Dreaming of San Siro – Intervista ai junodream [ITA/ENG]

Written by Interviste

Storia di un pomeriggio a Londra insieme alla band inglese fresca dell’esordio in long playing.

Ho scoperto i junodream poco più di un mese fa. È stata ossessione al primo ascolto, e non mi capita spesso.

Incontro la band in occasione del loro pop up a Londra, esattamente di fronte allo storico Rough Trade East, in un sabato pomeriggio di marzo. Hanno deciso di celebrare il loro disco d’esordio Pools of Colour (AWAL Recordings) con un evento gratuito e aperto a tutti a due passi da Brick Lane. Sono previsti DJ sets, una postazione di ascolto (con iPod nero direttamente dagli anni dell’indie sleaze), merchandise – pazzesco – in abbondanza, una piccola mostra di foto della band, e un’esibizione live in stile karaoke, come l’hanno chiamata loro.

Ed Vyvyan (voce e tastiere), Tom Rea (chitarra), Dougal Gray (chitarra), e Jake Gidley (batteria) mi accolgono con sorrisi infiniti e una down-to-earth ness che mi fa sentire come se ci conoscessimo da sempre. C’è un buzz nell’aria; è solo l’ora di pranzo ma si sente che sarà una giornata memorabile.

Mentre aspetto che la band sia pronta per rispondere a qualche domanda, ne approfitto per immergermi ancora una volta in The Beach, il grande capolavoro del disco (anche se la scelta è ardua), isolandomi nell’angolo dello spazio pop up pensato per l’ascolto di Pools of Colour. In questo pezzo, le atmosfere oniriche dei primi The Verve e dei Doves si uniscono alla freschezza della voce pop di Ed e un ritornello che è praticamente impossibile togliersi dalla testa – e dall’anima.

Iniziano ad entrare persone, amici della band, famiglie con figli, turisti. Comprano magliette e vinili. Mi sembra un sogno.

Ci sistemiamo fuori, su una panchina. C’è il sole – ma ancora per poco. Mi siedo tra Ed e Tom.

[ITA]
Grazie ragazzi per avermi invitata. Cos’è esattamente questo evento?

Tom: Abbiamo deciso di mettere su un pop up per festeggiare l’uscita del nostro primo disco, Pools of Colour. Abbiamo dj, foto e merch, e più tardi suoneremo pure.

Siete appena rientrati da un tour di 11 date tra Regno Unito e Irlanda. Com’è andata?

Doug: Pazzesco. È stata la prima volta in cui la gente cantava le canzoni a memoria. Sapevano ogni singola parola.

E com’è stato?

Doug: Incredibile, ma probabilmente non la cosa migliore per il nostro ego.

Tom: Sapevano le parole meglio di noi.

Parliamo del disco. L’ho ascoltato a ripetizione in contesti molto diversi: mentre ero su un aereo, camminando lungo la spiaggia di Brighton, in giro per la zona industriale di Glasgow – ed era sempre perfetto. Qual è secondo voi lo scenario ideale per ascoltare il disco?

(E adesso inizia a piovere. Anzi, no: a grandinare.)

Ed: Da solo, al buio, mentre piangi. Stai bevendo come un pazzo da settimane. No, anzi, nella grandine. Siamo a marzo, alla fine di marzo. È tutto molto British.
No, a parte tutto, al buio credo sia la cosa migliore. L’album parla di insignificanza del mondo moderno – sociale, emozionale, spaziale. E poi parliamo di sogni. È un disco triste e quindi deve essere ascoltato in un contesto altrettanto triste.

Passiamo agli artisti che vi hanno influenzato per questo lavoro, sia da un punto di vista di songwriting che da quello della produzione – che avete curato voi (Tom e Doug). Ne ho parlato parecchio con vari amici e ci sono scommesse in corso, quindi devo chiedervelo.

Tom: Ci sono sicuramente degli artisti che amiamo e che sono sempre là, diciamo, in tutto quello che facciamo. I Pink Floyd ad esempio, così come un sacco di roba trip hop tipo i Morcheeba, e perfino le All Saints, perché no. Per le singole tracce abbiamo ovviamente punti di riferimento specifici. Se tu vedessi le playlist che abbiamo messo insieme per ognuna delle canzoni del disco, troveresti cose che probabilmente non hanno senso ma con un dettaglio che ci ha colpito e che in qualche modo abbiamo riproposto nei nostri pezzi. È difficile confinare il tutto a qualcuno di preciso.

Adesso però voglio sapere su cosa avevi scommesso! Doug, mi sono scordato qualcosa?

Doug: Diciamo che non c’è solo stata della musica ad ispirarci. C’è stato un libro che si chiama “A Short History Of Nearly Everything”. Parla di scienza. E noi non ne capiamo molto di scienza, ma quello è davvero un ottimo libro.

