The Foel Tower dei Quade, quando la natura ci riconnette con noi stessi

Written by Recensioni

Tra momenti di enorme fragilità e altri di fugace potenza, il nuovo album del quartetto di Bristol è immerso in un post-rock emozionante e minimale
[18.04.2025 | AD 93 | post-rock, folk, ambient]

“È il tempo che ci uccide, ed il tempo è in relazione alla velocità con cui lo sfruttiamo.”

Tante, troppe volte l’artista si trova di fronte alla situazione in cui non riesce più ad esprimersi, cucinato dalla vita o dalla noia. Liberarsi del fardello del foglio bianco diventa un’impresa più titanica che scalare l’Annapurna.
Il mondo virtuale ci obbliga a mantenere una presenza costante e astratta, una falsa dimostrazione della nostra felicità. E tutto ciò si sovrappone ai problemi reali, che corrono, corrono, corrono, corrono…

… BOOM!

I Quade sono i nostri eroi contro il postmodernismo: essi rifiutano l’iperconnettività e l’accelerazionismo, isolandosi dal mondo e producendo la loro arte (in compagnia di Jack Ogborne alias Bingo Fury) con metodi che sembrano provenire da un mondo antico, dandoci la sensazione di essere nella stessa stanza assieme a loro.

Il loro post-rock diventa talvolta pastorale e altre volte ossimoricamente futurista. Distruggendo la loro contemporaneità, essi ricercano il loro primitivismo, così come Federico, scrivendo di questo disco, ritrova la via facendo pace con la natura e gettandosi oltre la finestra per sfogare il suo ES.

Buona lettura.

[Prefazione di Gianluca Marian.]

Quade © Tom Whitson
Una delicatezza impalpabile.

Erano giorni che provavo a scrivere qualcosa su questo album. Ma ero bloccato, perdevo tempo a cincischiare scrollando reel e stupidate simili. E sono stati giorni sprecati, senza che mi venisse la giusta ispirazione. Me ne stavo chiuso in casa, dopo il lavoro, a perdere le ore senza fare nulla di costruttivo. Quando provavo a buttare giù qualcosa, mi uscivano solo frasi di circostanza, parole insulse, nulla che dicesse veramente quello che volevo esprimere.

Quando ho ascoltato il nuovo lavoro dei Quade per la prima volta, la sensazione è stata questa: ero totalmente bloccato. Tanto da dire “no non ci riesco, verrebbe un articolo che sembra scritto con ChatGPT. Uno scritto senz’anima”. Poi però, ascolto dopo ascolto, dopo giorni di apatia, ecco che mi sono sbloccato. E mi sono sbloccato grazie alla natura che mi circonda.

Mattina presto, esco in giardino e pioviggina; c’è il silenzio della domenica, rotto solo dal ticchettio delle gocce sulle foglie appena spuntate e da qualche temerario uccellino che svolazza e per poi posarsi sul prato alla ricerca di insetti. In una domenica mattina senza sole, fuori piove e tutto sembra essersi fermato per darmi tempo e ispirazione. Metto su di nuovo The Foel Tower, ed ecco che arriva un lampo. Ecco che finalmente le parole sgorgano dalle mie dita, sulla mia tastiera e infine sul mio schermo.

Forse a darmi la spinta giusta sono stati il basso intenso e gli archi spumosi di Beckett, il brano d’apertura dell’album. Parlerei di ambient folk, vista la sua delicatezza quasi impalpabile. Eppure rimbomba dentro, è un pezzo che smuove il cuore, che pulsa e che affascina.
Un’apertura con cui la band di Bristol dichiara subito le proprie intenzioni: trasportarci nel suo mondo, farci immergere nelle sensazioni che essa stessa ha provato scrivendo questa bellissima musica.

Nella solitudine delle lande gallesi.

Per creare questo disco, i Quade si sono rifugiati per dieci giorni in un fienile in una zona rurale del Galles, lontano dalle città e dal caos quotidiano. Immersi nella natura, immersi in un mondo dove tutto è più lento, quasi statico, dove ci si può prendere il proprio tempo e il proprio spazio.

