Marco Vittoria Tag Archive

Think About It || Intervista al collettivo Hip Hop barese

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Think About It: un nome dietro cui si celano sei musicisti che nel 2013 hanno unito le forze con l’intento di creare un sound inedito per la scena musicale italiana, che sapesse miscelare la tradizione Hip Hop dei campionatori e dei dj e la musica suonata dal vivo passando per generi diversi quali il Rap, il Nu Jazz, l’ R’n’B e il Soul.

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Richard Bona & Mandekan Cubano @ Sant’Elpidio Jazz Festival | 17.07.2016

Written by Live Report

Richard Bona è uno dei più grandi bassisti viventi. Il suo curriculum parla da solo: polistrumentista, ha collaborato con artisti del calibro di Joe Zawinul, Michael e Randy Brecker, Mike Stern, George Benson, Branford Marsalis, Chaka Khan, Bobby McFerrin e Steve Gadd, ed è stato il direttore musicale dell’Harry Belafonte’s European Tour nel 1998 e percussionista e vocalista nel tour mondiale di Pat Metheny del 2002.
Tuttavia un talento così non nasce dal nulla. Le sue origini dicono che il nonno era un cantastorie che girava per i villaggi, un po’ come faceva Omero nell’antichità per narrare i suoi poemi e che la madre era una cantante. Al suo attivo anche diversi album solisti alle spalle, c’è chi lo chiama (giustamente) lo Sting africano (è nato infatti in Camerun) per le similitudini stilistiche ed armoniche con il fondatore e leader degli ormai disciolti Police.

E’ stato quindi un grande onore per il Sant’Elpidio Jazz Festival (manifestazione promossa dall’Amministrazione Comunale di Sant’Elpidio a Mare – Assessorato alla Cultura e Turismo in collaborazione con l’Associazione Syntonia Jazz) ospitare un suo concerto.
L’evento quest’anno prevede in cartellone nomi quali Cyrus Chestnut – Buster Williams – Lenny Withe, Rosario Giuliani – Luciano Biondini Quartet, Mirko Fait Quintet con special guests Roberto Piermartire e Antonio Zambrini, e Simona Molinari che chiuderà la rassegna il 7 agosto.
Per l’occasione il grande bassista è stato affiancato dall’ensemble Mandekan Cubano con cui ha proposto quindici brani dal suo esteso repertorio compreso l’intero Heritage, il suo ultimo album in studio.
Sul palco si presenta con un amplificatore Mark Bass ed un basso a cinque corde con un unico pickup attivo e piezo per simulare il suono di altri strumenti quali gli archi di un orchestra sinfonica. Si inizia con “Aka Lingala tè” che (curiosamente) apre anche il suddetto Heritage. Il pubblico osserva con scrupolosità ed interesse l’evolversi del brano che in realtà è una semplice introduzione vocale di appena un minuto. Il vero opening si può quindi considerare “Ekwa Mwato”, canzone tratta da Reverence, album datato 2001.
Bona non ha mai sovrastato il suo gruppo tranne quando, come in questo caso, ha proposto i suoi brani solisti. Un vero e proprio artista a 360 gradi, che ha catturato l’attenzione dei presenti nonostante il suo carattere un po’ schivo dall’inizio alla fine come pochi sanno fare con le sue doti canore eccellenti.

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Si prosegue quindi con “Bilongo” che risulta molto delicata e ritmata nell’esecuzione e con “Mute Sukudu” che anticipa il ritorno ad “Heritage” con in sequenza: “Jokoh Jokoh” (in cui a dire la verità sono più il piano e le percussioni a fa da padroni), “Cubaneando”, “Essèwè ya Monique”, “Santa Clara Con Montuno”, “Ngul Mekon”, “Muntula Moto”, “Eva”, “Kivu” e “Kwa Singa” rispettando fedelmente la tracklist del disco.
I ritmi africani si fondono progressivamente con le melodie cubane mescolando le anime musicali di due continenti, l’Africa e l’America, che sulla carta appaiono lontani ma che per più di un’ora sono stati vicinissimi se non addirittura confinanti abbattendo ogni distanza geografica.
Un tocco vellutato il suo, formidabile nei suoi duetti all’unisono tra basso e voce; praticamente unico al mondo.
Richard infatti suona il basso con tutte le dita della mano destra, veloce nell’esecuzione e con il groove nel sangue.
La conclusione è stata affidata a “O Sen Sen Sen”, scritto in coppia con Marc Berthoumieux e contenuto in Tiki, disco che conteneva collaborazioni con artisti quali Mike Stern e John Legend.

