Moderni nostalgici – Intervista ai Cactus?

Written by Interviste

Qualche domanda al trio vicentino dopo il nuovo singolo uscito per Costello’s Records.

(di Marika Falcone)

Da pochi giorni è fuori il video che accompagna il loro ultimo pezzo, Blue lips/Cold heart, tra narcisismo, ossessione e disco rock. Lontanissimi dall’Italia e dall’estetica moderna, nel 2016 Simone, Francesco e Andrea creano Cactus? e conquistano un bel po’ di persone nel mondo.

Dopo l’EP Sorry for My Accent, il rapper/producer americano Bohdi trova un beat strumentale dei Cactus? su SoundCloud e rimane così colpito da scriverci un testo, pubblicare il suo singolo d’esordio e arrivare a quasi duecentomila visualizzazioni su YouTube. Questa collaborazione ha ovviamente aiutato i ragazzi a farsi conoscere e apprezzare oltreoceano, ma la lingua inglese, lo stampo lo-fi, l’indie rock, i synth esplosivi, le atmosfere vintage e ipnotiche dei pezzi, le riprese dei video in VHS, sono tutti elementi che (siamo sicuri) avrebbero da soli determinato pian piano il loro successo.

Dopo un tour in Italia, due date a Londra e una a Varsavia, nel 2020 avremmo dovuto vedere la loro partecipazione all’SXSW, famoso festival musicale e cinematografico di Austin, Texas. La data è sospesa, ma speriamo di vederli in giro per il mondo a divertirsi e farci ballare al più presto.

Nel frattempo abbiamo parlato con loro di scelte, ricordi, del rapporto con l’Italia e con la musica, ecco cosa ci hanno raccontato.

Jacques Dutronc nel 1966 scriveva una canzone contro il capitalismo che si intitola proprio Les Cactus, affermando che è impossibile sedersi in un mondo che è tutto un cactus. I Pixies invece intitolavano Cactus una loro canzone, che richiama tantissimo i luoghi e le atmosfere dei vostri pezzi. Riferimenti e metafore a parte, ci incuriosisce la scelta del nome.

Ci dispiace deludervi, ci serviva un nome per iniziare a suonare live, provavamo assieme già da un po’ e quando arrivarono i primi concerti eravamo senza nome. Ci abbiamo pensato davvero poco, ora come ora non ci piace neanche così tanto (ridono, ndr), però alla fine ci rappresenta, siamo molto sfigati in tutto, e avere un nome fico con un senso non sarebbe da noi.

In un mondo in cui tutti usano il social più recente e più popolare per la promozione e la comunicazione dei pezzi, per Blue lips/ Cold heart voi avete scelto Tumblr, che ha vissuto la sua epoca d’oro ormai più di tre anni fa. Cosa nasconde questa decisione?

Volevamo qualcosa di diverso delle solite uscite, promo, ecc., siamo molto nostalgici riguardo alla cultura internet e quando è venuta fuori l’idea Tumblr sembrava perfetta. È stata un po’ dura impostare la grafica della pagina perché è un social un po’ vecchio e limitato ma è stato divertente rispolverarlo.

Su Spotify solo un vostro ascoltatore su cinque è italiano: la lingua inglese, le produzioni che si avvicinano alle culture underground, l’estetica del progetto, le scelte del guardaroba, sono tutte cose che vi rendono internazionali sotto ogni punto di vista. Quali sono le vostre sensazioni quando ci pensate? Sono tutte scelte studiate per arrivare anche oltreoceano o non vi aspettavate questo interesse?

Diciamo che semplicemente abbiamo sempre “tirato dritto” e fatto quello che volevamo senza studiare scelte o altro, cambiamo idee e gusti molto rapidamente e siamo molto contenti che la nostra musica venga apprezzata all’estero, non ce lo aspettavamo sinceramente, ma non abbiamo mai smesso di crederci e penso sia questa la chiave per raggiungere degli obiettivi.

Il vostro rapporto con l’Italia invece com’è? In ambito musicale (e non) cosa salvereste e cosa no del nostro paese?

In ambito musicale forse non ci siamo mai sentiti parte di una scena in particolare qui in Italia, ma non ci siamo mai buttati giù, abbiamo suonato molto in questi ultimi anni e non ci siamo mai sentiti tagliati fuori, siamo un po’ anomali ma crediamo sia un fatto positivo a livello di identità.

Ultimamente ascoltiamo molta musica emergente sconosciuta che troviamo in varie community di Facebook o su Reddit dove la gente si confronta costantemente su nuove uscite, nuovi generi e viviamo un po’ la musica così cercando di stare all’avanguardia.

Musicalmente salviamo tutti gli artisti come Lorenzo Senni o Caterina Barbieri che sono riusciti a farsi sentire anche se la loro musica non rientra in nessuna scena di tendenza italiana. Del nostro paese salveremmo forse il nostro “vivere in campagna veneta”: è un qualcosa di magico, ci piace girare tra i bar più vuoti della provincia e poter bere e sparare cazzate in continuazione, incontrare personaggi strani e guardare un karaoke gestito da anziani.

