Ida Diana Marinelli Author

Sonic Daze – First Coming

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Massimiliano Demata, Vittoriano Ameruoso, Serena Curatelli e Giuseppe Santorsola sono i Sonic Daze che esordiscono a fine 2013 con il loro Ep First Coming. Pugliesi e passionali i Sonic Daze ci presentano un lavoro prima di tutto con una copertina niente male disegnata da Shawn Dickinson e soprattutto formato da sei tracce che spaziano senza alcun dubbio tra un Rock’n’Roll molto esplicito e un Punk veloce, e a volte divertente che fa immaginare gavettoni e guerre di cuscini. Tutto questo si scorge fin dalle prime note di “Hear Me Calling” quel tanto orecchiabile da rimanere impressa senza però risultare banale. “When the Sun” incarna perfettamente quello che dicevo prima, l’aria d’estate che tarda ad arrivare ma quando arriva lo fa in modo violento e goliardico tra viaggi on the road, finestrini abbassati e musica a tutto volume magari proprio quella di First Coming. “Amorality” invece ha sonorità più dure rispetto per esempio a “So Many Colours” che con il primo arpeggio ci catapulta sulle spiagge assolate degli anni 60-70 e quel sapore molto British che in questo caso non guasta proprio. “Get out of the Way” chiude questo Ep in maniera consona anche se non è proprio la parola più appropriata.

Insomma, First Coming può risultare una sorpresa per gli amanti del genere e non solo per le sonorità molto naturali di un genere che alcune volte stona ma che questa volta nuota nelle atmosfere del Rock prendendone gli aspetti più ritmici. Tutto suonato con una tecnica molto buona e una precisione ritmica assolutamente da notare. Da sottolineare la registrazione in maniera assolutamente analogica senza l’uso del computer che rende il suono meno piatto e più presente. Insomma le influenze del gruppo sono anche molto chiare Beach Boys, Beatles, Sex Pistols, Ramones. Influenze chiare e non copiate. Infatti i Sonic Daze ci mettono del loro con audacia e senza paura dimostrando perché no professionalità e soprattutto profonda conoscenza del genere e della propria passione. Un esordio da ascoltare assolutamente, magari a tutto volume, e da portare in valigia!

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Dead Shrimp – Dead Shrimp

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Pensando al Blues credo che ognuno di noi abbia un suo particolare ricordo. Infatti c’è chi lo scopre attraverso la passione dei propri genitori, chi attraverso la lettura di riviste di musica e chi come me grazie alla curiosità di andare a spulciare le vecchie collezioni di vinili del nonno. Ma ogni scoperta porta a un comune denominatore che è la nascita di questo genere e il grido liberatorio degli schiavi afro-americani. Passando alla struttura potremmo citare le blue note (intervallo dissonante di quinta diminuita) e della sostanziale ripetizione dibattute o interi fraseggi. La struttura del Blues dunque ha dato vita a un’infinità di generi, dallo Spiritual, al Jazz, al Rock & Roll, al Rhythm and Blues, al Nu Bluez, genere minore che celebra il blues più autentico e classico con suggestioni che appartengono ad altri linguaggi e stili.

Il Nu Bluez in particolare è lo stile dei Dead Shrimp band romana formata da Alessio Magliocchetti Lombi (chitarra slide), Sergio De Felice (voce) e da Gianluca Gianasso (batteria, washboard, voce) che nel Novembre dell’anno appena passato esce con l’omonimo album di debutto formato da dieci brani, tra cui tre cover di classici e sette brani originali. Il gruppo si forma nel 2010 come duo, tra Alessio Magliocchetti Lombi e Sergio De Felice, che subito ama le performance live in numerosi club della capitale. Il genere è chiarissimo, nato dall’amore per il Blues, infatti il duo spazia dal Delta Blues al Gospel, dal Ragtime ai canti di lavoro, interpretando gli stessi in modo strettamente personale, moderno, eppure fedele alla tradizione. Nel 2012 si unisce a loro Gianluca Giannasso consolidando e arricchendo il patrimonio sonoro del gruppo.