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Richard Bona è stato anche talmente umile da fermarsi alla fine con i propri fan per foto e autografi di rito vincendo anche quella timidezza che lo ha contraddistinto un po’ per tutto lo spettacolo. Un concerto davvero unico che ha saputo abbracciare vari stili e generi musicali; in oltre venti anni di carriera infatti Bona ha tratto ispirazione da Jaco Pastorius a Tito Puente per arrivare al Jazz Caraibico di oggi. Se lo conoscete già sapete cosa voglio intendere; se non lo avete mai sentito nominare correte a comprarvi per lo meno Bona Makes You Sweat – Live e Bonafied. Scoprirete nuovi universi sonori che solo un musicista eclettico quale è Richard Bona può affrontare con la sua genialità e il suo stile davvero unici.

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Tony Cercola | Il disco della rottura

Written by Interviste

Torna tra noi e con la sua scrittura il percussatore di Lumumba. Torna Tony Cercola con un disco di inediti (eccezion fatta per 4 vecchi successi rivisti in nuova forma, compresa ovviamente “Lumumba”).

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Duracel | Puro Punk made in Italy

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Duran Duran – Girls on Film 1979 Demo

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Molti si sono spesso chiesti come suonassero i Duran Duran prima di diventare famosi. La risposta era venuta già alcuni anni fa, quando i membri fondatori del gruppo Nick Rhodes e Stephen Duffy diedero alle stampe Dark Circles sotto il nome The Devils, in cui raccolsero molte delle idee disseminate nel primissimo periodo della band reincidendo dodici brani dell’epoca suonandoli con strumenti vintage.

Con Girls on Film 1979 Demo siamo invece di fronte alla trasposizione sonora da cassetta a vinile e cd del primissimo demo ufficiale della band inglese. Certamente sono presenti anche alcuni limiti nell’audio, ma c’è da dire che è stato fatto davvero un ottimo lavoro di masterizzazione, oltre che a livello di artwork. La formazione non vedeva né Duffy né Simon Le Bon alla voce, ma un giovanissimo Andy Wickett, che aveva lasciato da poco i Tv Eye, band di cui John Taylor e Nick Rhodes erano soliti seguire i rehearsals in studio. La fusione fra i due gruppi avvenne così in maniera naturale e  la line up a cui si era giunti era così composta: Andy Wickett (con il nickname Fane) alla voce e al piano, John Taylor alle chitarre, Roger Taylor alla batteria e Nick Rhodes alle tastiere.

Quattro i brani qui presenti.
“See me, Repeat me” è spesso indicata come una primordiale “Rio”, mentre in realtà la primissima incarnazione del pezzo fu “Stevie’s Radio Station” (che potete trovare in una sorta di greatest hits di Andy Wickett in vendita sul suo sito ufficiale); la canzone è caratterizzata dal drumming preciso e metronomico di Roger Taylor, che si esibisce anche in rullate ben assemblate che fungono da divisorio fra i vari riff. La voce di Andy Wickett ha uno stile prettamente Punk, quasi à la Johnny Rotten; peccato che (solo in questa occasione, sia chiaro) John Taylor e Nick Rhodes passino quasi in secondo ruolo.
In “Reincarnation……”qualcuno ha sentito anche reminiscenze di “Khanada”, b-side dell’hit “Careless Memories”, che dà anche il nome a uno dei più ricercati bootleg su vinile dei Duran Duran. Questa volta però anche le tastiere e le chitarre hanno un ruolo essenziale nella struttura. Viene da chiedersi come mai una piccola gemma come questa non trovò spazio nel disco omonimo di debutto della band. Sarà stata la voglia di rinnovamento? Di certo sarebbe stata all’altezza della situazione, ma questa è in fondo solo un’opinione personale.
“Girls on Film” è nella sua prima stesura con testi e musiche molto differenti da quelli che appena due anni dopo compariranno sul primo omonimo album della band. I ritmi sono molto più veloci e risentono maggiormente delle sonorità tipiche della Disco Music anni 70; i tecnicismi abbondano ed il talento dei ragazzi di Birmingham appare più evidente facendo capire che presto sarebbe diventata per forza di cose un singolo, che pur acquistando una pelle diversa, avrebbe entusiasmato le generazioni a venire tanto da venire spesso usata come bis nei concerti anche quasi quarant’anni dopo.
“Working The Steel” ha il duro compito di chiudere questo lavoro che pur essendo stato pubblicato nel 1979 solo come cassetta demo ha un grande valore per l’intera storia musicale britannica. Forse non si stava lavorando l’acciaio come suggerisce il titolo in fase di scrittura ma di certo si forgiava un sound che avrebbe influenzato tre decadi di musicisti.

