matte.rocks

shellac600

Read More

Borghese – In Caso di Pioggia la Rivoluzione si Farà al Coperto

Written by Recensioni

In Caso di Pioggia la Rivoluzione si Farà al Coperto è l’ultimo lavoro di Borghese, che a distanza di circa due anni vede trasformare il suo progetto da singolo protagonista a band, i Borghese, appunto, rigorosamente al plurale. La crescita del progetto non è da ricercarsi però solo nel numero dei componenti, ma è visibile in numerosi altri aspetti, come un maggiore distacco dal genere pop/cantautorale verso una più precisa identità electropop. Non aspettatevi però un album dai toni scanzonati e leggeri, come potrebbe far pensare l’ironia del titolo. Il racconto dell’insoddisfazione di un’intera generazione (la nostra), sempre in bilico tra il non arrendersi mai ed il rinunciare ai propri sogni (“I Miei Primi Trent’Anni”), il tema della crescita e del processo per cui prima o poi si diventa uomini o donne (“Le Foto Di Una Svolta”), i finti amori (“Il Finale dei Film Porno”), la nostalgia verso la propria terra di appartenenza (“Rotta a Sud”): sono solo alcuni dei temi presenti nel disco, caratterizzato da toni decisamente malinconici. L’intero mood del lavoro è ben rappresentato infatti dallo sguardo del bambino in copertina. Di pari passo con le tematiche scelte, la musica si tinge di sonorità malinconiche che ben esprimono gli stati d’animo raccontati. A creare distacco è invece la scelta compositiva delle liriche. I testi proposti sono infatti il frutto di un esperimento di disco sociale; per più di un anno Angelo Violante, membro originario della band, ha annotato espressioni ascoltate in giro, degne di attenzione ed attinenti alle tematiche che aveva intenzione di trattare nel disco, arrangiandole in modo tale che potessero diventare i testi degli undici brani. Non so quanto i suddetti testi siano rimasti fedeli alle loro versioni originali, e in cosa sia consistito l’arrangiamento, ma lo stile compositivo scelto per la stesura delle liriche sembra viaggiare separatamente dalla parte musicale, lungo un percorso parallelo, penalizzando l’ascolto. Questo aspetto, presente nell’intero disco, è meno accentuato in brani come “Ho Ammazzato il Mio Produttore” o “La Tipa di Rockit”, forse il più riuscito a livello compositivo. Insomma, una buona, originale ed interessante intuizione con qualche problema nella modalità di esecuzione. Volendo citare gli stessi Borghese, Le Parole Sono Importanti, sono loro stessi a cantarlo. Importanti non solo nei contenuti ma anche nella forma, a quanto pare.

Read More

?Alos

Written by Interviste

Per Rockambula è il disco del mese di Aprile, ed è decisamente carico di dolore, Matrice. Di quel dolore che si prova appena prima di sentire una nuova vita scorrere nelle vene. Abbiamo fatto qualche domanda ad ?Alos (Stefania Pedretti) in merito al suo ultimo lavoro. Buona lettura.

Ciao Stefania come stai?

Benissimo, sono appena tornata dal mio tour europeo che è stato bellissimo

Matrice è il tuo ultimo progetto da solista. Parlaci degli aspetti di questo disco per te fondamentali.

In Matrice ho voluto convogliare una serie di ricerche, sia sonore che filosofiche, che da alcuni anni sto curando. Diciamo che musicalmente ho voluto addentrarmi maggiormente nel lato oscuro e sanguigno della mia musica, aiutandomi in questo disco con suoni ancora più ricercati e distorti per la chitarra, introducendo l’elettronica e ampliando la gamma dei miei timbri vocali. Per il lato filosofico, Matrice ruota attorno al tema del doppio, del Chaos e di come in realtà tutto è connesso e fluido.

Il titolo dell’album evoca una nuova genesi. Va inteso dunque come un disco di rinascita?

Di rinascita non direi, il disco precedente di chiamava Era questo Matrice direi che è una pietra aggiuntiva in un percorso già intrapreso, che vuole andare avanti.