In quella vallata, racconta la band, tutto era spoglio, c’era sempre molto vento e la luce diurna durava pochissimo. Ogni sera i quattro si riunivano attorno ad un fuoco, godendosi quei momenti senza nulla e nessuno attorno. Sentivano in quel momento di essere ai margini della società, accerchiati dal nulla se non la brughiera.

See Unit è un brano che secondo me esprime molto bene questa sensazione di essere in mezzo al nulla: una sferzata di post-rock minimale ma quasi violento, duro, e poi le chitarre che si divincolano attorno al basso per liberarsi ed innalzarsi leggere verso questo luogo tanto recondito quanto affascinante.

The Foel Tower galleggia tra reminiscenze degli Slint di Spiderland e le atmosfere dei romanzi di Cormac McCarthy. Una musica ridotta all’osso ma che sa donare forti emozioni e magnifiche sensazioni. Un album che viaggia libero tra melodie folk carezzate dal vento e morbidi suoni ambient, e che cammina in un post-rock sabbioso e umido.

Musica fortemente influenzata dalla natura circostante, ma anche dalla storia che ha segnato queste lande. Il titolo dell’album è infatti ispirato dalla torre che svetta in questa zona del Galles dove la band ha trascorso il tempo a scrivere musica. Una struttura in pietra dalla quale si attingeva acqua per gli agricoltori della zona. Alla fine del 1800 però il governo bonificò l’area per portare l’acqua alle industrie nate da poco e in veloce espansione, lasciando così i piccoli agricoltori senza il loro primario sostentamento.

I Quade usano questa storia per raccontare il mondo di oggi, la storia della torre Foel come metafora dell’oggi. Essi mettono in relazione la vita metropolitana stressante e deleteria auspicandosi un futuro più sostenibile, uno stile di vita più ecologico dove la natura torna protagonista.

Nannerth Ganol (che è il nome del cottage in cui la band ha registrato il disco) mette in luce questo contrasto tra vita metropolitana e vita rurale, con un’elettronica ipnotica e scarna ma pregna di una tensione destabilizzante ed estremamente cinematografica, musica che sembra arrivare dal profondo di quel terreno che una volta era centro della vita contadina e che ora è solo una landa abbandonata.

Il momento più emozionante dell’album è però lo splendido singolo Canada Geese, che si apre con la nuda chitarra acustica del primo Bon Iver per poi immergersi in un crescendo post-rock speranzoso e vitale che ricorda i momenti più intensi di Explosions in the Sky e Dirty Three.

Un salvifico momento di tregua.

Registrato totalmente su nastro, The Foel Tower suona incredibilmente vivo, magnificamente potente. Un album che vuole dare un messaggio importante, portandoci a ragionare su quanto sia doveroso tornare a relazionarci con la natura, togliendoci di dosso l’odore della città, togliendoci dalle mani smartphone e pc e tutta questa tecnologia che ci sta ingoiando senza che ce ne accorgiamo.

Fragile e intimo, ma anche vigoroso e potente, introspettivo e al contempo espansivo, siamo al cospetto di un lavoro strutturato e delicato. La musica che scaturisce da questi sei brani è grandiosa e bellissima, commuove. Musica per una fugace tregua dalle tensioni quotidiane che tutti dovremmo dedicarci. Musica che esprime anche tristezza e malinconia nel sapere quanto questa tregua sarà breve, solo un piccolo momento.

E io, in questa domenica, guardo fuori dalla mia finestra mentre piove. Oltre i tetti, oltre le antenne, ci sono le montagne già verdi ma con la cima ancora innevata. E penso che, dopo giorni di tempo perso scrollando stupidi reel, sempre con gli occhi su uno schermo che mi brucia il cervello, ho finalmente ritrovato l’ispirazione per scrivere di musica grazie alla natura che mi circonda.

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Last modified: 17 Aprile 2025