Nel 2013 arriva il loro primo importante lavoro discografico Dead Shrimp uscito per Ali BumaYe! Records e distribuito da Audioglobe. Dal primo secondo quando si clicca play è tutto potenzialmente chiaro: stile, suoni, volumi e soprattutto intenzioni. La tradizione c’è tutta assieme alla special guest Roberto Luti presente in tre brani del disco ovvero in “Compulsive Shag”, e nelle due cover “Shake’Em on Down” e “Kokomo Blues”. “Keep Your Lamp Trimmed and Burning” completa la triade delle cover eseguite  in maniera piacevole e pulita soprattutto nella voce di Sergio De Felice che non cerca nemmeno lontanamente di imitare un colore vocale che non gli appartiene affatto. Quindi il Blues cantato da un bianco con elementi certamente nuovi e moderni contenuti nei sette brani originali che racchiudono un ottimo lavoro di slide di Alessio Magliocchetti Lombi, un buonissimo ritmo di batteria e di washboard (strumento musicale usato dalla metà del XX secolo dopo che cadde in disuso come strumento di lavanderia dopo l’invenzione delle lavatrici) e una buona capacità di scrittura musicate attraverso uno stile molto particolare forse in alcuni contesti ancora di nicchia. Insomma un ottimo lavoro con molta storia e molto da ascoltare sia per gli appassionati che per tutti.

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Chiara Jerì e Andrea Barsali – Mezzanota

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Questo che vi presento oggi è un duo, voce e chitarra, formato da Chiara Jerìe Andrea Barsali. Chiara si presenta come una pulce con la tosse… che non può impedire a se stessa di comprendersi cantando… e scrivendo le sue storie. Cantante nel trio acustico Fouve 010, interprete anche e soprattutto nel lavoro discografico Mobile Identità del 2009 e successivamente anche autrice con il brano “Notturno dalle Parole Scomposte” che la porta a vincere il concorso “Un Notturno per Faber” e all’apertura dell’album Mezzanota, uscito il 22 febbraio 2013, con la collaborazione del chitarrista Andrea Barsali, trasversale nei generi, con un bagaglio di esperienze che spazia dalla musica classica al Rock, dal Folk al Pop cimentandosi in numerosi repertori.

Quindi con Mezzanota i due musicisti si tuffano a capofitto in un mondo, quello della canzone d’autore, che entrambi conoscono molto bene. Tutto creato in un’atmosfera intima e genuina grazie anche a quei brani che fanno la storia della musica italiana da “La Donna Cannone” di Francesco De Gregori, passando per “Canzone II” di Pippo Pollina e “Fino all’Ultimo Minuto” di Piero Ciampi. Insomma grandi autori e grandi storie che le nuove generazioni certamente dovrebbero riscoprire e conoscere, soprattutto per apprezzare a pieno le innumerevoli influenze che questo album contiene. Influenze che giocano ruoli importanti nei loro brani inediti come in “Amore Mio Hai Ragione” primo brano dolce e soffuso giocato tra gli arpeggi e una voce colloquiale e molto profonda. Attese e sospiri creati dal tremolo ne “La Ballata della Ginestra” e un lungo e bell’arpeggio che apre “Notturno dalle Parole Scomposte”, brano citato sopra, vincitore di “Un Notturno per Faber”. “Innesco e Sparo” invece cambia un po’ le atmosfere, qui più cariche ma sempre piene di significato.

Insomma questo è un lavoro molto gradevole che passa a pieni voti tra il cantautorato tradizionale e la musica classica proprio come l’ultimo brano che non si chiude con un punto, con una fine decisiva ma con un lungo “Vorrei” e una chitarra che si prende spazi considerevoli per dialogare amabilmente con l’ascoltatore, che in ogni caso riuscirà a trovare un suo qualcosa nella musica di quest’album.

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Coconuts Killer Band – Party ‘n’ Fun

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La Coconuts Killer Band nasce nel 2010 dalle menti di Mick e “Little Demon Sim”, fratelli e rispettivamente chitarrista e batterista di quella che ben presto diventerà una tipica Rock’n’Roll band. Ma come fare una Rock’n’Roll band senza prima una particolare voce con un carisma non indifferente? Ed ecco che alla formazione si aggiunge il cantante John Ron Carpenter, il bassista Ste Doc, il tastierista El Gringo e le killer babies Jade & Gretha. Il gruppo al completo quindi comincia a girare sulla loro instancabile Lemmy Van per diversi locali e festival, partecipando come gruppo spalla a concerti de Il Pan del Diavolo, Moltheni, Zamboni &Baraldi ecc, e vincendo concorsi come “Sotterranea Rock Contest” di San Benedetto del Tronto e il “B-live alternative” di Cosenza che li porterà a suonare in Germania, Belgio, Olanda, Svizzera e Austria nel 2014.