Un brano porta il titolo Luce/Tenebre. Cosa è per te la luce e cosa sono le tenebre?

Per me sono la stessa cosa, si crede che siano degli opposti e spesso in contrapposizione, ma per me sono interconnesse. Non vedo in una il bene e nell’altra il male; bene e male come anche buono e cattivo sono termini che trovo assurdi perché troppo soggettivi.

In Matrice collabori con Mai Mai Mai, Necro Deathmort e Giovanni Todisco. Quali altre collaborazioni ti piacerebbe affrontare in futuro?

Mi sto già guardando intorno per scoprire nuovi stimoli e trovare nuove collaborazioni, ma attualmente non saprei dirti dei nomi.

Spesso affronti sonorità “estreme”. Nel corso della tua carriera hai dovuto affrontare delle forme di pregiudizio nei confronti della tua musica?

Grazie per questa domanda, che non mi è mai stata posta. Purtroppo si, mi è capitato e continua a capitarmi, pregiudizi o incomprensioni di varie forme ed origini sia per quanto riguarda i miei dischi che i live. Riesco fortunatamente a non farmi intaccare da questa superficialità, trasformandola in uno stimolo per continuare a fare quel che faccio ed abbattere ogni pregiudizio.

Leggo dalla tua biografia che hai vissuto per un periodo a Berlino. Dal punto di vista musicale, quali sono le cose che Berlino ti ha dato, e che in Italia non avresti trovato mai?

Vivere in quella stupenda città è stata un esperienza di vita e di crescita personale e professionale. Ho potuto approfondire collaborazioni come ad esempio quella con i Nadja, di origini canadesi ma che vivono a Berlino, e registrare il mio disco Yomi nello studio degli Einstürzende Neubauten con il loro fonico. D’altra parte Berlino non mi ha dato qualcosa che non avrei trovato in Italia, non sono andata a Berlino alla ricerca di qualcosa che mi mancava, l’Italia mi ha dato e continua a darmi molto di più di Berlino.

Stessa domanda di sopra, al contrario. Musicalmente parlando, c’è qualcosa che un Paese straniero non potrebbe darti mai?

Non so risponderti a questa domanda, non sono incline ai confronti e contrapposizioni e Matrice ne è la prova. Io trovo il meglio da entrambe le parti, le mischio insieme e mi godo il risultato. Ora vivo in Italia, ho vissuto in varie parti d’Italia, ho vissuto all’estero, viaggio tantissimo e tutto questo mi arricchisce e mi aiuta nella creazione e realizzazione della mia musica e della mia vita.

Grazie mille Stefania, vorresti dire ancora qualcosa ai lettori di Rockambula? Spazio di libera espressione.

Non abbiate paura dell’oscuro, del Chaos, dell’inconscio e di tutte quelle realtà o forze che ci insegnano a vedere come qualcosa di malefico, sono anche esse parte del tutto e fanno parte di noi.