Girls on Film 1979 Demo, nonostante siano passati quasi quarant’anni dall’inizio della storia dei Duran Duran, suona ancora fresco, grazie anche all’immenso lavoro di produzione di Bob Lamb (che nel 1979 stava lavorando in contemporanea a un’altra pietra miliare della musica inglese, il primo disco degli UB 40). Mai i Duran Duran mi sono sembrati così istintivi nella loro musica, tenendo fede a quell’attitudine Punk che tanto andava di moda ma guardando anche a modelli quali i Japan di David Sylvian che grazie ad album seminali quali Adolescent Sex e Obscure Alternatives erano già considerati fra i padri fondatori della New Wave britannica. I Duran Duran negli anni a venire getteranno invece le basi per il movimento New Romantics e Girls on film 1979 Demo non può che essere il punto di partenza da cui è nata una leggenda.

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Manuel Volpe & Rhabdomantic Orchestra – Albore

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Prova di eleganza e di gusto per il marchigiano Manuel Volpe. La sua mano da produttore e musicista si sente in questo nuovo disco dal titolo Albore pubblicato dalla Agogo Records. Interamente scritto, arrangiato e prodotto da Manuel Volpe, l’album si avvale di un eccellente team di produzione composto da Massimiliano Moccia (Movie Star Junkies), Andrea Scardovi (Sacri Cuori), Kelly Hibbert (Flying Lotus, Heliocentrics) e Volpe stesso con la preziosa supervisione dell’esperto di Afro/Jazz/Fusion Andrea Benini (Mop Mop). L’artwork è ad opera di Edoardo Vogrig. A tre anni circa da Gloom Lies Beside me as I Turn my Face Towards the Lights si ripropone sul mercato musicale con una delle più interessanti uscite del nuovo panorama discografico italiano di questo 2016, un lavoro che come pochi, nasce dalla provincia e visita regioni antiche ed altre lontane portandoci a spasso per i territori latini e quelli arabi, tra i popoli e i cori africani e i metalli preziosi delle grandi città. Un disco sostanzialmente di Lounge che coniuga pochissima elettronica ai suoni reali condotti per mano dalla sua inseparabile Rhapdomantic Orchestra. In questi dieci inediti in studio, Manuel Volpe culla e accompagna, in brani che rischiano la monotonia certamente ma che invece ogni volta sanno come sottolineare il proprio carattere e la propria personalità.

“Basrah”è una traccia molto seducente almeno quanto “Rhabdomancy” che però è più
“spirituale” affrontando temi quali il rapporto che l’artista ha con Dio. Il video di lancio, bellissimo, recita il concetto di viaggio ma soprattutto di divenire: il brano è “Nostril” ed il protagonista è un ragazzo di colore che osserva una Torino sconosciuta perché forse vi ci arriva per la prima volta. Oppure osserva la sua città in un modo che mai prima si era sognato di fare e quello che vede, in ogni caso, è una scoperta. Ed il disco di Manuel Volpe il fondo è così: una scoperta dietro il telaio di brani dolcissimi, scuri, intensi, riflessivi e assolutamente internazionali. Prova di stile contro gli inutili quanto ormai scontati tentativi di trasgressione digitali che si espandono a macchia d’olio in questa scena indipendente italiana.