Insomma tre anni davvero pieni per la band abruzzese che nel 2013 esce con la loro prima Demo. Quattro tracce che in toto rappresentano il loro stile predominante che è quello Rock’n’Roll con una spruzzata di altri generi, soprattutto Garage e Punk, tanto per colorire e rendere più gustosa la modernità. Appena parte la prima traccia “No! No!” non è difficile immaginare l’atmosfera fatta di ciuffi alla pompadour, maniche a giro, coriste in rosso che ciampettano una semplice coreografia e lui, microfono simile a un MS-55 Elvis stile anni sessanta che primeggia davanti a tutti. “Party’n’Fun” si muove invece in quel Rockabilly tipico degli anni Cinquanta-Sessanta, periodo che si respira anche nel quarto brano della demo “Last Day” che riconferma prima di tutto la loro conoscenza del genere e del periodo in questione, certamente come “Running Wild” posto come finale eclettico e ritmato.

Insomma i Coconuts Killer Band con questo lavoro dimostrano qualcosa. La passione per gli anni Cinquanta-Sessanta, la padronanza delle loro intenzioni, la tecnica musicale, la voglia di girare e farsi conoscere; infatti il gruppo nell’arco della sua breve vita artistica ha collezionato più di trecento live che non si fermeranno certamente ora. A tutto questo si aggiunge la peculiarità di genere utile soprattutto in realtà festaiole e goliardiche per ballare, sballarsi e non pensare troppo. Tutto può sembrare positivo, elettrizzante e centrato nel punto. Ed ecco che il punto è proprio questo: troppo centrati in una sola epoca, troppo simili ad uno stampino di Elvis, tutto già sentito, già suonato e già vissuto. Quindi perché non usare questa tecnica e bravura musicale per creare qualcos’altro? Magari è l’inglese a rendere un po’ tutto scontato al contrario dell’italiano che sarebbe probabilmente più interessante. Insomma tutti gli elementi ci sono, manca solo quel quid in più.

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Karmamoi – Odd Trip

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Questa volta la capitale romana ci porta i Karmamoi, giovane gruppo Prog Rock formatosi nel 2008 dalla mente e dall’anima del batterista Daniele Giovannoni e dalla cantante Serena Ciacci. Il 2009 porta l’incontro con la Crisalide Edizioni e l’uscita del loro primo singolo “Venere”, il 2011 la pubblicazione del loro lavoro d’esordio Karmamoi, il 2012 l’uscita dell’Ep Entre Chien et Loup visto come l’anello di congiunzione tra il passato e il futuro. Futuro che arriva con la pubblicazione di Odd Trip (2013), secondo album e soprattutto esordio in lingua inglese. In questi anni la formazione si completa con l’arrivo di Fabio Tempesta e Alex Massar alle chitarre e Alessandro Cefalì al basso.

Iniziando l’ascolto di questo strano viaggio sinceramente non si sa cosa aspettarsi e forse non si sa cosa aspettarsi nemmeno alla fine dell’ascolto. Prendendo singolarmente tutti gli elementi si percepisce la valenza ma alla fine tutto dovrebbe unirsi per creare una sola opera. È un concetto abbastanza metafisico legato alle sensazioni suscitate da un album o da un brano che sia, ma questa unione, questa fonduta di materiale sonoro purtroppo non l’ho percepita, percependo anzi un certo sforzo. La lingua inglese certamente non aiuta la cantante che, nonostante le doti canore, non riesce a fluidificare l’inglese facendolo apparire all’orecchio dell’ascoltatore meno maturale e soprattutto meno morbido. Per quanto riguarda il valore degli altri strumenti, esso è indiscusso, fatto di piacevoli armonizzazioni e legato ad un’elettronica che non disturba, anzi che spezza la quasi monotonia di un lavoro che di primo acchito appare già sentito e precario di inventiva la quale oltre alla bravura tecnica dovrebbe essere l’elemento più importante per chi intraprende oggi la strada della musica. Ormai è già stato detto e suonato tutto e il cercare quella particolare novità o quella determinata melodia richiederebbe tempo, lavoro e apertura tecnica e mentale. Anche l’andamento del disco appare discontinuo. Alcuni direbbero “Bene!” ma in questo caso la discontinuità di genere toglie qualche punto. In particolare i tre “Oxygen” mi risultano senza alcun significato logico. Dovrebbero alleggerire la tensione del disco o aggiungere qualche brano in più alla scaletta del lavoro? Forse la seconda ipotesi sembrerebbe più plausibile dato che l’unica cosa che fanno è distrarre l’ascoltatore.