Read More

Lilia – Clepsydra I

Written by Recensioni

Sembra che la vita sia un viaggio bizzarro dove non sempre ci è dato scegliere la direzione in cui andare, anzi, a volte sembra che i nostri desideri più grandi risiedano in luoghi inaccessibili. Dove la realtà non riesce ad arrivare, però, può condurci l’immaginazione, accompagnata magari dalle note. La musica di Lilia Scandurra, in arte Lilia, ha proprio questo effetto benefico sull’anima; riesce a spalancare le porte di un mondo immaginario e trasportarti verso luoghi che la realtà non riuscirebbe a raggiungere. Clepsydra I è il terzo lavoro in studio dell’artista pescarese; un concept album registrato presso i Trixity Productions Studios di Colonnella. Proprio come i Two Fates, suoi mentori, Lilia si avvale dell’aiuto del digitale, dell’utilizzo di synt, tastiere, Ableton e loop, anche se da questi ultimi si discosta per via di una spiccata predilezione per il mondo elfico e fantastico, tanto da indurla a definire la sua musica “elf-tronic”. Sono nove le tracce che compongono l’album in cui si racconta la storia del pianeta Clepsydra, i cui coraggiosi abitanti sono minacciati dall’invasione di demoni, portatori di una malattia che lascia i clepsydriani in una sorta di morte apparente. Il singolo “The Game” ed il video che l’accompagna, attraverso una storia di amanti costretti a ricordare i momenti della loro storia d’amore senza poterne vivere la passione, raccontano proprio della malattia di cui gli abitanti sono affetti. Il coraggio dei clepsydriani viene espresso con brani che evocano speranza, come la delicata “Iridescent Lilium”, “Niark” dalle influenze orientali e “Empress Moonchild”, dove la voce della giovane Luna contrasta con tastiere e sezione ritmica. Oscurità e inquietudine sono invece espressi in brani più cupi, come “Clepsydra” e “Artemis Invasion (Deckard)”, per raggiungere l’apice con “Moyen Age”, dove la voce abbandona a tratti le lunghe linee melodiche e si presta a cori che evocano urla di disperazione. Sebbene l’intento sia quello di creare un dualismo luce/tenebre, malattia/salvezza, tale contrasto non è mai netto. La musica di Lilia ha il potere di prenderti per mano e condurti in alto verso luoghi fantastici, dove è difficile pensare che possano esistere sofferenza e dolore, sentimenti appartenenti alla cruda realtà e che nessuno mai vorrebbe in un mondo immaginario. So bene che sarebbe troppo chiedere a Lilia di scendere in questo mondo e farsi contagiare dalle nostre inquietudini, ma sarebbe interessante se riuscisse anche solo a sfiorarci e poi raccontare con la sua voce, le sue melodia, la sua tecnica, le nostre misere vite, dove la realtà è fatta di giorni stupendi ed altri orrendi, ma che in ogni caso sa essere spiazzante, imprevedibile ed interessante, anche più dell’ immaginazione.

Read More

?Alos – Matrice (Disco del Mese)

Written by Recensioni

Capita a volte di temere una parte di sé, tanto da tenerla a bada, nasconderla, sperando che non si faccia mai viva, cadendo nell’illusione di riuscire sempre a domarla qualora avesse la malsana intenzione di uscire allo scoperto. Ma siamo quello che siamo e fingere può farci morire. A volte si muore. Però a volte capita anche di rinascere, non senza dolore, sia chiaro. E’ in questo genere di considerazioni che si traduce Matrice di ?Alos, alias Stefania Pedretti. Già membro di OvO e Allun, Stefania è al suo terzo lavoro da solista che fonde insieme elementi Doom, Metal ed Elettronica con il risultato di un disco carico di dolore, di quello che accompagna la genesi di ognuno di noi, ogni nuovo inizio, quando nel corso della nostra vita ci capita di dover morire e poi rinascere. Vita e morte. Vita è morte. Un dualismo presente in tutto il disco, meno percepibile in “Ecate”, la traccia più oscura, dove la disperazione prende la forma di versi quasi animaleschi su bassi cupi ed effetti elettronici, Dualismo più evidente in “Luce/Tenebre” dove la voce, protagonista indiscussa del disco, si fa al contempo cupa e intensa, un continuo andirivieni tra luce e tenebra appunto. Oppure in “Ignis Red Elixer”, caratterizzata da bassi che richiamano meccaniche che pulsano in una maniera sempre più intensa; è la macchina della vita che prende forma. Una crescita di intensità che arriva fino alla title track “Matrice”, dove la sezione ritmica diviene più presente, costante ed incisiva; un orologio che scandisce un nuovo ritmo biologico alla vita. Il disco termina con “Hyle”, ultima traccia, una sorta di rituale magico di suoni improbabili riprodotti nei modi più disparati, chitarre laceranti e distorsioni estreme, che nella sua versione live, alla quale ho avuto modo di assistere al Blah Blah di Torino il 26 marzo 2015, vede ?Alos inginocchiarsi a terra e, come uno sciamano, dare forma e sostanza ad un’esibizione carica di un’intensità emotiva spiazzante, che guarirà i presenti dalle proprie costrizioni mentali, catapultandoli nel mare immenso della sperimentazione sonora. E’ questa la fine. No. E’ questo il nuovo inizio. Non è indispensabile la terapia del dolore, ma alle volte è necessaria per arrivare in quel luogo ameno e troppo spesso buttato nel dimenticatoio, ma che in realtà desideriamo raggiungere da sempre: noi Stessi.

