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Le Idi di Maggio – Mokajena

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La Mokajena è l’incrocio tra una iena e una caffettiera. Bestia mitologica, “che niuno occhio humano aveva veduto fino allora”. Mocaiana è anche una località a un passo da Gubbio. È lungo la strada per il mare dei perugini e quando arrivi lì il clima già inizia a cambiare, già vedi spiaggia e ombrelloni e il sole è un sole diverso. Il sole che portano con loro le canzoni della prima produzione de Le Idi di Maggio, giovane band eugubina che nasce da quasi dieci anni di esperienza come cover band. Per anni, come Skaouts, hanno preso in prestito i brani, tra i tanti, di Meganoidi, Ska P, Giuliano Palma & the Bluebeaters. Poi hanno deciso di prendere la loro strada e il risultato è questo disco, dedicato alle loro radici, anche geografiche, uscito il 15 maggio (a Gubbio è il giorno della Corsa dei Ceri, il giorno più importante dell’anno) scorso. Un album che suona preciso e ricco, solare come il ritmo in levare che non si ferma allo Ska e al Rock Steady per andare ad esplorare il Rock e le contaminazioni più diverse. C’è l’incontro con l’Hip Hop della Cantiano Bastard Sound (Mogano), ma soprattutto prestigiose collaborazioni, a partire da quella con Cisco Bellotti, ex leader dei Modena City Ramblers, quella con Oskar, leader degli Statuto, con il quale danno vita a una convincente cover di “Stella d’Argento”.

E poi Massimo Marcer, trombettista degli Aretuska (“Voglio Tutto”), e Lucia Tarì (voce in “Sole Spento” dei Timoria). Undici canzoni, nove inediti e due cover, per raccontare di loro e della loro generazione, tra incertezze e voglia di cambiare le carte in tavola, necessità di denunciare, impegno sociale e speranza che a qualcosa possa servire. Un intento che, però, non sempre convince a pieno.Se le radici e la strada da seguire sono chiare, Alessandro Scalamonti (voce), Andrea Benedetti (batteria), Andrea Sebastiani (basso), Gabriele Bei Clementi (chitarra elettrica), Lorenzo Cannelli (pianoforte, organo, tromba, flicorno soprano, cori), Giorgio Rossi (trombone), Amedeo Ambrosini (chitarra elettrica), Matteo Ciancaleoni (tromba), Flavio Pannacci (trombone, tuba), Leonardo Radicchi (saxofono tenore, saxofono soprano, clarinetto), Davide Vagnarelli (saxofono tenore, flauto traverso) hanno sicuramente la forza di andare oltre. L’esordio è promettente, il superamento dei  limiti (di alcuni testi) è alla loro portata.

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Push Button Gently – Uru

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Ecco a voi un EP che non ha, sulla carta, le caratteristiche di un EP: i brani contenuti sono piuttosto numerosi (nove), tenendo conto che alcune canzoni hanno però una brevissima durata, tant’è che un paio non arrivano neanche al minuto. Di certo però l’ascolto di Uru assicura un’accattivante varietà stilistica e un’affascinante voglia di evadere dai soliti schemi, tramite la sperimentazione e l’improvvisazione. Se non fosse chiaro dalla copertina, da collante ad ogni episodio del disco risalta, in controluce, un concept che pare prendere spunto dal film 2001: Odissea nello Spazio del geniale Stanley Kubrick (l’intro spaziale ci manda in orbita verso chissà quale pianeta alieno). “Tarpit Cock & The Bazoukie Returns” prima vera traccia di questo lavoro unisce l’appeal travolgente dei The Wombats all’energia dei Meganoidi, ma con una vena Indie personale e distinguibile dalla musica nostrana odierna. La seguente “Turnaround” si può definire come: Cornershop (quelli del tormentone “Brimful Of Asha”) meets Nirvana. Un incontro/scontro che è tutto un programma. “Kinnonai” ha un destino strambo, illusorio. Parte veloce, poi però il guidatore, colto forse da un colpo di sonno, toglie il piede dall’acceleratore e trasforma una bella composizione Grunge in uno Space Rock snervante e banalotto. Altri “padrini” del sound dei Push Button Gently sono i Weezer che rispondono all’appello sia in “You Are You” che in “Disappearing”, canzoni a cui si frappone l’ennesimo interludio stellare (“Somersaults in 10G”). Si ritorna, infine, sulla Terra con “Houston We Have Weirdness”, rimettendo a posto le tute pressurizzate in attesa del prossimo viaggio intergalattico. Se Uru EP non vi è dispiaciuto, immagino farete ancora parte dell’equipaggio.