Tom: Ora però sono curioso di sapere cosa avevi in mente, anche perché potresti aver ragione e io me ne sono semplicemente dimenticato.

Pensavo di chiedervi di parlare di alcune tracce specifiche, se vi va.

Tom: Ok, teniamoci pronti che poi ci faranno causa.

(Rido.)

La primissima traccia che ho ascoltato è stata Kitchen Sink Drama e subito ci ho sentito chiari riferimenti a In Rainbows dei Radiohead. Lo dico ovviamente in senso buono. Quella coda è incredibile, ci vorrei affogare dentro.

Doug: Cos’è una coda?

È letteralmente la fine del pezzo, l’outro. È pazzesca.

Doug: Ah, ma grazie!

Ditemi di più di quella canzone…

Doug: È un pezzo molto triste, che parla di persone arrabbiate. Non di noi, eh! Parla di quando una storia sta finendo e le conversazioni iniziano ad essere davvero difficili.

Ed: Io posso parlarti di The Oranges. Quel pezzo è stato ispirato da alcuni sogni ricorrenti che faccio. Sembra strano, ma sogno arance che rimbalzano a rallentatore molto spesso, e quando mi succede prendo coscienza di essere in un sogno e tento di controllarlo per decidere come proseguirà. Quell’ultimo pezzo del disco si chiama così per questa ragione, anche se di arance non si parla proprio.

(Veniamo interrotti dai due produttori che si sono occupati di mixare e masterizzare il disco; anche loro sono venuti all’evento.)

Ed: Questa è un’intervista molto speciale. Non facciamo mai una roba del genere per la strada. Prima ci ha grandinato addosso, poi sono arrivati i produttori del disco… Ci sono pure birre gratis. Non sta andando male, no?

Comunque l’ordine delle tracce nel disco è perfetto. Ci avete prestato parecchia attenzione.

Ed: Per nulla.

(Ridiamo.)

The Oranges è davvero una conclusione perfetta, così come Fever Dream è un incipit grandioso.

Ed: Fever Dream inizia proprio con queste lyrics: “This is a new day” (oggi è un nuovo giorno), poi il disco si sviluppa e tratta di società e di vita per poi arrivare a Lullaby e infine a The Oranges, che appunto parla di sogni. È come se fosse la descrizione di un giorno intero della vita di qualcuno.

Doug: Del mondo.

Ed: Di chiunque viva a Londra.

Posso chiedervi di The Beach? La prima volta che l’ho sentita stavo per cascare dalla sedia. Quando parte il bridge, con quella chitarra incredibile…

Ed: Ah, quindi ti piace quando smetto di cantare.

(Ridiamo.)

È pazzesca, tutta la canzone lo è, ovviamente. Ci ho sentito tanto i primi The Verve.

Ed: Esattamente. Tom, il bel Tom, ha avuto l’idea di come questo pezzo dovesse suonare. Doug e Tom sono dei songwriters incredibili. Io e Jake non so bene cosa facciamo invece! Comunque per The Beach abbiamo lavorato sulla sovrapposizione della batteria, vera e anche loop, per cercare di trasmettere un senso di ondulazione, di strati, come fossimo appunto al mare. Una sorta di calma mentale. Il testo parla di una spiaggia grigia e orribile in Galles ed è probabilmente per questo che ti sentivi cadere dalla sedia.

Avete menzionato la vita londinese. Come sta diventando? I tempi sono quelli che sono e come artisti come ve la state passando?

Ed: Ogni anno che passa accumuliamo esperienza, diventiamo più anziani, e speriamo semplicemente di sovrastare i giovani artisti…

(Ridiamo.)

Doug: È dura a volte, ma ora che abbiamo pubblicato il disco siamo apposto, siamo milionari.

Tom: I soldi non sono ancora arrivati…

Doug: No, dai, a parte gli scherzi, credo che a volte sia dura per la quantità di band che ci sono, anche se credo che sia proprio questo a spingerci a fare sempre meglio.

Ed: Essere qua vuol dire anche incontrare un sacco di altri creativi. Sì, c’è tanta competizione ma allo stesso tempo c’è un sacco di musica.

Tom: Senza contare che un sacco di persone che ci hanno aiutato a mettere su il pop up, o a realizzare questo disco, o perfino coi social media, le abbiamo conosciute in giro a Londra.

Ed: La collaborazione è proprio il punto.

Ho saputo che siete grandi fan degli Air. Andrete a vederli nel tour per l’anniversario di Moon Safari?

Doug: Sì, alla Royal Albert Hall.

Ed: Ah, andiamo? Nessuno mi ha invitato.

Tom: Tu vai, Lara?