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Detox – Landing

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Esce per l’etichetta bolognese Relief Records EU (la stessa che portò al successo il rapper Inoki) questo primo grande percorso personale del beatmaker e producer Detox. Un artista che non ha bisogno di presentazioni avendo alle spalle oltre quindici anni di carriera con collaborazioni importanti quali quelle con Dj Gruff, Clementino, Angela Baraldi, Roy Paci e Videomind e una militanza nei Blatters (campioni italiani Dmc 2010, Dmc 2011 e Ida 2011). Una collana di pubblicazioni, quella della Relief, che cerca di sviluppare discorsi musicali paralleli e alternativi per voce di artisti con cui collabora o ha collaborato. Questo Landing è un breve Ep, digitale come il suo dna, in cui Diego Faggiani (in arte Detox) si mette a nudo in cinque composizioni a spasso tra Dubstep, modi Afro e ossature elettroniche metropolitane. Interamente realizzato presso il Menounolab vede alcune collaborazioni di spicco che cercano anche di deviare il flusso di tutto come per esempio la bellissima voce di carattere Soul di Alo per il brano “Mr. Hugee” o come un inaspettato suono di violoncello (anche se elettrico) grazie alla partecipazione di Bruno Briscik. Ed inoltre Alex Trebo, i producer Fuso, Q3000, Maxime e Navak (tutti protagonisti della prima traccia “Just Feel”). Un disco visionario, dalla pelle istrionica che spesso cambia faccia ma che di sottofondo mantiene sempre una stessa identità pur dividendosi fra suoni analogici, campionamenti e groove. Come a dire che se nella prima traccia “Just Feel” siamo in una periferia newyorkese, in chiusura con “Road” siamo finiti a trasformare un Reggae giamaicano in una suite Lounge con trombe quasi fosse una Fusion digitale, il tutto passando attraverso drumming africani come nella splendida “Go On” e facendo un salto in notti fumose di luce di led nel futurismo sociale di una famosa città europea.

Il carattere di Detox va ascoltato e lasciato concimare perché quello a cui siamo di fronte non è un disco immediato, non sono suite strumentali banali e superficialmente campionate. Questo Landing è un’opera elettronica che trasuda spontaneità: alcune cose sembrano rubate al caso di un’ispirazione, altre studiate a tavolino. Altre invece raccolte da anni di collaborazioni e di live. Di sicuro non va relegato ad un primo quanto superficiale approccio, come a tener vivo un sottofondo per i nostri aperitivi. In arrivo anche il video ufficiale; per ora ci godiamo questo live-set che è anche trailer di tutta la produzione di Landing.

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Duran Radio | Intervista allo staff della radio web dedicata ai Duran Duran

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Lennon Kelly | Intervista alla Folk band romagnola conquistata dall’Irlanda

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Cosimo Morleo – Ultreya

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Non so se sia mai nato un nuovo David Sylvian in Italia (a parte forse Andrea Chimenti), ma se così fosse indicherei come primo nome il cantautore torinese Cosimo Morleo. Dopo essersi dedicato a lungo alla musica antica e barocca e alla regia teatrale arriva nel 2012  l’attesissimo esordio Geni Dominanti (Controrecords/ NewModelLabel) prodotto da Enrico Fornatto (Alberto Fortis) e che ha visto la collaborazione di Exir Gennari (Tribà, Fratelli di Soledad), Gianfranco Nasso (Mambassa) e Andrea Rosatelli (Simone Cristicchi, Chiara Civello). Oggi torna con Ultreya, disco anticipato dal singolo “Fonteyn (Madame)”, in cui l’artista piemontese affronta il delicato tema del bullismo omofobico. Cosimo Morleo si era già schierato in passato al fianco del movimento Glbt con “Turing”, brano contenuto in Geni Dominanti, ma pur essendo passati alcuni anni la società italiana appare ancora troppo “chiusa” nei confronti degli omosessuali ed ecco quindi che la musica può giocare un ruolo fondamentale a livello di comunicazione per lanciare un messaggio di uguaglianza che si auspica arrivi presto. Ultreya però affronta anche altri temi delicati quali gli amori clandestini con “Kavafis”, che è ovviamente ispirata dal famoso poeta greco (nato e morto però ad Alessandria d’Egitto). Credetemi quando vi dico che qui la raffinatezza è di casa , già dalle prime note della canzone. Tuttavia Morleo raggiunge l’apice sicuramente in “Mr Thoreau”, questa volta dedicata al celebre filosofo statunitense che visse a fine ottocento. Riferimenti quindi anche ai grandi testi letterari, per un prodotto destinato a un pubblico colto che di certo non segue i talent show. Riferimenti anche ai fatti di cronaca e al film documentario “Io Sto Con la Sposa” in “La Sposa”. Un Pop elegante e mai banale, un po’ retrò, un po’ tipicamente anni ottanta ma anche proiettato al futuro. Che siano queste le nuove direzioni da intraprendere? C’è anche una cover fa le nove tracce contenute nel disco, “Per Una Bambola”, brano scritto da Maurizio Manzi, interpretato da Patty Pravo e portato a Sanremo nel 1984. Trent’anni circa quindi separano la versione originale da quella proposta da Cosimo Morleo. Di differenze se ne notano tante, di affinità altrettante, ma anche il fan più incallito della “ragazza del Piper” non rimarrà deluso. “Retròromantico” è pura poesia sonorizzata; un basso alla Mick Karn e chitarre alla Alberto Radius coesistono nello stesso universo intrecciandosi con il violino di Sergio Caputo. Se Mango fosse ancora vivo sarebbe stato invece l’interprete perfetto per il brano “Un film di Godard”. Sarebbe stato interessante se il più grande cantautore lucano di sempre avesse potuto ascoltare il pezzo e magari duettare con Morleo. “Desiderantes” è l’ultimo brano in italiano, uno sguardo verso il cosmo e le stelle, con l’amore come tema ricorrente. Chiude il disco “Leave The Boy Alone”, composta per il film di Giovanni Coda in uscita nel 2016 “Bullied to Death”, scritto a quattro mani con Maddalena Bianchi, che affronta il tema del bullismo. Curiosamente “Ultreya” è un’antica parola usata dai pellegrini durante il cammino di Santiago in epoca medioevale che significa “Vai oltre, sempre più avanti”. Ecco, questo è l’invito che rivolgiamo a Cosimo Morleo. La strada intrapresa è quella giusta. Sarà importante non smarrire la retta via, perché oggi come oggi molti non guardano più al nostro patrimonio artistico e cercano ispirazione altrove. Morleo invece non ha avuto paura di confrontarsi persino con un mito vivente come Patty Pravo e ciò lascia solo ben sperare per il suo futuro.

