david bowie Tag Archive

Lettere da Barcellona | Primavera Sound Festival 2017

Written by Live Report

Anche questa edizione appena trascorsa ha confermato il Primavera Sound Festival come il punto di incontro fondamentale per gli amanti della musica da oltre 125 paesi. Si stima che gli spettatori di questa diciassettesima, tra i concerti al Parc del Fòrum e le performance collaterali in centro città, siano stati oltre 200 mila. Ai 346 live in cartellone se ne sono aggiunti una ulteriore quindicina, annunciati a sorpresa durante i tre giorni della kermesse. Ma basta ragionare in numeri, che non sono mai lo strumento migliore per dipingere atmosfere.

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‘Chi suona stasera?’ – Guida alla musica live di marzo 2017

Written by Eventi

Julie’s Haircut, Umberto Maria Giardini, Russian Circles… Tutti i live da non perdere questo mese secondo Rockambula.

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VIAGGI MUSICALI | Intervista alle NANAI

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Le classifiche del 2016 di Antonino Mistretta

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I Dischi del 2016 da non perdere secondo Simona Ventrella

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Le Classifiche 2016 di Silvio “Don” Pizzica

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Pixies @ Flowers Festival, Parco della Certosa Reale, Collegno (TO) 21/07/2016

Written by Live Report

Ed eccoci giunti ad un altro appuntamento di grande rilevanza offertoci dal Flowers Festival dopo la data unica italiana di Anohni. Questa sera incastonati nella cornice del Parco della Certosa Reale di Collegno saranno presenti, anch’essi per la loro unica tappa italiana, i leggendari Pixies, una delle band più importanti ed influenti che l’Alternative Rock ricordi. Una band che nel suo periodo d’oro ha sfornato dischi che sono entrati nella storia della musica e che due anni fa, a 23 anni dall’ultimo lavoro in studio, è tornata a pubblicare materiale inedito ed oggi si appresta a dare alle stampe il suo settimo disco, Head Carrier, la cui uscita è prevista per il prossimo 30 Settembre. I Pixies si sono sempre contraddistinti per la loro grande varietà di linguaggio, per quegli arrangiamenti, molto spesso caotici, spigolosi, sfaccettati e contrastanti, fondati sulle grandi e folli doti vocali di Black Francis (unite alle ritmiche della sua chitarra), sull’ecletticità del cofondatore Joey Santiago alla chitarra solista, sulle sediziose ritmiche del batterista David Lovering, sulle splendide armonizzazioni vocali e sul basso robusto e letale di Kim Deal, che come tutti saprete dopo aver preso parte alla reunion nel 2004 ha lasciato la band nove anni più tardi, sostituita per brevissimo tempo da Kim Shattuck alla quale è a sua volta subentrata Paz Lenchantin che vedremo stasera sul palco. Una band che ha imparato e fatto sue le lezioni di David Thomas e dei suoi Pere Ubu (tra l’altro tra i due leader non manca anche una certa somiglianza) e che tra le sue fonti d’ispirazione annovera anche artisti dal calibro dei Violent Femmes e dei sempiterni Lou Reed e David Bowie e che ha a sua volta ispirato band come i Nirvana, i Pavement e tanto altro ancora di quello che sono stati buona parte degli ascolti di molti di noi dagli anni 90 ad oggi.

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Insomma questa sera l’attesa è sicuramente bella alta ed insieme ad un gruppetto di amici, tra i quali un’altra penna di questa webzine, la smorziamo con un paio di buone birre ed un piatto di gustosi agnolotti al ragù, certamente non esaltanti per quantità ma che comunque ci aiuteranno a non svenire durante il concerto. L’onore di aprire per la band di Boston spetterà ai Ministri che vedo dal vivo per la prima volta e (consideratemi pure un marziano) di cui non conosco nulla nonostante il loro nome abbia ormai un certo peso all’interno della scena musicale del nostro paese. I ragazzi offrono uno spettacolo di Rock dallo spirito Punk che si dimostra piuttosto godibile con musiche dal buon impatto (per quanto non arrivi mai niente di sorprendente) nelle quali la parte del leone è assegnata alle chitarre. La voce di Davide Autelitano per i miei gusti è sicuramente più piacevole quando urla o si fa bassa e cupa che durante il cantato classico e melodico che fortunatamente prende il sopravvento raramente, i testi sono destinati ad un pubblico decisamente più giovane del sottoscritto, pubblico che comunque non manca (sarà infatti facile vedere ventenni come ultracinquantenni) e che se li gode cantando a memoria ed a gran voce ogni singola parola. No, non è nato nessun amore, ma devo comunque dire che i ragazzi sono capaci di tenere il palco alla grande e che la scelta di far loro aprire il concerto dei folletti mi è sembrata meno assurda di tante altre, considerando che spesso i gruppi posti in apertura di serata sembrano selezionati da qualcuno che come unico suo scopo abbia la mia, tua, nostra (in)sofferenza.