Doug: È alla Albert Hall, devi venire. Credo sia sold out, ma devi trovare un modo…

Ci proverò. Cosa avete in programma per il futuro?

Ed: Questa è un’esclusiva mondiale ma… scriveremo altra musica.

(Ridono.)

Ed: Stiamo organizzando dei concerti in Europa. Non posso dire dove perché… Ancora non lo sappiamo! Un sacco di gente ce lo chiede sui social e allora abbiamo pensato di accontentarli.

Tom: Comunque siamo più bravi a fare musica che a fare interviste. O no?

Vi piacerebbe suonare in Italia? Posso mettere una buona parola…

Tom: Sì! (risponde in italiano)

Ed: Si, sarebbe stupendo. Dove ci consiglieresti di suonare?

Non saprei, forse Milano e Bologna?

Jake: Dove a Milano?

Ed: A San Siro?

Certamente. Anche domani se volete…

Ed: Che problema c’è, portiamo il palco praticamente davanti agli spalti.

Vi manderò qualche raccomandazione, cercherò di aiutarvi come posso.

Ed: Lo vedi? Questo è quello che succede a Londra.

Grazie mille, ragazzi.

(Grazie anche ad Alessandro Gianferrara per aver filmato l’intervista e a Leonardo Camisani Calzolari per le foto.)

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[ENG]

I only found out about junodream just over a month ago and it was love at first listen. And, to me, that doesn’t happen that often.

I meet with the band on the day of their pop up event just opposite Rough Trade, in East London, where friends and fans will be gathering to celebrate Pools of Colour (AWAL Recordings), junodream’s brilliant debut album released last January. It’ll be a full day of junodream galore; from DJ sets, to a small photo exhibition, a listening corner with a black iPod directly from the indie sleaze years, some brilliant merch and records, and a live set too. A sort of karaoke-hybrid set, as they called it.

Ed Vyvyan (vocals and keys), Tom Rea (guitar), Dougal Gray (guitar), e Jake Gidley (drums) welcome me with their big smiles and a down-to-earthness which makes me feel like I have known them forever. There’s a buzz in the air; it’s early on but I can feel it’s going to be a day to remember.

While I wait to interview the band, I decide to go to that listening corner and play The Beach, one more time. It’s probably the song I’d pick from the record (although I wouldn’t want to pick one only). This track takes you back to the 90s with its dreamy elements (I immediately thought of my beloved The Verve and Doves) whilst the combo of Ed’s perfectly-pop voice and the great chorus are simply impossible to get out of your head – and soul.

More and more people are coming through the door. Friends of the band, fans, families with kids, tourists. They buy tshirts and vinyl records. It’s like a dream.

We decide to sit outside, just overlooking Rough Trade, for our interview. The sun is shining – but not for long.

Thank you so much guys for having me. What’s this pop up event, what’s happening today?

Tom: It’s a celebration of our debut album, Pools of Colour. We are here in East London doing a pop up event where we are celebrating all the visuals, the music… We are going to do a live set later on. It’s a way for us to have a good time with our friends and fans.

That’s brilliant. So, you’ve been on a tour recently – how’s that been?

Doug: Yeah, it was great. We went around the UK. I think it was the first time that people knew all the words to our songs.

How did it feel?

Doug: Very good. Bad for the ego but yeah, very good.

Tom: They knew the words more than us, it was great.

Let’s talk about the album. I listened to it on a plane – it was perfect – the by the beach, in Brighton, and even walking around a very ugly-looking industrial area in Glasgow and…

(And it’s raining. It’s actually hail.)

Ok, let’s keep going. So, what’s the best scenario to listen to the album?

Ed: On your own, in the dark, lights off, crying preferably. You’ve been drinking for weeks, three weeks. Yeah, all of that. It’s supposed to be in the hail… This is very British indeed. It’s actually March right now, the end of March.

(It’s not wet. It’s fine. Let’s keep going.)

Ed: This is quite an unusual interview. Anyway, you should listen to it in the dark, especially because the album is about insignificance in the modern world. We go through that in different pockets, like social insignificance, emotional insignificance, spatial insignificance… and then it’s about dreams. It’s a bleak album so it should be listened to in the bleakest way possible.

(The hail has become a storm. We stopped and picked it up again.)

In terms of influences, what inspired you from a songwriting and also production standpoint – as you’ve produced the record yourselves (Tom and Doug)? I have been talking about this with some friends, there are bets going on…

Tom: Wow, ok! I think there are general influences for all of us. I am thinking of Pink Floyd, or a lot of trip hop stuff, Morcheeba, even All Saints.

Doug: We love All Saints.