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Od Fulmine – Od Fulmine

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I sogni alcune volte riescono a realizzarsi ma le delusioni sono sempre molto più frequenti, la musica d’autore riesce a farci camminare spensierati e pulsanti sopra la bellezza della vita. Perché poi non è necessario esternare le proprie emozioni, potrebbero essere male interpretate e di colpo tutto potrebbe finire. Scrivono canzoni irresistibili come faceva Tenco gli Od Fulmine al debutto discografico con questo omonimo disco. Indie Rock d’autore tanto cercato dai Non Voglio Che Clara e sponsorizzato dai Perturbazione, la tecnica è quella giusta dei bei testi in chiave Rock, la formula perfetta per modernizzare il cantautorato italiano di tanti anni fa. Gli Od Fulmine sono di Genova e provengono da diverse ma affermate realtà musicali (Meganoidi, Numero 6, Esmen), il loro legame con la cosiddetta “scuola genovese” è strettissimo perché oltre Luigi Tenco si percepisce qualcosa di Fabrizio De Andrè e Umberto Bindi. Insomma, hanno imparato dai grandi maestri cercando di mantenere alta la qualità del cantautorato italiano. Brani come “Altrove 2” e “Ma Ha” spiegano benissimo il concetto di fusione tra cantautore e Indie Rock, soprattutto se viene considerato un sound prevalentemente estero e poco italiano. Se poi volete far increspare la pelle avete bisogno di un brano semplice ed emozionale come “Nel Disastro”, un classica struttura compositiva con un ritornello bellissimo: Ma nel disastro mi vedrai sorridere/Sotto un diluvio ritornare in me/Di notte ho visto quello che mi manca e tu mi vieni incontro anche se non lo fai più.

Non è facile trovare il giusto equilibrio nella musica, il rischio di strafare è sempre dietro l’angolo, gli Od Fulmine percepiscono soltanto le parti buone dell’arte, parlano di amore con chitarre indurite, non hanno paura di mettere a vivo i propri sentimenti. L’ascoltatore è libero di interpretare le canzoni come meglio crede, ognuno può vivere il proprio film senza dover rendere conto a niente e nessuno. L’omonimo disco degli Od Fulmine riesce a caricare di passione, giocando con intrecci sostenuti a volte dalle lacrime a volte dai sorrisi, piove ed immediatamente esce il sole, “Fine dei Desideri” come pezzo immagine dell’intero concept. Le cose che portiamo dentro non sempre riusciamo ad esternarle con la giusta precisione, questo disco parla con il cuore in mano, questo disco è veramente carico di considerevoli aspettative. E noi siamo fieri di ascoltare una band come gli Od Fulmine.

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L’Inverno della Civetta – L’Inverno della Civetta

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Un’aria gelida entra nelle narici, i polmoni gelano e il cuore accelera all’impazzata. Le pesanti chitarre de L’Inverno della Civetta conquistano spazi indecifrati nelle fantasie più remote. Quasi una violenza psicologica, porta uno strano piacere sottostare. L’Inverno della Civetta per mettere subito le cose in chiaro è un progetto ligure partecipato da molti artisti: Meganoidi, Mope, Od Fulmine, Isaak, Gli Altri, Eremite, Bosio, Kramers, Numero 6, Demetra Sine Die, Giei, The Washing Machine, Madame Blague, Lilium, Merckx. La pressione dei brani riesce ad essere ogni volta diversa, camminare nella nebbia fittissima e sentirsi smarriti nella Post Stoner Rock “Territori del Nord Ovest”, urla e disperazione in un concentrato di sperimentazione sonora. Ma le tante influenze presenti nel progetto hanno la capacità di cambiare velocemente le carte in tavola, i ritmi si fanno indiavolati e fuori continua a piovere incessantemente. La brevissima ma incisiva “Amaro”. L’omonimo disco rappresenta un percorso di paura, di intolleranza verso la felicità, un’avventura segnata dai forti venti e narrata da Lovecraft. Viene quasi voglia di piangere, il sole non sorge mai in “Morgengruss”, sentori di Black in “Bantoriak”. Tutto si svolge secondo una logica ben definita, sembra di vivere nella Svezia più lugubre, mancano quasi sempre le parole nei brani, le atmosfere decidono incontrastate le sorti del disco superando l’importanza dei riff. Indiscutibile la tecnica. Sembra di rivedere Il Santo Niente in “Messaterra”, in particolare per la parte cantata, il sound mi tira velocemente fuori dalla condizione mentale in cui mi ero gettato. Mi trovo spiazzato e non accetto volentieri lo scorrere del pezzo. Ma siamo alla metà del lavoro e le cose potrebbero cambiare fino alla fine.