Insomma Odd Trip è un lavoro troppo azzardato, senza personalità e soprattutto senza brani degni di essere ricordati. Provare emozioni è una cosa istintiva, umana che non avrebbe bisogno di una precisa intenzione nell’essere trovata. Ma nonostante l’intenzione non vi è nulla che colpisca quelle particolari corde. Magari è un lavoro che necessita di più tempo, magari di più maturazione come i vecchi vini. La grandezza, però, la genialità sono cose che non vanno cercate forse in un genere sbagliato (quello Progressive), che non ci appartiene e che non ci apparterrà mai. La storia non si fa con i “se” o con i “ma”, ma con un grande lavoro e una profonda conoscenza di se.

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Calibro 35 – Traditori di Tutti

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Quattro musicisti nella stessa stanza; chitarre fuzz, organi distorti, bassi ipnotici e funky grooves riempiono l’atmosfera. Luca Cavina, chitarra e basso, Enrico Gabrielli, organi e fiati, Massimo Martellotta, chitarra elettrica e lapsteel, e Fabio Rondanini, batteria e percussioni, formano i Calibro 35, gruppo italiano (milanese) il cui progetto prende vita sotto i loro stessi occhi. Un progetto che segna la loro carriera e il loro modo di fare musica, soprattutto musica per le immagini. Quindi colonne sonore dedicate ai polizieschi e action thriller con cover e brani originali che sottolineano l’intenzione e la capacità del gruppo di ricreare atmosfere e mondi che talvolta nei film si danno per scontato ma che alcune volte fanno il film stesso. Dunque i Calibro 35 iniziano la loro carriera dove molti gruppi italiani non riescono nemmeno ad arrivare e cioè all’estero: Lussemburgo, Belgio, Stati Uniti. Registrano Eurocrime, documentario americano sui polizieschi italiani, il loro primo album Ritornano Quelli Di…, l’intera colonna sonora del film Said e alcuni brani per i film Gli Angeli del Male, La Banda del Brasiliano e Romanzo Criminale. Nel 2010 esce Rare, raccolta di musiche da film, b-side, versioni alternative e inediti dell’archivio della band e nel 2010 è la volta dell’album Ogni Riferimento a Persone Esistenti o a Fatti Accaduti è Puramente Casuale, contenente dieci brani inediti e due cover, e l’ep Dalla Bovisa a Brooklyn che si muove come sempre tra cover, originali e una storia a fumetti del gruppo.

Finalmente il 2013 porta Traditori di Tutti, uscito in Italia il 21 Ottobre e da Novembre anche in Giappone. L’album è formato da dodici tracce che vivono e riecheggiano le atmosfere poliziesche e filmiche quasi soprattutto degli anni settanta. A primo acchito si potrebbe pensare che sia musica troppo settoriale ed in effetti si percepisce una certa malinconia di quegli anni, il che però non guasta dato che quello fu uno dei periodi più prolifici per la storia della musica mondiale. Ed infatti leggendo qualche loro intervista quella degli anni settanta non viene percepita come una fissazione assoluta ma come un momento da cui partire, come un esempio da tenere ben a mente per poi fare qualcosa di proprio ed in qualche modo originale. Appena si clicca play il “Prologue” ci trasporta in una sorta di atmosfera west abbandonata subito in “Giulia Mon Amour” nella quale si concretizza la loro tecnica spiccata che a quanto dicono è frutto solo della conoscenza dei loro strumenti, dell’atmosfera e dell’improvvisazione che è il punto focale. Ma il pilastro di tutto il lavoro è certamente Traditori di Tutti di Giorgio Scerbanenco, romanzo del 1966 che racconta le indagini che stanno dietro all’annegamento di Silvano e Giovanna. Giovanna è una giovane donna costretta a sposare un uomo che non ama e a ritrovare la sua perduta verginità grazie a un delicato intervento. La sua fine però non avviene con il matrimonio-farsa ma con una crivellata di proiettili e l’annegamento nel Naviglio.

