Hiroshima Mon Amour Tag Archive

Ritornano gli Shandon all’Hiroshima Mon Amour di Torino

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The Tallest Man on Earth

Written by Live Report

Sono passati quattro anni da quando Kristian Mattson passò dalla nostra Torino per un concerto che lo vedeva sul palco da solo, ad occupare uno spazio piccolo e pieno di gente (quello di Spazio 211), con le corde della sua acustica e quella voce un po’ nebulosa ma così affilata da rimanere per sempre conficcata nel tuo sterno. Oggi invece il Tallest Man on Earth sale sul palco di Hiroshima, con un biglietto che costa più di 20 euro e una band alle spalle. Diciamo che si capisce che qualcosa sia cambiato già prima che inizi a suonare. Ci sono cose che per fortuna non cambiano: la prima è la sala strapiena (e qui di persone ce ne stanno più di mille!), la seconda sono le sue incredibili canzoni. Dove chitarra e corde vocali si fondono in un amalgama unico, caldo e freddo, forte e piano. Cosa manca? Manca quella veracità e la spontaneità nel suono delle canzoni di Kristian, che vengono spesso snaturate da una band ineccepibile a livello sonoro ma che poco segue gli spazi e le tensioni del cantautore.
L’inizio di “Wind and Walls” è quasi spiazzante con la band al completo, ma la ruota inizia a girare meglio dal secondo brano “1904”, dove però è sempre Tallest Man a governare l’orchestra con il suo fingerpicking indemoniato. Il passaggio da solista a band porta il ragazzone svedese ad un diverso approccio verso il pubblico, più spavaldo, meno curioso e si presenta pure con un bel bicipite da palestrato. Più Rock Star insomma. E questo poco si addice alla poesia delle sue canzoni che dalle stelle, in cui meritano di stare, finiscono catapultate per strada. Dove non hanno la corazza adatta per sopravvivere. Lo show è più energico e meno etereo e perde la sua vera forza spirituale. Finisce per assomigliarne a tanti altri.
La situazione si solleva con i pezzi del nuovo disco (Dark Bird is Home, uscito nel Maggio 2015) e allora “Slow Dance” e “Fields of Our Home” trovano il loro perché anche con basso, steel guitar e batteria. Poi c’è il polistrumentista Mike Noyce, biondo e fragilino, che tra violino e chitarra elettrica è quello che pare meglio destreggiarsi tra le atmosfere folkeggianti. Bastano pochi pezzi e la band si rintana, il palco è tutto di Kristian che sfoggia un trittico che fa capire quanti pezzi incredibili abbia già scritto in soli quattro album. “Love Is All”, “I Won’t Be Found” e “The Gardener” lasciano la platea ammutolita, anche per il parco chitarre che sfoggia in solo venti minuti di concerto. I fantasmi di Dylan e Nick Drake aleggiano di nuovo nell’aria e la scioltezza del ragazzo denota maturità ma anche un po’ troppa spavalderia. Quando rientra la band per il singolo “Sagres” sembra quasi ringalluzzita e dimostra come l’ultima produzione calzi a pennello con questi arrangiamenti più Pop e più corali. Kristen chiede silenzio quando sale al piano per interpretare “Little Nowhere Town”, il suo stile è inconfondibile anche quando suona (quasi non curante) un altro strumento. Il talento non si discute e il concerto è musicalmente perfetto. Ma la band dietro è quasi tappezzeria, non osa mai nulla di fuori dal risultato tiepido e sicuro, lasciando i riflettori al solo e unico protagonista. Così “Seventeen”, una particolarmente gioiosa “King of Spain” e la finale “Dark Bird is Home” (duettata con l’ospite della serata The Tarantula WaltZ) chiudono un concerto insipido e che purtroppo non regala le emozioni attese, ma solo tanta forma.
C’è tempo ancora per due brani. In “The Dreamer” sembra che i sogni siano banalizzati e non mettano in luce lo straordinario potere di immaginazione che abbiamo alla nostra portata, mentre “Like a Weel”, eseguita anche questa solo chitarra e voce, vede i quattro della band in un angolino ad aspettare che il re della serata strappi gli applausi. Certi concerti non dovrebbero essere snaturati così. La bellezza della musica di Tallest Man on Earth stasera si è un po’ persa e la sua musica è diventata un contorno, lasciando la magia per quattro riflettori in più e una platea più grande.