Infatti, il disco prende una piega decisamente diversa e non nascondo la delusione, non riesco a concepirlo. Dove sono finite tutte quelle atmosfere tanto eccitanti dell’inizio? Quelle che riuscivano a farmi sussultare le emozioni? “Numero 7” addirittura assomiglia ad una canzone popolare gitana, niente contro le canzoni popolari ma non riesco a realizzare cosa ci faccia in questo supporto. Mi scende uno sconforto impressionante e tutta la mia ammirazione viene dimezzata. L’Inverno della Civetta meriterebbe la massima ammirazione fino alla traccia numero quattro, da quel momento in poi le cose cambiano in modo impressionante. Se fosse stato un Ep sarebbe stato qualcosa di epico, purtroppo non lo è, ma prendiamoci pure soltanto la parte “paurosamente” bella. Veramente un grande peccato, un viaggio finito a male.

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Meganoidi 26/04/2014

Written by Live Report

Mare Blu, Torino Di Sangro (CH).

Ricordo ancora bene quando vidi i Meganoidi in quel di Giulianova, all’Indhastria. Allora erano all’apice del successo. Era il tour promozionale di Inside the Loop Stupendo Sensation, una fatica discografica che li staccava dalla commercialità dello Ska, per trascinarli verso sonorità più mature e ricercate. Una scelta singolare, ma, a mio avviso, azzeccata. Oggi li ritroviamo dopo 15 anni di vita, reduci da dischi altalenanti, dai risultati non esaltanti. A giudicare dalla folla presente al Mare Blu di Torino Di Sangro, pare abbiano comunque mantenuto uno zoccolo duro di sostenitori accaniti. Ci sono anche io tra di loro. Il gruppo di apertura prescelto sono I Giorni dell’Assenzio, provenienti da Tollo e facenti parte della scuderia Ridens Records. Il loro Rock Alternativo, con venature Stoner, al principio entusiasma, ci fa strabuzzare gli occhi. Col passare del tempo, la palpebra cala e l’entusiasmo scema. Soprattutto se in uno degli innumerevoli intermezzi al confine con la Psichedelia, il chitarrista/cantante si mette a prendere a cazzotti (letteralmente!) la pedaliera, rea di non fare il suo dovere. Mani nei capelli (folti…) si prosegue e guardandomi intorno vedo facce assenti. I Giorni dell’Assenza più che dell’Assenzio…

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Il tempo di un rapido cambio di palco ed ecco arrivare i nostri eroi. Subito salta all’occhio, ma soprattutto alle orecchie, la presenza del nuovo batterista Francesco La Rosa, capace di un drumming furioso (non è un caso se è membro del gruppo Gothic Metal Thought Machine) che, personalmente, trovo stia al sound dei Meganoidi come un gatto in un canile. La tecnica c’è tutta, ma ripeto, sovrasta il resto degli strumenti. Questo live, senza infamia né lode, ci mette davanti la verità dura e cruda: sono i pezzi estratti dai primi due lavori a far ballare e cantare la gente. E’ bastato il trittico “Inside the Loop”, “The Penguin Against Putrid Powell” e, soprattutto, “Meganoidi” a riscaldare gli animi tiepidi degli spettatori. Notavo poca partecipazione durante l’esecuzione di brani come “Altrove” o “Dighe”, entrambi estratti dal quarto album Al Posto del Fuoco, che io ritengo due canzoni di valore che meritavano di essere cantate a perdifiato.