Read More

Solo la Bellezza ci salverà – La storia del concertino dal balconcino

Written by Articoli

Non Voglio che Clara 14/02/2015

Written by Live Report, Senza categoria

Non Voglio che Clara @Blah Blah, Torino, 14/02/2015
nvcc1ok

14 febbraio 2015: la finale del Festival di Sanremo e la festa di San Valentino, lo stesso giorno. Forse non si è mai verificato un conflitto di interessi di tale portata nell’intera storia dell’umanità, di sabato sera poi. La decisione è dura, il dilemma è forte: rimanere col culo attaccato ad un divano rischiando la vita per eccesso di lercio televisivo, o rischiarla sulla sedia di un ristorante “très chic” per una rara forma di diabete da smancerie tra innamorati? Siccome non riusciamo proprio a prendere una decisione di fronte alle suddette allettanti proposte, e non siamo nemmeno troppo in vena di morire, ce ne andiamo al concerto dei Non Voglio che Clara. La formazione veneta propone stasera un concerto in chiave acustica, e si presenta sul palco munita di due tastiere ed un posto centrale destinato al musicista che impugnerà una chitarra. Dettaglio non da poco, questo, perché ogni membro della band cambierà spesso il proprio ruolo sul palco, fermo restando che la voce principale sarà sempre quella di Fabio De Min. Grandi assenti, dunque, la batteria e le percussioni in genere, cosa che contribuirà a creare un’atmosfera intima e raccolta; con l’aiuto di qualche birra quest’atmosfera che mira all’introspezione ci aiuterà ad assaporare meglio le liriche e ad adagiare i pensieri sulle linee armoniche. A smorzare un po’ i toni, evitandoci di inciampare in qualche trip mentale, ci pensa lo stesso Fabio, che introduce ogni brano con degli ironici aneddoti di vita vissuta veneta. L’intero pubblico sembra essere entrato appieno nel mood del concerto; durante “Le Mogli” noto che in molti accennano a un labiale evitando di invadere il campo con la propria voce. Gli unici soggetti fuori posto sono i due stronzi che ho accanto, i soli che continuano ad intrattenersi a vicenda con inutili chiacchierette sul fuorigioco di non so chi. I brani eseguiti sono tratti dall’intero repertorio discografico della band; si spazia dunque da Hotel Tivoli a L’Amore fin che Dura, senza tralasciare Dei Cani e l’omonimo album Non Voglio che Clara. Grande assente, per quel che mi riguarda, “La Mareggiata del ‘66” (bisognerà pur trovare una scusa per non perdersi un altro live dei Non Voglio che Clara, no?). Grandi musicisti sul palco e personaggi di gran simpatia e compagnia sotto il palco. La serata finisce tra belle risate, dimenticando chi siano San Valentino e Sanremo. Credo che nessuno ne abbia sentito la mancanza. Meglio così.

nvcc2ok

. Le foto ed il video per questo live report sono state gentilmente offerte da NienteFluorescente.