Tom: If you see like a reference playlist for each track, there are really weird songs that you wouldn’t necessarily think would be in there but we are sort of referencing them for a particular thing. Oh, in the bridge it’s really cool they did something like this – maybe we can try something similar. So, it’s hard to pinpoint just across the record.

Doug: I guess you’ve got music but also other influences. There’s this book that was a big influence, it’s called “A Short History Of Nearly Everything”, it’s about science. We are terrible at science but that’s a really good book.

Tom: I am now interested to know what you thought, cause you might be right, I might have forgotten.

I was going to ask you about a few individual tracks, if that’s ok.

Tom: All the legal suits incoming.

(I laugh.)

So, the first track I ever listened to from the album is Kitchen Sink Drama and that, for me, was In Rainbows. I am saying this in a really good way, obviously. That coda I could drown into.

Doug: What’s a coda?

It’s literally the tail end of the song, the outro. It’s so good.

Doug: Oh thank you!

Tell me more about that track.

Doug: It’s a very sad, bitter track, about angry and bitter people. Not us! It’s a claustrophobic tale of when conversations start breaking down.

Ed: I can talk about The Oranges. That was inspired by some dreams I have. I have regular dreams about oranges, it sounds weird, but I dream of oranges bouncing around in slow motion and whenever I see them in a dream I know I am dreaming and I can then control the dream. So, the last song on the album is called The Oranges because of that, although there is no reference to oranges in the track.

(We get interrupted as the mixing and mastering engineers actually walk past and enter the pop up behind us.)

Ed: This is a very special interview – we never do stuff like this in the street. We got hailed on, the people who mixed the album have come in, there’s free beer. It’s all been pretty good.

I also love the track listing. Did a lot of thought go into it?

Ed: No.

(Everyone laughs.)

Obviously The Oranges is the perfect end for the record, while Fever Dream is such a great incipit.

Ed: Fever Dream starts off with the lyrics “This is a new day”, then you get the arch of society and life throughout the album, which then gets to Lullaby then The Oranges, which is about dreams. It’s basically a day in the life.

Doug: Of the world.

Ed: Of everyone. Anyone who lives in London.

Can I ask you about The Beach? The first time I listened to it I almost fell off my chair. When the bridge comes and the guitar hits… So good.

Ed: So when the vocals stop.

(Everyone laughs.)

It’s brilliant, the whole thing is, obviously. I heard a lot of early The Verve in there.

Ed: Yeah, that was the idea. Tom here, handsome Tom, really came up with how we wanted it to sound. Doug and Tom, they are great songwriters… I am not sure what we do (pointing at himself and Jake). The Beach was about layering loop drums, real drums, and making it into a kind of sense of the sea. Ondulations. Layers. Mental calm. The lyrics are about a horrible grey beach in Wales. That’s why it makes you wanna fall off your chair!

You touched on living in London. How’s that for you as creatives? Because it’s obviously getting harder and harder…

Ed: We just get older and older and so we gain all this experience every year and we hope to push young creatives down…

(Everyone laughs.)

Doug: It is a bit challenging. But now that the album is out, we’re millionaires.

Tom: We are yet to receive the funds but… It’s coming.

Doug: No, it’s alright, I think with lots of musicians here it can feel quite stressful but also really pushes us. You want to keep growing.

Ed: It also means you meet lots of musicians, producers, creatives. There’s a lot of competition but it’s a melting pot and so much amazing music comes out of London.

Tom: A lot of the people who helped us make this pop up, with the album, with our social media, we met at gigs in London. It’s not like we go into a directory… Meeting people like this in the real world, that’s what it’s all about.

Ed: It’s about collaboration.

I heard you’re big fans of Air. Will you go see them playing Moon Safari?

Doug: Yes, at the Royal Albert Hall.

Ed: Are we? I wasn’t invited.

Tom: Are you going?

Doug: Albert Hall, you have to. I mean it’s sold out but you have to…

What have you got coming up after today?

Ed: This will be a world exclusive but… we may release more music.

(They laugh.)

Ed: We are also planning some European show. I can’t say where cause we don’t know yet! We get a lot of people asking on our social media to go to Europe so we thought we’d do that and bring the circus to town.

Tom: We are far better at music than we are at talking. Or are we?

Would you like to play in Italy? I can put in a good word, not sure it’ll help but…

Tom: Sì!

Ed: Yes, we’d love to come to Italy to play any time you’ll have us. Where is the best place to play?

Don’t know, maybe Milan or Bologna?

Jake: Where in Milan?

Ed: San Siro?

Sure, that’s an easy one, we can make it happen…

Ed: We’ll just bring the curtain really far forward. Still tickets on the door.

I’ll send you some places, I’ll help you in any way I can.

Ed: You see? Collaboration in London.

Thank you guys!
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Last modified: 30 Aprile 2024