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Durante i venti minuti conclusivi di un cambio palco durato l’esagerazione di tre quarti d’ora, probabilmente anche per prendere qualche precauzione a causa della leggera pioggia caduta a metà del set dei Ministri, il pubblico delle prime file sul lato sinistro del palco viene intrattenuto da un ragazzone che pare disegnato da Matt Groening e che cerca disperatamente il suo amico Giancarlo uralandone il nome a gran voce e più passa il tempo più si irrita anche con i Pixies e con Black Francis, ma è un’irritazione giocosa e piena d’amore (o forse mi sbaglio, forse prevede il futuro) il giovane sa di alleggerirci la sfiancante attesa, dona abbracci a destra e a manca e quando la band entra sul palco si catapulta più vicino che può, il suo spettacolo è finito, adesso tocca a loro, adesso tocca ai Pixies. La band di Boston parte subito con l’incendiaria cavalcata di “Velvety” seguita da “Rock Music” che precede la sensualità dannatamente coinvolgente della splendida “Hey” con la chitarra di Santiago che brilla per eleganza. Tre brani che bastano per farci capire che passeremo quasi un’ora e mezza in compagnia di una band ancora in grandissima forma, l’energia che si respira è veramente tanta e salirà ancora.

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Oltre ad un paio di ripescaggi da quell’Indie Cindy che due anni fa segnò il loro ritorno (se vogliamo evitabili, per quanto live risultino nettamente più piacevoli) Francis e soci ci proporranno tutti e 4 i pezzi già ascoltabili del disco in arrivo, il Power Pop surfato di “Classic Masher”, “Baal’s Back”, potentissimo Hard Rock in pieno stile AC/DC, la power ballad “Head Carrier” ed il Garage “Um Chagga Lagga”, primo singolo estratto dal disco in arrivo, brani capaci di mostrarci come se la cava ai cori la Lenchantin su pezzi dove non possiamo paragonarla alla Deal, e si può dire che la ragazza ci sa fare e che supera l’esame anche sui pezzi dove il paragone è inevitabile, a voler trovare qualcosa che non va si potrebbe dire che forse in alcune occasioni il suo basso risulti meno potente e spigoloso di quello originale, ma mi sorge il dubbio che lo si potrebbe dire più per il dispiacere di non vedere sul palco la storica bassista della band che per come effettivamente lo strumento suoni. I nuovi brani dei Pixies live sono veramente trascinanti (ed immagino il nuovo disco piacerà più del precedente) ma ormai il loro segno distintivo non c’è più, mancano quella fantasia, quelle dissonanze, quella facilità complicata che avevano contraddistinto i loro giorni migliori, per quanto la title-track e “Um Chagga Lagga” due passi indietro nel tempo nel loro piccolo provino a regalarceli. Ma quei giorni stasera li ritroveremo ed alla fine andremo a casa felici di esserci stati, felici e bagnati (ma anche un po’ incazzati, scoprirete come mai più avanti) perché, come ad ogni concerto Rock all’aperto che si rispetti non mancherà, per una buona ventina di minuti, una pioggia torrenziale, portata, guarda caso, dal supereroe Tony (He’s got the oil on his chain, for a ride in the rain) non prima che la robusta e straziante violenza di “Dead” si sia occupata di oscurare il cielo.

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I Pixies andranno a pescare molti dei loro pezzi storici, in particolar modo dai due album che li hanno elevati a band culto: Surfer Rosa e Doolittle. Avremo così modo di godere di brani come l’ossessiva e nevrotica “Bone Machine” con l’ottimo lavoro della sezione ritmica, i riffoni di Santiago e la voce di Francis che volerà ovunque possibile, come della prorompenza sgraziata, tossica e liberartoria di “Gouge Away” e della demenziale “River Euphrates” con i suoi graffi Punk Rock (brani che manderanno il pubblico in delirio sotto il diluvio).

