The Armed – Ultrapop

Written by Recensioni

La rivoluzione anarchica e caotica contro gli idoli del presente.
[ 16.04.2021 | Sargent House | noise, hardcore ]

Nonostante in circolazione ormai dal 2009, The Armed restano avvolti in una sorta di alone di mistero anche ora che, dopo tre full length senza infamia e senza lode, paiono giunti ad un’opera che ne metta in mostra con chiarezza tutte le qualità compositive ed esecutive. Mistero alimentato dagli stessi membri della band e che accresce la curiosità per un disco, Ultrapop, che di pop ha davvero poco, rumoroso e incazzato com’è.

La formazione di Detroit sembra volersi divertire col minimal gossip ma con la musica fanno fottutamente sul serio e ora più che mai la loro miscela di rumore, melodia, voci e inserti digitali colpisce perfettamente nel segno regalando uno spaccato della pesantezza del futuro imminente che ci aspetta. Un disco che, pur seguendo ovviamente il solco delle opere precedenti, se ne distacca con fermezza scegliendo una strada che, come suggerito dal titolo, è volta a prendere i cliché del pop, triturarli, destrutturarli, ricomporli in maniera deforme e presentarli in una nuova forma cacofonica, in antitesi al concetto stesso di musica pop.

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Il disco si apre con il brano che da titolo al disco, atmosfere eteree e voci celestiali su cui si incastonano squarci rumoristici. Un pezzo che confonde e non convince proprio per la doppia natura di cui è fatto e che darà solo l’idea di cosa seguirà con l’avanzare dell’ascolto, anche da un punto di vista prettamente lirico (“masse olografiche / tensioni artificiali / non ci sono più profeti / non ci sono più diamanti / io me ne vado”).

Con la successiva All Future il post punk hardcore duro degli Idles incontra il metalcore sempre con quello spirito digital che caratterizza l’intero album insieme ad un tripudio antagonista (“forse è una corsa verso il nulla, ma spero ancora di vincere/sono anti anti anti anti anti anti anti”). Masunaga Vapors inizia con suoni super taglienti di albiniana memoria ma prosegue sulla strada del digital hardcore più devastante così come la successiva A Life So Wonderful che de-omaggia la scena grunge anni Novanta.

Segue An Iteration, pezzo in cui dream, prog ed indie pop si scontrano, come dei Mew che si dessero al noise sperimentale, col frastuono che ne può derivare eppure sarà questo uno dei momenti meno complessi e di più agevole ascolto. La voce femminile di Big Shell si staglia prepotente e squillante su un muro sonoro prima che Average Death regali ulteriori novità al suono della formazione del Midwest, che stavolta pare voler devastare la materia shoegaze. Strepitosa Faith in Medication talmente densa che pare fagocitarci nonostante scelte discutibili al limite del sanguinamento dell’apparato uditivo e una voce urlante che rende difficoltosa la comprensione necessaria del testo (“c’è una parte di me che spero tu non veda mai […] c’è una parte di me che spero tu non debba mai arrivare a capire”).

Dopo Where Man Knows Want in cui sembra di vivere nel peggior incubo di Mike Patton (“giuro che ucciderei un uomo per un bel sogno”), si arriva a Real Folk Blues gemella ideale della succitata Faith in Medication che ne ripete lo stile tanto quanto la straordinarietà della sua esecuzione. La danzereccia Bad Selection allenta la tensione accumulata, accenna pensieri positivi a modo loro (“tutti sanno che sono grande […] un criminale da manuale”) ed anticipa lo sfarzoso ed epico finale liturgico e marziale in combutta col genio di Mark Lanegan (“ora scendi, sei stato detronizzato”) che chiude il cerchio concettuale di distruzione del “mito” iniziato dal primo brano e lo fa proprio attraverso un feat pesante come un macigno.

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The Armed mettono insieme un grande disco, triturando il pop alternativo in tutte, o quasi, le sue forme. Che si tratti di disco punk, di dream pop, di shoegaze, di indie pop, di grunge, la formazione di Detroit non si fa scrupoli a devastarne ogni possibilità di facile ascolto commerciale e popolare. I ritornelli, i riff e i ganci quando presenti soffocano schiacciati dal rumore, dalle artificiose ed elettroniche distorsioni, dalla compressione fin troppo marcata e pesante eppure l’apparente inascoltabilità diventa una sorta di ricercato sacrilegio che apre le porte dell’inferno solo a chi avrà il coraggio e la perseveranza di non arrendersi all’apparenza.

Una via di salvezza per chi ha voglia di fare a pezzi la musica, il mondo o sé stesso ma non ha mai avuto il coraggio di mostrare il proprio lato peggiore. “Una vasca di piscio/brillantezza artistica/masse olografiche/tensioni artificiali/non ci sono più profeti”. Parafrasando l’opening track, Ultrapop è uno sguardo sul mondo, sulla musica e sull’anima attraverso una lente deforme che crea visioni distorte. La demistificazione del tutto. La morte dei re. Nichilismo. Fine.

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Last modified: 22 Maggio 2021