Una Milano e un’Italia violenta e crudele che traspare come uno specchio negli inseguimenti Funky tra gli strumenti (“You, Filthy Bastards!”), nella tensione Rock delle percussioni (“Stainless Steel”), nel fitto vintage delle tastiere (“Vendetta”) e nella psichedelia più spiccata (“Mescaline 6”, “AnnoyingRepetitions”).

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Marrone Quando Fugge – Il PreFagiolismo

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Marrone Quando Fugge è il nome d’arte di Massimo Lepre, cantautore astigiano che attraverso nove brani propone il suo disco d’esordio Il Pre-Fagiolismo uscito per la Volume! Records. Ad accompagnare il cantautore in questo viaggio c’è anche Sauro Ferraris alla chitarra, Simone Fratini al contrabbasso e Alberto Silengo alla batteria.

Tutto parte con un bellissimo pianoforte in “Miseria Stabile, Ricchezza Mobile”. Una melodia molto semplice che accompagna il dialogo diretto e rivolto al sistema, al presente, alle persone che spesso e volentieri rovesciano la medaglia, immergendosi in pensieri e valori fasulli. Ma si cambia atmosfera  con la musica gitana di “Meno di Te” che attraverso il ritmo allude e racconta un’intimità guardinga e beffarda. Ed arriviamo al video ufficiale che da anche titolo all’album “Marrone Quando Fugge”, protagonista è una chitarra melodica e un’atmosfera semplice che sottolinea la necessità di abbandonare una vita morta dando importanza ai bisogni primari lasciando da parte tutto ciò che ci fa marcire, reagendo con ricchezza interiore e speranza nelle piccole cose. Si prosegue con “Cenere e Whiskey” e con la bella chitarra slide di Andrea Anania, e con “Modestino” e il mandolino che accompagna la domanda “A chi appartieni, wagliò? A chi si figlio?” immersa e profonda nella quotidianità popolare.Poi ci si tuffa in “Fango”, nella visione distruttiva dell’amore e nella sua atmosfera Soul, grazie alla voce di Sabrina Turri. Ma è solo una “Questione di Loquacità” che riecheggia le atmosfere di Paolo Conte, assieme alla facilità di buttare, pezzo dopo pezzo, il nostro pianeta in stati di assoluto degrado (”La Discarica delle Anime”). Ma l’intrigo e la fine si scoprono in “Un Principio di Alzheimer” con loop elettronico e poche note di pianoforte.

Pochi elementi ma ben usati. Melodie semplici di strumenti primari e piccole preziose aggiunte che non fanno altro che rendere quest’album ancora più profondo nei suoi significati e nelle sue atmosfere. Il Pre-Fagiolismo grazie alla sua ironia e ai suoi testi ricrea la tipica arte cantautorale italiana, della sfera dei Maestri Paolo Conte e Vinicio Capossela. Una voce, quella di Massimo Lepre, che non è solo canto ma anche e soprattutto dialogo, pensiero e stimolo verso questa generazione ad andare più a fondo, a cercare e lavorare per una vita globale migliore anche se difficile.

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Il Giunto di Cardano – La Storia è Sempre Questa

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E rieccoci a parlare de Il Giunto di Cardano, giovane band pugliese formata da Giuseppe Colangelo (chitarra e voce), Andrea La Gatta (chitarra), Mariano Cericola (basso) e  Davide Tappi (batteria), che prende il nome da un organo che trasferisce energia cinetica da un motore ad altri elementi e che suona con l’intento di fondere sonorità British alla scena musicale italiana, strizzando anche l’occhio all’ Indie Rock e alla musica underground indipendente. Tutte cose che sappiamo già soprattutto perché questa band l’abbiamo conosciuta a fine 2012 con l’uscita della loro prima demo.