Vi capita di pensare che l’inglese vi limiti ad esprimervi in qualche modo? Molti artisti italiani che iniziano con questa lingua scelgono poi di proseguire in italiano per una o per un’altra ragione…

Probabilmente la scelta della lingua in cui cantare è un problema che esiste solo in Italia. Penso che solo qui un gruppo che canta in inglese potrebbe scegliere di cantare in italiano per arrivare ad un pubblico più ampio. Non avete idea di quante volte ci hanno detto che se cantassimo in italiano sarebbe più facile per noi. Non abbiamo praticamente mai ascoltato musica italiana e probabilmente ci troveremmo in imbarazzo a cantare nella nostra lingua. È una cosa che purtroppo non ci appartiene dal punto di vista musicale.

Blue lips/cold heart si allontana un po’ dal punk e dall’indie rock per avvicinarsi ad un synth pop che rafforza ulteriormente l’identità del gruppo. Questo poi aiuta l’ascoltatore a creare lo scenario giusto per immaginare la situazione raccontata nel pezzo: è dalle vostre sensazioni che nasce o più in generale parla dello sforzo che inevitabilmente facciamo per mostrarci a tutti i costi ma mai per come siamo davvero?

Il testo è stato scritto di getto, quando la parte strumentale era già registrata, e non avevamo pensato prima di cosa parlare. È uscito così senza pensarci molto, e solo alla fine abbiamo davvero realizzato che forse abbiamo trattato l’argomento in modo più profondo di quanto intendessimo fare. Alla fine, il testo parla dell’immagine di una ragazza che si mette in mostra in modo ossessivo, e solo guardando la faccia di chi è attratto da lei ci si rende conto di quanto vuoto e triste sia questo comportamento. Non vogliamo giudicare il comportamento di nessuno né tantomeno offrire una qualsiasi soluzione a questo modo di porsi. Pensiamo che ormai che la personalità di ognuno di noi sia inquinata dal voler mettersi in mostra e il confine tra un comportamento sincero e uno indotto da questo volere è talmente labile che è impossibile distinguerli spesso.

Poiché non vi limitate solo alla scrittura dei pezzi, ma ne curate anche la produzione, come create un brano? Siete spesso d’accordo nella composizione, nella produzione e nella registrazione o avete bisogno di qualcuno dall’esterno che vi consigli e vi renda più armonico il tutto?

Componiamo e produciamo da soli i brani, e durante la scrittura spesso abbiamo idee anche molto diverse tra loro. Non neghiamo che ogni tanto si creano attriti per questo, e l’unico modo per risolverli è registrare molte versioni diverse del pezzo fino ad arrivare ad una che accontenti tutti. Una volta concluso il pezzo è quasi impossibile che un parere esterno ci faccia cambiare qualcosa, siamo molto gelosi di quello che componiamo. Ultimamente però stiamo lavorando molto bene con Federico Carillo che cura il mix ed il master dei nostri pezzi, e ci siamo ritrovati ad accettare senza battere ciglio modifiche in alcune parti di Blue lips/Cold heart.

Discoteche, feste, piste da ballo, club: gli scenari dei vostri pezzi sono sempre posti che siamo soliti vedere affollati, pieni di gente che vuole divertirsi. Poi ascoltando i testi viene fuori che in questi posti ci piazzate esperienze di persone sole, allontanate dal resto, sentimenti nostalgici, trip in solitudine, lacrime, fumo, timidezza. E No people party sintetizza in tre parole questo mood. Come nasce questo contrasto? C’è qui il lato più profondo di voi stessi, o sbaglio?

Questo contrasto per noi nasce in maniera del tutto naturale, poiché riportiamo nelle nostre canzoni situazioni in cui ci troviamo o che viviamo. No people party, sì, rappresenta in poche parole ciò che realmente siamo.

Com’è andato il tour che (per fortuna) avete fatto lo scorso anno? Quali sono i ricordi più belli che vi portate dietro? Immagino un sacco di persone che non riescono proprio a trattenersi sotto il palco mentre voi vi divertite da pazzi!

Ne abbiamo combinate di tutti i colori, un episodio divertente quanto unico è accaduto a Londra, dove abbiamo suonato in un pub piccolissimo dove il fonico ci ha presentati come se fossimo dei lottatori della WWE, e durante il concerto siamo stati fermati a causa di una rissa tra i tavoli poiché la gente aveva iniziato a muoversi un po’ troppo e a far volare cose.

Quale sarà la vostra prossima mossa? Noi speriamo di riuscire a vedervi live quanto prima per scatenarci con voi.

Al momento stiamo continuando a lavorare sui pezzi nuovi e sulle future uscite, sperando appunto di poter tornare presto ai live e di entrare nuovamente in contatto con il nostro pubblico, provandolo a stupire con qualche novità magari.

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Last modified: 20 Ottobre 2020