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Era un concerto atipico che viveva di momenti: ad un abbozzo di nota di “King of Ska” o “La Fine” il pubblico si ridestava di botto. Caos finale con la grinta di “M.R.S.”, “Supereroi” (qui tutta Torino Di Sangro ha tremato) e “For Those Who Lie Awake”. Immancabile l’agrodolce “Zeta Reticoli” che ha chiuso i giochi insieme a “Ogni Attimo”, ultima traccia dell’ultimo album in studio Welcome In Disagio. Vado via dall’affascinante location del Mare Blu (a proposito: un locale che dà spazio alla musica dal vivo e a queste iniziative non può che meritarsi una vagonata di applausi) felice, ma con un pizzico di amaro in bocca. Sarà perché vorrei che i Meganoidi, grazie a un improvviso colpo d’ali, potessero essere elogiati per il coraggio che solo i buoni (e non i cattivi) dei cartoon hanno nel profondo del loro cuore.

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Giacobs – La Rivoluzione Della Domenica

Written by Recensioni

La malinconica e accattivante “Come Vento” apre l’album d’esordio La Rivoluzione Della Domenica di Giacobs curato da Rossano Villa (Meganoidi) presso gli Hilary Studio di Genova ed uscito a marzo 2013 distribuito in solo formato digitale da Zimbalam.
Della canzone è stato girato anche un bellissimo video, che vi consiglio vivamente di vedere su Youtube, realizzato da Sfiamma Production in cui l’animazione fa da padrona.

Il disco vede anche la partecipazione di Michele Savino alle tastiere, ai pianoforti e ai cori, del già citato Rossano Villa ai fiati e alle fisarmoniche, di Saverio Malaspina alle batterie e percussioni, di Laura Marsano alle chitarre acustiche ed elettriche, di Dario La Forgia al basso e di Fabrizio Cosmi alla chitarra elettrica nel brano “Tu Non Cambiare Mai”, che pur essendo a metà della scaletta risulta certamente il migliore episodio sia musicalmente sia liricamente.
La scuola genovese ha da sempre prodotto i migliori artisti in Italia in tutti i campi, da Gino Paoli a Fabrizio De Andrè per passare per Paolo Villaggio e forse Giacobs è l’ultima grande scoperta nell’universo cantautoriale italiano.
Il suo stile ricorda  a tratti quello di Luca Carboni a tratti quello di Federico Fiumani dei Diaframma ma tanti altri potrebbero essere citati ancora come riferimenti (persino la musica dei Les Negresses Vertes e dei Manonegra) anche se c’è molto di originale nel suo modo di scrivere e interpretare i pezzi.
“Non mi Rimane Che Aspettare (Perché tu Sei Perfetta)” è infatti allegra, spensierata e ballabile quanto basta per poter dire che è “bella da morire” (per citare alcuni versi della canzone).
Di tutt’altra pasta è invece la successiva “Vivere Vivendo”, lento caratterizzato dalle note del pianoforte che ben si mixano con la voce e che fanno da padrone rispetto a quelle degli altri strumenti.
“Il Leone e la Gazzella Sono Anche Qui in Città” ha un titolo tanto emblematico quanto bello e leggendone bene i versi si intuisce che è una semplice parafrasi della vita di città della società moderna.
“La Rivoluzione Della Domenica” ricalca un po’ i Tiromancino mentre “E’Impossibile” è aperta da tastiere che ricordano un po’ quelle del purtroppo da poco defunto Ray Manzarek dei Doors.
“Il Desiderio” invece è forse la più rock delle dieci canzoni contenute in questo disco mentre la successiva “E un Fiore Coglierò Per te” è intrisa d’amore e dolcezza.
Chiude il tutto “Questo Cielo è Una Dolce Poesia” pezzo acustico unplugged dalla durata breve (poco più di due minuti).