La recensione finiva così: <<Timbro vocale e testi che non fanno impazzire, ma che comunque se curati nel tempo daranno i propri frutti. Quindi il consiglio è quello di non bruciare le tappe, di pensare a qualche ballata, di diversificare l’andamento dei pezzi, di ragionare bene sulla struttura del disco (e non canzone per canzone) e di trovare prima il “voi” e il vostro significato musicale, per poi portarlo sui palchi con maggior forza e consapevolezza>>. Quindi a rigor di calcolo il consiglio di non bruciare le tappe non è stato seguito con l’uscita del loro primo Ep, La Storia è Sempre Questa. Ep che inizia con “Nessun Problema” primo brano che da subito fa capire che il sound non è cambiato, quindi molto Rock e orecchiabilità. Abbastanza interessante è “Stai Bene Come Sei” con il suo solo di chitarra molto classico, unico tratto singolare rispetto alla vocalità sempre sguaiata e ai testi ripetitivi. Si prosegue con “Giorno Perfetto”, il suo intro di batteria e il testo verso un tu immaginario, e “Limite” brano più importante dell’Ep da cui deriva il titolo. “Anestesia” invece è l’ultimo pezzo che chiude il lavoro.

Un lavoro paragonabile alla prima demo. Un lavoro che non entusiasma, che può essere etichettato nel classico Rock che ormai però può apparire noioso. Un lavoro comunque chiaro nelle intenzioni ritmiche e strumentali, dal buon sound ma con un cantato sguaiato, urlato, con delle finali che sembrano vortici e delle vocali che certe volte si perdono nel buio. Un Ep dalla buona base tecnica ma che non basta per andare più in alto. Ci vorrebbe inventiva, sperimentazione, emozione, significati più profondi, audacia nel non nascondersi nel proprio cantuccio sicuro e soprattutto tempo, mesi, se è necessario anni e anni per creare qualcosa che vada oltre. Oltre quella marmaglia insignificante che suona solo per farsi vedere. Oltre quel tu generico dove non ci si riesce ad immedesimare. Oltre quei particolari che nessuno si sciroppa ma che in realtà sono il segreto di tutto. Quindi il consiglio, che nessuno calcolerà ma che scrivo lo stesso, è quello di non buttare nel dimenticatoio i brani già composti, di correggerli, assemblarli in maniere differenti, di provare, sperimentare e di non uscire tra un anno con un album del tutto uguale ai lavori precedenti. Amen.

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Years Without Days feat. Athonal – DJ Set #1

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Dj Set#1 nasce dall’incontro di due emergenti della musica elettronica: Years Without Days e Athonal, rispettivamente Luigi Calfa e Simone Giudice. Insieme per la prima volta sul palco del Color Fest (8 Agosto 2013) a Lamezia Terme, nel cuore della Calabria che per ventiquattr’ore di fila ha ballato sulla musica de I Ministri, Nobraino, Giorgio Canali & Rossofuoco ecc. Una festa di colori e musica soprattutto per riscattare una terra troppe volte martoriata e sottovalutata.

Un primo featuring che lascia intendere almeno l’idea di un secondo incontro per costruire ancora quegli universi paralleli ma similari, fatti di infiniti loop e pensieri metafisici creati su idee e passaggi semplici che rendono l’elettronica minimale ma soprattutto chiarissima all’ascolto di ogni singolo piccolissimo passaggio che apre inesorabilmente un mondo fatto di sensazioni tattili in paesaggi futuristici e lontani dall’immaginario odierno. Ma anche un’elettronica che guarda ai suoni più contemporanei e atonali presenti all’inizio del Dj Set, utili a definire mondi popolati da creature misteriose e silenziose che riportano l’uomo verso il suo passato ancestrale, verde e vuoto e su una terra incontaminata che fa pensare a 2001 Odissea Nello Spazio e all’inconfondibile monolito di una nuova e inarrivabile generazione. Un lavoro semplice ed elegante che ad alto volume sprigiona una potenza che non nasconde niente. Una potenza fatta di tempi enormi, scanditi da infiniti giri di vinile. Ma soprattutto più di un’ora riempita da una tracklist invidiabile, partendo da Alva Noto, la cui musica è arrivata nei centri d’arte contemporanea più importanti del mondo, dal Guggenheim di New York alla Biennale di Venezia, passando per Ramadanman, Marcel Fengler, i Radiohead con“Good Evening Mrs Magpie” e Apparat con la Noise version di “44”.