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Intervista a Zapha

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Francesco Gabbani – Eternamente Ora

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Lo ammetto: ho ascoltato in primis il cd Eternamente Ora di Francesco Gabbani con un po’ di pregiudizio in quanto prodotto uscito dal Festival di Sanremo, manifestazione a cui ammetto di non aver dato mai troppo peso. Personalmente non ho mai seguito più di tanto gli artisti che vi partecipano ma ho voluto provare ad ascoltare il giovane cantautore di Carrara spinto anche dalle polemiche susseguite alla sua sfida con Miele e al suo consecutivo ripescaggio che lo ha portato in seguito anche a trionfare nella categoria “Nuove Proposte” e ad ottenere il premio della critica “Mia Martini” e il premio “Sergio Bardotti” come miglior testo del Festival.  Tuttavia dopo aver riascoltato il disco diverse volte devo ammettere che il ragazzo ha delle qualità che speriamo possa mettere in risalto anche in futuro. Variegato negli stili, Francesco Gabbani fa uso esagerato dell’elettronica in bilico continuo fra gli anni Ottanta e la Dance anni duemila. Mi verrebbe quasi facile accostarlo ai prodotti più recenti dei New Order, ma tra il gruppo inglese e il giovane toscano ci sono ancora molte distanze da colmare. Ci sono infatti pezzi quali la title track che forse è più vicina al songwriting di Max Pezzali e dei suoi 883 e ciò non può giovare all’economia del disco. Nulla contro Pezzali, sia chiaro, ma forse sarebbe stato più logico rispettare un filo logico piuttosto che attingere da fonti differenti e cercare di personalizzare il tutto. Canzoni come “Amen” e “Software” sono certamente molto radiofoniche e conquistano facilmente il podio di migliori fra le otto presenti in scaletta scatenando un meritato ex aequo. Da segnalare una produzione pressoché perfetta ad opera di Patrizio “Pat” Simonini che mixa e masterizza il tutto al Kaneepa Studio di Milano. Lo stesso dà il suo grande supporto contribuendo anche in fase di composizione musicale su tre quarti dei brani presenti e in qualità di coautore del testo de “La Strada” insieme allo stesso Gabbani  e a Fabio Ilacqua, che invece firma e cofirma tutte le liriche tranne in “Il Vento s’Alzerà”.

Gradevoli anche l’artwork generale a cura del graphic designer Sirio Fusani e le foto di Daniele Barraco che immergono Francesco Gabbani in un contesto naturalistico. Eternamente Ora mi ha insegnato che non sempre (forse) si può fare di tutta l’erba un fascio. Intanto lo inserisco nel mio lettore cd per l’ennesima volta, cercando di cogliere anche quelle piccole sfumature che mi sono sfuggite nel precedente ascolto.

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