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The Tallest Man On Earth ospite di Hiroshima Mon Amour

Written by Eventi

Blonde Redhead 10/03/2015

Written by Live Report

Blonde Redhead @ Hiroshima Mon Amour, Torino, 10/03/2015

La prima data del tour, quella di Torino, è stata senza ombra di dubbio una attesissima, fin da quando i Blonde Redhead hanno annunciato le tappe per il nuovo tour di Barràgan , dove la città della Mole compariva appunto in pole position. Parlavamo di Barragàn dunque, album essenziale e minimalista, che ha molto diviso la critica. Per questo il live si fa ancora più interessante, un evento da non perdere, e così è stato. Dopo un brevissimo momento di incertezza iniziale (un attacco di batteria non perfettamente riuscito), i gemelli Pace e Kazu Makino si guardano per qualche istante e recuperano l’intesa: da quel momento in poi la perfezione. Non parlo tanto di perfezione nell’esecuzione, ed in ogni caso non starò a puntualizzare su qualche incertezza nella voce di Kazu. Parlo più che altro di perfezione a livello emotivo. L’atmosfera onirica che viene a crearsi catapulta chi ascolta nella parte in cui risiedono i desideri più intensi, aiutando a mettere da parte le paure e le tensioni che ci fanno credere che non possano mai realizzarsi. Perfino l’amore può diventare reale sulle note di “The One I Love” . Ad aiutare l’ingresso in questa atmosfera da sogno ci pensa anche la scenografia minimalista: nessuna installazione, solo un’atmosfera fumosa per tutta la durata del concerto accompagnata da luci soffuse. La prima parte del concerto è dedicata a Barragàn, per dare spazio poi all’esecuzione di altri cavalli di battaglia, accolti dagli applausi di un pubblico per la maggior parte del tempo molto composto, che raramente si lascia scappare qualche urlo di consenso. Il concerto è finito, volto disteso, si torna a casa dopo aver conquistato la tanto agognata serenità, almeno per una notte.

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C’mon Tigre all’Hiroshima Mon Amour di Torino

Written by Senza categoria

Si sente spesso dire che a Torino manca solo il mare. Bene. I nostalgici delle propria terra natìa (tendenzialmente a sud ) e tutti coloro che desiderano ardentemente un assaggio di estate non avranno di che lamentarsi, perché ad aprile il Mar Mediterraneo si trasferirà per una notte nella città della Mole. A portarcelo saranno i C’mon Tigre. Reduci dall’esordio del 2014 con l’omonimo album che mescola Funk, Jazz, World Music, Rock ed Afrobeat (tutto in chiave totalmente sperimentale), il duo si esibirà all’Hiroshima Mon Amour il 9 aprile a partire dalle 22.00. Aspettatevi un clima torrido e non spaventatevi al suono del loro ruggito. Le tigri vi divoreranno l’anima ma nessuno si farà male.

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Blonde Redhead all’Hiroshima mon Amour di Torino

Written by Senza categoria

Direttamente da NYC, i Blonde Redhead aprono all’Hiroshima Mon Amour il loro tour italiano. Si sono formati nel 1993 come quartetto ma, dopo due anni, sono diventati l’indivisibile trio che tutti conoscono. Kazu Makino e i gemelli Amedeo e Simone Pace, sono stati capaci di spaziare fra molti generi: da dream pop a noise rock, da post grunge a nu-gaze. Ciò li rende di difficile catalogazione ma il loro sound è diventato inconfondibile. Barragán è la loro ultima creazione, datata 2014 (Kobalt Music), caratterizzata da un nuovo percorso sonico. D’altronde, la reputazione della band è stata costruita sulla continua evoluzione delle proprie dinamiche sonore, e in questo senso Barragán non delude. È il cd più spoglio, essenziale e minimalista che il trio abbia mai fatto. L’appuntamento è per domani,10 marzo 2015 alle 22.00. Aprono il concerto i Platonick Dive, band Experimental Rock di Livorno. A seguire l’imperdibile live dei Blonde Redhead.