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A pioggia terminata arriveranno due delle canzoni più meravigliosamente appiccicose e melodicamente irresistibili che la mia mente ed il mio cuore ricordino: la splendida, intensa e criptica ballata “Monkey Gone to Heaven” e l’adorabile Surf Pop di “Here Comes Your Man” coi loro ritornelli killer (durante la seconda quello che avrò davanti ai miei occhi sarà uno dei pubblici più puramente felici che mi sia mai capitato di vivere ed osservare nel corso di un live). Arriveranno ancora la coinvolgente “Levitate Me”, furioso e distorto mostro Pop Rock estratto dal disco d’esordio Come On Pilgrim, ed ancora il loro pezzo più sigificativo, col suo inesorabile riff, l’abrasiva ed allucinogena “Where Is My Mind?”, momento di puro delirio collettivo. Sarà grazie alla tenera demenza di “La La Love You” che godremo di un paio di minuti un po’ più calmi prima dell’arrivo della strepitosa, eclettica e appassionata “Vamos” dopo la quale la band, fin qui col pubblico niente più che qualche occhiata, arriverà al momento dei saluti, che saranno calorisissimi, un paio di minuti per un grande e reciproco abbraccio e finalmente anche qualche sorriso da parte del leader del gruppo. Non ci sarà bisogno di richiamarli sul palco, i Pixies dopo questa calorosa stretta torneranno immediatamente ai loro strumenti per far partire “Debaser”, ma cosa accadrà? Che Black Francis deciderà di bloccarla dopo pochi secondi quando tutti ormai stavamo godendo all’idea di gustarci quell’immenso brano, uno scherzo da prete più che da folletto che non andrà giù a me come credo a molti altri. Al suo posto la band suonerà “Planet of Sound” da quel Trompe Le Monde, ultimo capitolo della loro prima fase, che segnava il decorso della loro schizofrenia più accesa e accecante, per quanto l’episodio raccontato sopra dia l’idea di un cammino ancora lungo per una completa guarigione.

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L’amaro in bocca, sì. Che poi sarebbe semplicemente bastato non farla partire quella maledetta “Debaser” no? E chi si sarebbe lamentato in fin dei conti? Fin lì era stato tutto così bello, certo con lei sarebbe stato perfetto, sì sarebbe mancata “Gigantic” ma la sua è un’assenza evidentemente giustificabile, l’altra no, non dopo averla attaccata. Comunque, provando a mettere da parte la delusione per questo finale, quello che si può dire è che questa band dal vivo goda ancora di ottima salute. L’istrionica voce di Black Francis ha ceduto qualcosa di molto vicino allo zero, i musicisti sono ancora in un grande stato di forma con una Lenchantin inseritasi perfettamente nel’anima di questo storico gruppo. Questi folletti sono stati dei giganti e lo sono ancora per quanto incredibilmente attuali suonino le loro composizioni, veramente una ventata d’aria fresca, ancora oggi, stupefacenti. Però, mio caro signor Charles Michael Kittridge Thompson IV, questo non la giustifica minimamente per quanto combinato nel finale, dunque sappia che personalmente, almeno per qualche giorno, non potrò fare a meno di odiarla.

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William Basinski @ Superbudda, Torino, 12/04/2016 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Il compositore sperimentale statunitense William Basinski sta in questi giorni presentando in Italia la sua nuova composizione A Shadow In Time, requiem in memoria di David Bowie. Il Superbudda di Torino ha avuto l’onore di ospitare la prima data di questo breve tour il 12 Aprile.
La serata Ambient Drone è stata aperta dal set del bravissimo Paul Beauchamp che ha preparato il pubblico presente in sala al live dell’artista texano. L’autore delle celebri Disntegration Loops ha poi avvolto la gremita sala con la sua ultima composizione, un’elegia che si evolve lentamente e col passare del tempo si fa sempre più magnetica fino al doloroso, ma estremamente dolce, finale.
Una contemplativa composizione di cinquanta minuti per descrivere l’ombra lasciata nel tempo da una stella già di per sé nera. Basinski sarà nel nostro paese ancora per qualche giorno, chi può non se lo perda.

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Iggy Pop – Post Pop Depression

Written by Recensioni

Dopo qualche anno di silenzio ritorna uno dei signori indiscussi del Rock, sulle scene dal lontano 1967, capace di rinnovarsi col passare degli anni, adeguandosi, ma mai conformandosi, alle sonorità del momento. Post Pop Depression è realizzato a quattro mani con colui che al giorno d’oggi incarna al meglio lo spirito della musica del secondo millennio: Josh Homme, ex Kyuss e da vent’anni artefice e creatore dei Queens Of The Stone Age. Proprio da lì proviene il bassista Dean Fertita, mentre dietro le pelli troviamo l’eccentrico batterista degli Arctic Monkeys Matt Helders. Senza dilungarmi in ulteriori preamboli, preferisco cominciare a parlare del disco in questione.

