Pamplemousse – Think of It

Written by Recensioni

Il nuovo album della band francese riesce a tenersi in perfetto equilibrio tra rumore e orecchiabilità, robustezza e accessibilità.
[ 17.03.2023 | noise, garage, indie rock | A Tant Rêver Du Roi Records ]

Chi se lo aspetterebbe mai di scovare un bel dischetto garage/noise nella lontana isola di Réunion, uno di quei territori francesi d’oltremare in cui è più facile imbattersi in un ozioso pomeriggio domenicale guardando Kilimangiaro piuttosto che cercando musica sul web.

Al di là di queste futili considerazioni geografiche ed esotiche, i Pamplemousse sono in giro già da un po’ di anni (l’esordio eponimo risale al 2017) e, dopo aver abbandonato la formazione a tre in luogo di un power duo grezzo e martellante, tornano adesso con un nuovo album, il terzo della loro discografia.

Stavolta il duo francese (forse usare il termine “transalpino” per gente che vive nell’Oceano Indiano è improprio, farò delle ricerche) ha deciso di fare le cose in grande, affidandosi alle sapienti mani del produttore Peter Deimel, già al lavoro con band del calibro di Shellac, Cows, Chokebore. Tutto ciò farebbe immediatamente pensare ad un sound abrasivo e robusto, e in questo senso Think of It soddisfa appieno le aspettative.

***

Se il bonjour si vede dal mattino, l’apertura con Mexican Boy è già di suo fortemente indicativa. Intro misteriosa, chitarre corpose, batteria secca e precisa: la potenza del noise che va a braccetto con l’energia del garage, cosa chiedere di meglio?

L’aspetto più apprezzabile del duo composto da Sarah Lenormand e Nicolas Magi è la sua capacità di sprigionare una potenza sonora difficilmente riscontrabile anche in formazioni ben più numerose. In questo senso, il riff che caratterizza Fat Hollywood è un ottimo esempio: robusto e massiccio, spettina fin dalle prime battute e crea, insieme a una sezione ritmica sempre puntuale e tagliente, un suono vorticoso e coinvolgente. Una versione meno efferata ma più godibile degli Unsane (posto che per me sono godibilissimi anche questi ultimi, chiariamo subito).

Le sonorità garage e graffianti cui si accennava poc’anzi si fanno invece largo nella prepotente e sguaiata Vicious Mind, un pezzo che non sfigurerebbe nel repertorio degli Osees più grezzi.

***

Tra le sorprendenti aperture melodiche e indie che rendono One Million Doors il pezzo più pop e accessibile del lotto e la robusta sfuriata garage punk di Derry, Maine, la band dimostra di avere una grande abilità nel riuscire ad intrattenere ottimamente l’ascoltatore.
Brano dopo brano, l’album si fa via via più galvanizzante e divertente, tanto che si arriva alla fine avendo già voglia di rimetterlo su e tuffarsi di nuovo nei suoi ritmi coinvolgenti.

Se però è vero che il meglio ce lo si riserva sempre per la fine, I’m Not Dietsch è l’irresistibile asso nella manica che Lenormand e Magi calano proprio al tramontare dell’album. Con linee di basso meravigliosamente sferzanti e chitarre mai così roboanti, è forse il brano che più di tutti codifica alla perfezione suoni ed intenti del duo. 
Un connubio di efferatezza noise e distorsioni shoegaze che si infrange nelle orecchie dell’ascoltatore come un’onda oceanica sulle coste di un atollo disabitato.

***

I Pamplemousse hanno promesso e mantenuto: ci si aspettava un disco massiccio e piacevole e così è stato. Un lavoro solido, in perfetto equilibrio tra rumore e orecchiabilità, di fatto la dimostrazione migliore di quanto il duo sappia scrivere brani al tempo stesso robusti e accessibili. Un disco che ha il potenziale per essere fruibile anche da parte di chi magari non è particolarmente avvezzo a sonorità troppo distorte.
E, in fin dei conti, la scelta di passare alla formazione a due sembra proprio aver dato i frutti sperati.
Come si dice “less is more” in francese?

LINK

Bandcamp
Instagram
Facebook
YouTube

SEGUICI

Sito web  Facebook  Instagram  Twitter  Spotify

Last modified: 18 Marzo 2023