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(Ex) CSI all’Hiroshima Mon Amour

Written by Senza categoria

“Sembra impossibile ritrovarsi, nell’Italia di oggi dove tutto induce a perdersi, a rinchiudersi in storie private – che possono anche essere languorose e di soddisfazione – ma sempre e soltanto personali. E sempre più difficile è pronunciare una parola facile: “Noi”. Ritrovarsi dopo una quindicina d’anni, in un concerto assieme. Ci sono ottime motivazioni forti, per farlo. Senza nostalgie di passato e di futuro, senza progetto costituito, senza smanie, ci siamo perchè è bello esserci, e giusto.” Sono passati vent’anni dall’uscita del primo disco dei CSI, Ko De Mondo, e alcuni dei protagonisti di quella storia si ritrovano, oggi, sullo stesso palco.
Sono lì con una nuova formazione, certo – con la grande voce e presenza di Angela Baraldi e Simone Filippi alla batteria – ma soprattutto perchè hanno ritrovato la voglia di stare insieme e accettato la responsabilità di portare avanti una storia importante come quella di CSI. Con un obiettivo: da un lato andare a ritrovare il pubblico che in qualche modo si sente orfano delle canzoni di CSI; dall’altro accogliere un pubblico nuovo, quello che non ha potuto incontrare quelle canzoni nel corso degli anni ’90, ma che ha potuto conoscerle soltanto successivamente su CD. E con la motivazione forte di chi sa che oggi più che mai “spegnere il video, uscire di casa, muoversi, vivere, sognare, ritrovarsi, guardarsi, esserci, noi, voi, è l’antidoto migliore.”

Giovedì 22 Gennaio @ Hiroshima Mon Amour, Torino

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Nobraino 19/12/2014

Written by Live Report

Nobraino– 19 dicembre 2014 @ Hiroshima Mon Amour, Torino

Me lo ricordo bene il mio primo concerto dei Nobraino. È stato all’incirca due anni fa, sempre all’Hiroshima Mon Amour (in realtà mi trovavo lì per ascoltare Giorgio Canali & Rossofuoco): che spettacolo che fu! Che animali da palcoscenico e che frontman fantastico Lorenzo Kruger, capace di sostenere un concerto di quasi tre ore (non scherzo, tre ore!), con una carica tremenda, senza mai scendere un attimo di tono. Tornai a casa felice. Stessa location, diversa compagnia, pubblico aumentato notevolmente (com’è giusto che sia), e ben diverso lo spettacolo a cui ho assistito lo scorso 19 dicembre: quel frontman dalla voce d’abisso che tempo addietro mi aveva lasciato senza parole è apparso sottotono e “scazzato” (concedetemi il termine, rende benissimo l’idea) fin da subito. La band, impeccabile nell’esecuzione come sempre, quasi priva però di quella “verve” che tempo addietro mi aveva entusiasmata. Certo, i momenti di delirio non sono mancati: il salto sul pubblico, l’ormai famosissima performance del taglio di capelli a qualche volontario (a quanto pare è diventato un rituale dopo che Kruger l’ha eseguito su sé stesso al concerto del 1° Maggio nel 2012), il tour di Kruger sotto il palco; il tutto però è apparso assolutamente privo di naturalezza, quasi come dettato da un copione al quale non crede più nessuno. E se lo stesso artista non è convinto della sua performance, come può esserlo il pubblico? Tuttavia a fine concerto tutti sembravano abbastanza divertiti, ma almeno tre soggetti (io e chi era con me) hanno avuto la percezione che sono gli stessi Nobraino a non divertirsi più per ciò che fanno; inoltre gli stessi soggetti sopra citati hanno anche sperato che si trattasse di un caso isolato, di un evento paranormale, di una semplice giornata di merda per chi era su quel palco, perché pensare che possa essere ormai “quello” un concerto dei Nobraino, beh, metteva troppa tristezza.

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Fast Animals and Slow Kids 15/11/2014

Written by Live Report

Al solo pronunciare la parola “Alaska”, la mia immaginazione produce visioni che hanno a che fare con paesaggi glaciali ed ameni, terre brulle e vette alte, freddo, ghiaccio, ma anche silenzio e luoghi di quiete. L’Alaska dei Fast Animals and Slow Kids, nella sua versione live, è invece tutta un’altra storia. Sarà anche ghiaccio quello che esce dalle loro chitarre, ma è ghiaccio che scotta, e ben lo confermano i cuori incendiati che se la sono data di santa ragione sotto il palco scatenando il delirio. Merito di chitarre, batteria, percussioni aggiuntive, basso, e del frontman Aimone Romizi, instancabile campione di salto sul pubblico.