“Break Into Your Heart” è una canzone quasi spirituale che rievoca l’anima raffinata ed elegante del compianto David Bowie, grande amico di Iggy Pop e suo produttore in passato. Il singolo “Gardenia” è uno dei brani dove si avverte maggiormente la chitarra graffiante di Josh Homme, così come in “In The Lobby” dove l’assolo pare ripreso da un estratto a caso dei Queens Of The Stone Age. “American Valhalla” ha un basso travolgente che spinge per tutto il pezzo, nonostante il suo respiro sensibile capace di far sognare ad occhi aperti. “Sunday” è la più atipica, pulsante e sorretta da un lavoro magistrale di batteria e chitarra, taglienti come lame di rasoio. Il coro femminile nel finale dà un ulteriore tono seduttivo a quella che per me è la composizione top dell’intero platter. “Vulture” e “Chocolate Drops” sono due episodi interlocutori posti tra due indiscutibili gemme: la bipolare “German Days”, fisica e allo stesso tempo delicata nel suo sound privo di orpelli, e la conclusiva “Paraguay”, con dei chiaroscuri vocali poderosi e dilatata da una melodia indimenticabile, dove pare esserci nuovamente lo zampino del Duca Bianco.

L’Iguana è tornato e non è assolutamente ai titoli di coda, come ci dimostra un disco solido e convincente come Post Pop Depression.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #01.04.2016

Written by Playlist

David Bowie – Blackstar

Written by Recensioni

Un’analisi lucida del suo ultimo lavoro al netto dell’accaduto appare il congedo più consono e doveroso.
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Dead Bouquet

Written by Interviste

Far si che la tua fonte d’ispirazione non solo ammiri il tuo lavoro ma addirittura lo produca, significa che qualcosa di speciale è stata creata. Sarà con il romanticismo, seppur “tragico”, insito nel loro nome, che i Dead Bouquet con il loro album di debutto As Far As I Know sono riusciti a conquistare le orecchie di chi li ascolta. Ma lasciamo a loro la parola per raccontarci come è andata…

Ciao ragazzi, benvenuti su Rockambula. Un disco d’esordio As Far As I Know dove a metterci mano sono state persone non proprio comuni per tutti gli artisti. Svelate voi ai nostri lettori di chi stiamo parlando e quali sono state le vostre sensazioni per questa collaborazione?
Stiamo parlando di Paul Kimble e di Joe Gastwirt; il primo bassista e produttore dei Grant Lee Buffalo, grande rock band degli anni ’90, noto anche per aver lavorato con Michael Stipe, Radiohead e Andy Mackay nella colonna sonora del film Velvet Goldmine. Joe invece, rinomato mastering engineer, ha contribuito a centinaia di dischi d’oro e platino per artisti del calibro di Bob Dylan, Neil Young, Pearl Jam, Jerry Garcia e Paul McCartney. Due grandi professionisti ma soprattutto due favolosi esseri umani che hanno contribuito senza riserva al nostro album offrendo la loro sensibilità musicale.

Parlateci di come sono nati i Dead Bouquet e la scelta di questo nome.
Il nome Dead Bouquet l’abbiamo preso dal testo di Fuzzy, una canzone dei Grant Lee Buffalo ci piaceva la visione ottocentesca di un bouquet di fiori appassito. Suoniamo insieme dal 2012 e dopo i primi live e la sintonia che subito si è creata, abbiamo deciso di registrare chiamando Paul… lui ha accettato ed eccoci qua!

Quello che proponete è Rock, è psichedelia, è Folk, quali sono gli artisti da cui vi fate ispirare maggiormente, per esempio: durante la scrittura di questo album stavate ascoltando qualcosa in particolare?
I Grant Lee Buffalo sono un ascolto primario per forza di cose, altri artisti di riferimento sono Neil Young, David Bowie, The Waterboys, Thin White Rope e Gordon Lightfoot. La sera, dopo le registrazioni, capitava di trovarci al nostro pub di fiducia ad ascoltare con Paul dischi di Scott Walker, Gordon Lightfoot, The Blasters…

Avete mai pensato di aggiungere componenti al vostro trio?
Il nostro sound è già molto pieno così, ma in futuro chissà, non poniamo un limite a questo… magari un polistrumentista…

Siamo in procinto del nuovo anno, quali sono i buoni propositi e gli obiettivi per questo 2015?
Stiamo organizzando un piccolo tour europeo che toccherà Svizzera e Francia… sarebbe bello girare tutta l’Europa… nel frattempo stiamo lavorando ai nuovi brani, abbiamo molto materiale!

Vi ringrazio per la chiacchierata, lascio a voi i saluti e le ultime news da lasciare ai nostri lettori.
Potete seguirci su Facebook alla pagina www.facebook/deadbouquet.net dove vi terremo aggiornati sulle nostre news. Il 14 gennaio torneremo sul palco del Contestaccio di Roma, dopodiché saremo a Milano il 6 febbraio. Vi aspettiamo! Un saluto a Rockambula dai Dead Bouquet

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