Read More

Umberto Maria Giardini – Protestantesima

Written by Recensioni

Una tigre che domina un teschio ed un plenilunio sullo sfondo che racchiude tutta la scena: è con questa immagine suggestiva (nata dal progetto grafico di Pasquale de Sensi) che si presenta nel suo involucro esterno Protestantesima, l’ultimo lavoro di Umberto Maria Giardini. L’artista marchigiano, dopo La Dieta dell’Imperatrice e l’EP Ognuno di Noi È un po’ Anticristo persiste con la sua azione di “Riforma” in ambito musicale, presentando per l’ennesima volta un lavoro complesso e curato nei dettagli. Protestantesima è un nome imponente, di genere femminile, perché femminile è l’anima che vive al suo interno, fatta di sonorità rotonde, fluide, melodiche spesso in contrasto con chitarre distorte e sezioni ritmiche incisive: mare e terra che coesistono, si alternano, si scontrano. Una maggiore presenza delle percussioni caratterizza l’album conferendogli un cuore vivo e pulsante. Lo mette in chiaro già la prima traccia omonima, “Protestantesima”, e lo evidenziano maggiormente brani come “Urania”, dove chitarre e batteria quasi scandiscono il ritmo di una marcia, “Amare Male”, che a tratti riduce al limite i suoni con la sola presenza di voce e percussioni, e ancora “C’è Chi Ottiene e Chi Pretende”, introdotta da colpi di tamburo che faranno da sfondo all’intero brano. Suoni che richiamano le vibrazioni della terra, sui quali si adagiano sonorità più acquose, come in “Molteplici Riflessi”, dove le linee melodiche dettate dalle chitarre e dalla voce melliflua di Giardini si allungano, vanno via e poi ritornano come fa un’onda. Ci sono pezzi poi, come “Sibilla” e “Seconda Madre”, che sono maree; si dilatano in lunghi assoli di chitarra si arricchiscono di suoni elettronici o note di pianoforte che affondano in secondo piano il ritmo dettato dalle percussioni. Una coesistenza di suoni forti ed eterei, tenuti insieme dalle linee melodiche della voce sulla quale vengono cucite liriche articolate, ma che talvolta non usano eufemismi per descrivere la realtà (…a Milano il denaro serve sempre a tutto perché piace la cocaina… – “Il Vaso di Pandora”). Un disco che va ascoltato più volte prima di poterne percepire tutte le contraddizioni, note generatrici di bellezza.

Read More

Verdena – Endkadenz Vol.1

Written by Recensioni

Endkadenz Vol.1 è il sesto album dei Verdena, band italiana che, nel tempo, ha saputo sorprendere per la sua capacità di rinnovarsi e sperimentare senza però venire meno alla propria identità. Il titolo, stando a quanto dichiarato in un’intervista per Rockit, è un termine coniato dal compositore tedesco Kagel che coniugava musica e teatro nell’esibizione, e rappresenta “un movimento ben preciso che determina la cadenza finale di un concerto”; Endkadenz è l’ultimo colpo di timpano durante il quale il timpanista aveva il “compito di rompere la pelle, di buttarsi dentro al tamburo e di rimanere lì immobile”. L’album, che viaggia in coppia con Endkadenz Vol.2 (in uscita nei prossimi mesi), è composto da 13 tracce (stesso numero del Vol. 1 di Wow). L’utilizzo del piano (“Nevischio”, “Vivere di Conseguenza”) riconduce al precedente album Wow, sebbene il piano a muro di Endkadenz suoni in maniera più calda, molto diversa dal suono elettronico del sopracitato album. La presenza di distorsioni rimanda invece ancora più indietro, a Requiem e al suo sound più duro dal sapore Grunge, ma anche a sonorità vagamente Shoegaze (“Inno del Perdersi”); scordatevi dunque le chitarre spagnoleggianti di “Razzi, Arpia, Inferno e Fiamme”, siamo ben lontani da quelle sonorità. Effetti di distorsione sono applicati anche alla voce, accompagnata a volte da cori finti percepiti come voci lontane (“Puzzle”, “Contro la Ragione”). Insieme alle chitarre distorte, grande protagonista resta sempre la sezione ritmica, che a tratti picchia in maniera compulsiva e autonoma, quasi a staccarsi completamente dalla linea melodica della voce (“Derek”), e che trova meno possibilità di esprimersi in termini di potenza rispetto al passato per via di pezzi dal ritmo più lento. Elemento del tutto nuovo è la presenza delle trombe (“Diluvio”, “Contro la Ragione”, “Sci Desertico”), anche se si tratta di suoni digitali e non di veri e propri fiati. Per quanto riguarda i testi, l’ ermetismo in stile Verdena viene quasi del tutto abbandonato per fare spazio a componimenti più strutturati, che a tratti perdono quelle caratteristiche di spigliatezza ed immediatezza per via della continua ricerca di rime e assonanze. Endkadenz segue la linea di Wow e rappresenta un altro passo in avanti verso nuove forme sonore, pur restando con lo sguardo rivolto verso Requiem ed album anteriori. Parafrasando le parole di un’amica, la vera chiave dell’evoluzione sta nel non accettarsi mai; è questo il motore che permette di rinnovare e superare sé stessi. Il rischio è quello di renderci irriconoscibili agli occhi di chi ci conosce o, in questo caso, ad un pubblico fedele ma a volte anche abitudinario. Non è il caso dei Verdena, che con un abile gioco di equilibri sono riusciti ancora una volta rinnovare la loro musica, pur rimanendo fedeli alla propria linea espressiva.