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Sono state due ore di mani e piedi in aria, di individui volanti, capitati sul palco per caso ed arrivati chissà da dove, improvvisatori di salto sul pubblico anche loro, mentre i FASK continuavano la loro performance, aggiungendo casino al casino e suonando, oltre ad  Alaska, alcuni pezzi tratti da  Hybris (“A Cosa ci Serve”, “Maria Antonietta”, “Troia”) e Cavalli (“Copernico”).

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A chiusura di tutto, sono queste le serate che danno risposta agli enormi quesiti che ci attanagliano nel corso della nostra esistenza. E la risposta è che non esiste una risposta. Le cose accadono e basta, il perché sono tutte cazzate. Le cose accadono e ci siamo noi, piccoli o grandi a seconda dei giorni, a doverle affrontare. A volte ne usciamo campioni, a volte ne usciamo presi a calci in culo. Tutto sta nel come affrontare tutto. E se dovesse capitarti l’assurda domanda: “qual è il senso di tutto”, stai tranquillo che non esiste un senso. Esistono però momenti, o giorni (a seconda della botta di culo che ti capita), in cui qualcosa dentro di te si muove, qualcosa ai limiti della rabbia e a confine con la gioia. Che sia odio o che sia amore chi se ne frega. Se qualcosa si muove vuol dire che sei vivo, e finché sei vivo sei sempre in tempo a cambiare musica. Nessuna esistenza è sprecata se hai ascoltato la musica giusta.

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Swans 9/10/2014

Written by Live Report

Era di certo uno degli eventi musicali più attesi il mini-tour degli Swans di Michael Gira e lo dimostra il sold-out al circolo degli artisti di Roma. A Torino il concerto si è tenuto al’Hiroshima Mon Amour, il 9 ottobre. Alle dieci e mezza, puntuale, comincia lo show. Gli Swans si palesano in tutta la loro grandezza con due ore e mezza di concerto interrotto solo da brevissime pause. Due ore e mezza di inquietudine e violenza emotiva, di fronte alle quali non tutti riescono a resistere; c’è chi sente la necessità di assumere dosi massicce di caffeina, chi si lascia tentare dall’annuncio di Michael Gira circa l’imminente fine del concerto e lascia prematuramente il campo di battaglia, senza sapere che il live sarebbe durato ancora una buona mezz’ora. Anche Cristiano Godano (o il suo sosia n.1, nel caso avessi preso un abbaglio) ad un certo punto si dissolve varcando l’uscita prima della fine.

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Un concerto che ha messo a dura prova in molti, tranne loro, gli Swans, che dopo più di due ore di ritmi serrati si sono schierati davanti al pubblico con una nonchalance degna di nota; hanno ringraziato, senza mostrare cenni di stanchezza o cedimento, con addosso addirittura la voglia di scherzare, quando Gira per la presentazione della band conferisce ad ognuno un nome italiano, di un musicista o del tutto anonimo, riservando per sé stesso quello di Cicciolina.

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Ma tralasciamo gli aspetti di contorno, e concentriamoci sulla musica di questi “Cigni” selvatici, più neri che bianchi, dai toni scuri e oscuri, autori di una musica ricca di tormento, capace di rimanere ferma, immobile, costante, ossessiva per un lungo periodo, per poi esplodere all’improvviso (si pensi che solo l’introduzione del concerto dura più di dieci minuti, prima che la band al completo si manifesti sul palco). E quando parlo di esplosioni, parlo di momenti in cui tutto si accentua e diventa estremo (penso soprattutto al ritmo incalzante della doppia batteria), pur mantenendo un inspiegabile equilibrio tra le parti. I momenti di deflagrazione sono anche quelli in cui Gira accenna una sorta di danza, con movimenti delle braccia che ricordano proprio quelli di un cigno.