Un Dj Set che loro stessi definiscono “fine e mirato. Samples tenuti in vita mentre breakbeats variano a suon di 2 Step e Garage con innesti di Techno. Beat-maker di professione. Il sequencer è un’utopia. Il crepuscolare si unisce al minimale, il risultato al primo EP sa un po’ di malinconico e un po’ di misterioso”. Insomma un Ep non invasivo e utile anche per immergersi in questo mondo per la prima volta.

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Sakee Sed – Ceci N’Est Pas un Ep

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I Sakee Sed sono un duo bergamasco formatosi nel 2010. Il cantante e chitarrista Marco Ghezzi e il batterista Gianluca Perucchini determinano il centro di una formazione che a seconda dei concerti si allarga con Marco Carrara alle tastiere, synth e cori, Jonathan Locatelli al basso e Guido Leidi alla chitarra. Il loro viaggio, come stavamo dicendo, inizia nel 2010 e dopo i primi LP Alle Basi della Roncola, Bacco EP e A Piedi Nubi lo scenario cambia e si allarga verso l’apertura dei concerti dei Verdena, Bud Spencer Blues Explosion, Zen Circus, Giorgio Canali e la creazione della loro etichetta discografica Appropolipo Records.

Anche il 2013 comunque si arricchisce con l’uscita di Ceci N’Est Pas un Ep, lavoro formato da una copertina molto vintage e sei brani. Primo tra tutti “Boccaleone”, orecchiabile, incalzante, che apre l’immaginario sonoro a una vocalità piena di effetti e che mira, attraverso il video ufficiale, a sottolineare il loro essere sempre in tour e le loro influenze visive, come la leggendaria passeggiata dei Beatles sulle strisce pedonali, riproposta da tutti e in mille salse diverse. Si prosegue con “Il Mio Altereggae” che centra l’intenzione di riproporre il genere Reggae qui in versione molto Blues, con un marcatissimo levare e synth sempre presenti che arricchiscono il tutto.E si cambia scenario con “Metal Zoo” molto anni settanta dai toni forti e dalle chitarre aggressive, e con “Olderifa Express” dall’inizio destabilizzante che poi si concretizza in una delicata ballata Rock, nella quale però la voce appare poco chiara. “Jimmy è Perso Nel Delirio” invece è un breve cavalcata Rock’n’Roll/Country, al contrario dell’ultimo brano “Strappi Bianchi” che racchiude in se un po’ tutto l’Ep, dal sapore Blues e con cori sempre molto centrati.

Insomma i Sakee Sed sono un gruppo volenteroso, come direbbero le maestre di una volta, per l’indubbia voglia di fare, di studiare e riproporre in chiave più contemporanea il Rock anni settanta con delle contaminazioni stilistiche interessanti e molto centrate.Un gruppo ironico che sa prendersi in giro e sempre pronto a registrare, mixare e masterizzare i loro lavori, soprattutto Ceci N’Est Pas un Ep che verrà stampato anche in vinile e in edizione limitata.

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Le Strade – In Fuga Verso il Confine

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Le Strade, un nome molto comune ma che accomuna le vite di quattro musicisti, Alessandro Brancati, voce e testi, Davide Baldazzi, chitarre, Gigi Fanini, basso, e Alessandro Soggiu, batteria e percussioni, che nel 2013 escono con il loro primo lavoro ufficiale. Un esordio quello de Le Strade dal titolo sincero e in questo periodo molto veritiero In Fuga Verso il Confine. Un confine oltre il quale si sogna la libertà, la dignità e soprattutto la consapevolezza di un popolo in declino come quello italiano.