Read More

Captain Mantell – Bliss

Written by Recensioni

Immaginate un viaggio. Ma mica un viaggio qualunque. Immaginate un viaggio nello spazio, di attraversare galassie ed imbattervi in una supernova, evitare buchi neri e sfiorare una nana rossa, il tutto mentre state inseguendo un ufo. Poi immaginate di tornare indietro, di trovare un pianeta Terra irriconoscibile, e di dover andare a ritroso con la memoria, alla ricerca del ricordo di ciò che non esiste più. Il tema del viaggio. Il tema del ritorno. Il tema della ricerca. È questa la trama nella quale si intreccia il filo conduttore che lega gli album dei Captain Mantell, band capitanata da Tommaso Mantelli (ex bassista de Il Teatro Degli Orrori), il cui nome ricorda quello del Capitano Thomas F. Mantell Jr, il primo (e spero unico) pilota morto durante l’inseguimento di un ufo. Bliss è l’ultimo lavoro della band, e narra proprio del ritorno del Capitano sulla Terra, pianeta ormai irriconoscibile ai suoi occhi. Da qui la necessità di scavare nei ricordi alla ricerca delle proprie origini, che in musica si traduce con il ritorno da parte dei membri della band (Tommaso Mantelli, Sergio Pomante, Mauro Franceschini) alle loro origini musicali, il che comporta decisamente la ricerca di nuove sonorità rispetto agli album precedenti. Dall’Electro Punk si passa quindi al Rock, che rimane alla base dell’intero disco, ma che si arricchisce di numerose sfumature e contaminazioni. Ed è così che si percepiscono, solo per citarne alcuni, elementi di Rockabilly (“With My Mess Around”, “Dead Man’s Hand”), per poi passare a pezzi che evocano il buon vecchio Blues (“The Ending Hours”). Ovviamente vengono chiamate in causa anche sezioni ritmiche veloci e ossessive, per non fare torto al Punk (“Ugly Boy”), e c’è poi l’introduzione del sax, che inevitabilmente conferisce al tutto quel retrogusto di Jazz. Il livello d’attenzione durante l’ascolto è altissimo, il disco non scende mai di tono, è un continuo susseguirsi di eventi sonori che non ammettono nessuna distrazione. Un disco dal ritmo incalzante, dalle movenze sensuali, vuoi per la presenza di certi riff che si ripetono con un fare ammaliante (“Love/Hate” e “To Keep You In Me”) quasi fossero le fasi di un corteggiamento in musica, vuoi per la voce di Tommaso Mantelli, prima profonda, poi sporca, poi cattiva (“The Day We Waited For”). Numerosissime anche le collaborazioni presenti nel disco, tra le quali nominiamo Liam McKahey che mette a disposizione la sua voce per “Side On” e Nicola Manzan che si è occupato degli arrangiamenti di “The Ending Hour”, “To Keep You In Me” e “First Easy Come, Then Easy Go”. Un lavoro corposo (14 brani all’appello) e ben curato (anche a livello di grafica in copertina e booklet), ed una ricerca di sonorità vasta ed attenta, dove non sono ammesse le ripetizioni. Un gran bel lavoro di ricerca delle proprie origini, musicali e non. Un gran bel risultato per le nostre orecchie.

Read More