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MEGANOIDI, ZEUS E UN GRANDE OMAGGIO A FABER PER L’APRILE DELL’AGORÀ

Written by Senza categoria

Anche questo mese importanti nomi del panorama indipendente italiano e internazionale si alterneranno sul palco del Circolo. Si parte con il live di ELYAS KHAN, uno dei cantautori più originali nel panorama musicale di oggi. Come ogni anno poi si renderà omaggio a Fabrizio De Andrè, con una serata interamente dedicata al cantautore genovese. Ci sarà poi IL CIELO SOTTO MILANO FESTIVAL, la serata firmata Costello’s dedicata al meglio delle nuove realtà indipendenti. Sabato 13 aprile il Circolo avrà invece il piacere di ospitare una delle band più amate dello ska italiano, i MEGANOIDI. Il 19 Aprile sarà il turno degli ZEUS, il power duo composto da Luca Cavina al basso elettrico (Calibro 35, Craxi, Incident on South Street) e Paolo Mongardi alla batteria (Fuzz Orchestra, Ronin, FulKanelli, ex Jennifer Gentle). E tanto altro ancora.

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Ottovolante – La Battaglia Delle Mille Lepri

Written by Recensioni

Sono sempre felice come un bambino quando mi arrivano dischi come questo: scoprire che ci sono ancora band che si divertono, che non fanno il compitino appoggiandosi a ciò che veniva prima di loro, che non danno per scontato che una canzone debba avere questo, fare quest’altro, dire quell’altra cosa ancora… io so che esistono tanti gruppi così, solo che spesso me lo dimentico, e a La Battaglia Delle Mille Lepri deve essere riconosciuto almeno il merito di avermelo ricordato.
Scritto, composto ed eseguito dagli Ottovolante (al secolo Gianni Mannariti e Denial Marino), il disco si snoda in 13 tracce di rock divertito e mobile, tra echi naif (“Balliamo Anche in Soggiorno”, che però non mi esalta più di tanto) fino a piccoli capolavori d’atmosfera e melodia (“Nota Panoramica”, che mi riporta alla mente i Meganoidi più rock, con un arrangiamento di fiati e chitarre molto azzeccato).
La Battaglia Delle Mille Lepri è cantato in italiano, con una voce che a tratti mi ricorda Manuel Agnelli – e prima che gridiate alla bestemmia, specifico: come utilizzo e valore, non tanto in tecnica o capacità. I testi si indovinano interessanti, in bilico tra litania e filastrocca, ma emergono poco nel marasma, sia per come sono scritti, sia per come sono cantati (esclusi un paio di episodi, come la già citata “Nota Panoramica”, o la rilassata “Adesso Torno, tra pacatezza da Ministri – la voce e un arrangiamento di chitarre e archi fatto sottovoce, o la toccata-e-fuga acustica de “La Folla).

Il bello de La Battaglia Delle Mille Lepri è anche questo: la quantità di riflessi che s’intravedono tra le sue pieghe. “Francesca non vuole sentire” si porta dentro un’ambientazione rock aperta alla Brahaman,“La folla”suona acustica e viscerale, vedo un mezzo Bennato in Caro dittatore (1972), gli Afterhours fanno capolino qua e là tra riff di chitarra ossessivi e voci acrobatiche (“La Mente Mente e il Mondo è Pieno di Luoghi Della Mente”) . Devo ammettere che rimango più incollato agli Ottovolante negli episodi meno aggressivi (“Nota Panoramica”, “Adesso Torno”): sarà perché gli riesce meglio o sarà perché sono meno appoggiati al già sentito? Fate una prova e sappiatemi dire.
La Battaglia Delle Mille Lepri è bello perché è vario. È un disco divertente (e ciò non vuol dire che i pezzi siano tutti allegri e spensierati). È multiplo, è pieno di arrangiamenti diversi, un parco strumenti interessante (batteria, rototom, pentole, cocci in cucina, cucchiai forchette e cucchiaini, synth, kazoo, basso, chitarra elettrica, classica e acustica, pianoforte, trombette, e non vado avanti perché dal booklet leggo cose tipo vocine tupatapatapatapa o auanasheps e ho come l’impressione che gli Ottovolante mi stiano leggermente prendendo per il culo). Tre brani su tredici sono skit sotto i dieci secondi (se hanno un significato recondito, non riesco ad afferrarlo). Rimangono dieci tracce, e ne vale comunque la pena.
A qualcuno La Battaglia Delle Mille Lepri non piacerà perché è troppo semplice, troppo terra-terra, troppo insensato. Più per partito preso che per altro.
E vabbè, ce ne faremo una ragione.

https://www.youtube.com/watch?v=tlCWsLDttM4

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