Un Ep che percorre le strade dell’Indie Rock Alternativo, da tutti definito ottimo per il grande potenziale sonoro. “In Fuga Verso il Confine” è anche la prima traccia del disco. Una traccia energica, ritmica, condita da cori e giochi armonici che la rendono la più interessante dell’intero lavoro. Secondo brano è “Aperti al Moralismo” che oltre a confermare quello già detto in precedenza sottolinea maggiormente la via intrapresa che svincola in “T.H.Y (Tell Him, You)” sempre ritmico, travolgente, con cori che non disturbano nella maniera più assoluta, aggiungendo quel quid in più in un brano cupo e notevole nel quale si urla il presente. Suoni arabeggianti fanno capolino nel penultimo pezzo “La Mia Ricerca Della Felicità” che risulta interessante soprattutto nelle parti strumentali che desiderano essere sviluppate. “Il Pezzo” chiude questo lavoro in un modo marcatamente malinconico da definirlo, come già è stato fatto, una sorta di requiem finale che chiude una vita già piena.

Un esordio assolutamente soddisfacente per il gruppo bolognese che dimostra una buona propensione al Rock classico per immergersi totalmente in quello Indipendente italiano, una maturità non indifferente sia per quanto riguarda i testi definiti più e più volte impegnati e sia nella coniugazione tra gli strumenti che risulta ottimale. Un buon inizio, risultato di un lavoro ben fatto e di una propensione comunicativa ben coltivata. Parecchi complimenti a Le Strade che dovrebbero servire a continuare con più forza il percorso intrapreso, senza sedersi sugli allori.

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Eternauti – Il Vuoto è Segreto

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Gli Eternauti sono un giovane gruppo pugliese formato da Dario Bissanti, voce e chitarra, Giuseppe Carucci, basso, Antonio Attolini, batteria, con l’aggiunta nel 2013 di Claudio Giuseppe Fusillo, tastiere e seconda voce. Il loro percorso inizia nel 2009 quando incidono la loro prima demo casalinga assieme alla mini demo La Majorité C’est Vous del 2010, continua sui palchi della Puglia e dei più svariati festival (Controfestival, Festival Fuori dal Comune, Dirockato, Giovinazzo Rock Festival) e anche grazie al crowdfunding. Infatti in Puglia si è sentito parlare degli Eternauti proprio perché sono stati il primo gruppo ad affidare la promozione del loro disco alla piattaforma MusicRaiser, avvenuta grazie alla più tipica raccolta fondi ricambiata poi con svariati regali (una foto, un autografo ecc).

Nel 2013 finalmente esce il loro disco d’esordio Il Vuoto è Segreto, registrato e missato a Milano, con copertina e disegni di Claudio Losghi, fotografie di Nicola Boccardi e grafica interessante di Giuseppe Carucci.L’album è formato da undici brani registrati dalla band esclusivamente in analogico e al riparo dal “gelo” dei supporti digitali, il che è assolutamente apprezzabile. Naturalmente in tutto l’album si sviluppano testi che vogliono raccontare, come loro stessi dicono, riflessioni, storie personali, rapporti passati e futuri, visioni, ostacoli e omaggi come per esempio nel secondo brano “La Fotografia Dei Led Zeppelin” interessante e piacevole soprattutto nel ritmo. Ritmo che si sviluppa in quasi tutto il disco anche mediante un approccio Pop-Rock (“Senza Fine”, “Carro Armato”), Cantautorale (“Malinconica Giornata”, “Essere Meraviglioso”, “Solo tu”) e dissonante (“La Formula”, “Voglio Diventare Come Te”).

Se si ascolta più attentamente si scopre anche come un album di protesta, come già detto prima contro i supporti digitali che appiattiscono il suono facendolo diventare quasi finto o contro qualsiasi forma di oppressione (Protesta se vuoi per la libertà, nessuno lo fa è una questione di priorità). Al centro inoltre c’è il significato del vuoto in senso metafisico e sociale come loro stessi dicono “siamo circondati da tonnellate di orpelli inutili. Ma basta grattare in superficie per scoprire che dietro questi orpelli c’è solo un grande vuoto, di cui dobbiamo liberarci, rendendolo palese”. Insomma un album che si conquista la sufficienza grazie a certe idee espresse, al ritmo e a qualche brano interessante, ma che non va oltre proprio per la mancanza di particolari pregi vocali o colori strumentali. Inoltre nessun brano o parte di esso risulta emozionante in senso stretto o talmente particolare da essere catturato dalla memoria orecchiabile nei giorni successivi agli ascolti. Questo è certamente un vuoto che andrebbe colmato con lo studio, la costanza ma soprattutto la bravura e la voglia di esprimere qualcosa di emozionante e degna di essere ricordata.

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