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Un’esibizione che richiede una certa dose di preparazione psicologica e concentrazione per l’ascolto (gli occhi di Michael Gira ne sono l’emblema, restano chiusi per la maggior parte del tempo), alla quale in molti non erano preparati. Un concerto, però, non è certo un corso di preparazione all’ascolto; un concerto è il momento più vero e reale per addentrarsi nel mondo di un artista, per capire quanto sia autentico e vicino nella realtà all’idea che trasmette di sé, nonché la prova del nove per le nostre sensazioni ed emozioni che si evidenziano durante l’ascolto digitale. E dopo questo spettacolo non c’è più niente da fare, se non affermare che gli Swans sono stati sé stessi, dall’inizio alla fine.

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Anna Calvi 21/02/2014

Written by Live Report

Il venerdì notte è la mia notte. È un momento carico di una strana euforia, di una stanchezza che ubriaca, di un’energia potenziale che dilata il tempo e gli conferisce un aspetto simile all’eternità. È venerdì notte, e tutto può accadere. Vi starete chiedendo se siete stati catapultati improvvisamente alla Sagra delle Banalità, dato che questo pensiero accomuna buona parte della popolazione planetaria ed è già stato ampiamente espresso, anche in maniera più eccelsa, da altri prima di me (un certo Robert Smith ad esempio, nei suoi momenti di rara esaltazione, cantava “Friday I’m in Love”). Ma cosa che volete che vi dica? A me basta così poco per essere felice stasera, un bicchiere di vino con un panino, ed un concerto di Anna Calvi. L’Hiroshima Mon Amour è stranamente calmo e poco affollato all’esterno; il pubblico è già tutto all’interno, tranquillo, in attesa, C’è ancora il tempo per tutto: una birretta al bancone, due chiacchiere per riassumere le sfighe della settimana appena trascorsa e due chiacchiere per anticipare quelle della settimana che verrà, commenti di varia natura su questi bicchieri di birra che hanno drasticamente ridotto la loro capacità pur avendo lasciato inalterato il prezzo, discorsi vari ed eventuali. Poi si guarda l’ora, ed è meglio avvicinarsi al palco, perché tra un po’ le danze avranno inizio, e così succede. Anna Calvi arriva e sembra uscita da una foto, una di quelle che compaiono quando si digita il suo nome su Google: stessi capelli color miele, stessa acconciatura, stesso rossetto (rosso), stesso colore (rosso) per la maglia, stesso look per farla breve. Dal vivo sembra  piccola, una Lolita pura nelle espressioni ma accattivante se le metti una chitarra in mano. Invece ha trentatré anni. Penso che ho ancora tre anni di tempo fare qualcosa di buono nella vita.

Il pubblico accorso all’evento è un pubblico sensibile e colto; lo si capisce dal fatto che davvero in pochi, pochissimi, hanno il coraggio di sfoderare gli Smartphone per improvvisarsi fotografi delle migliori riviste di musica. Tra i non colti vince il primo premio colei che, presa da un raptus feroce di intelligenza, mi chiede: “Ma si può fumave qui dentvo?” (Ha pure la “r” moscia, cosa volete da me?). L’animale che mi porto dentro avrebbe voluto rispondere “Cogliona. Sono  anni che in Italia non si fuma nei locali, e poi, ti sembra che qualcuno stia fumando qui dentro? Non ti accorgi che quella nebbiolina che vedi in controluce sul palco altro non è che un effetto scenico ormai in uso (e in disuso) da diverso tempo?”. Tuttavia mi volto lentamente con uno sguardo che chi era con me ha definito da madre incazzata, misuro l’ampiezza cerebrale della mia interlocutrice, e decido di limitare al minimo il mio consumo di energie rispondendo: “Non credo proprio…”. “Peccato” mi dice. È inutile, non ha proprio speranza. Ritornando al pubblico, trovo che sia anche molto eterogeneo: giovani, meno giovani, adolescenti, rockettari incalliti ed attempati con segni di calvizie in stato avanzato, uomini serrati in maglioncini Tommy Hilfiger con tanto di camicia abbottonata fino all’ultimo bottone, madri di famiglia forse in cerca delle figlie scappate di casa per l’ennesima volta, hipsteromani che invece non cerca nessuno; di tutto di più insomma.

Una volta sul palco Anna mette subito le cose in chiaro: in questo concerto si darà spazio nient’altro che alla musica. Pronuncia poche, pochissime parole, rigorosamente in inglese (anche se da una che si chiama Anna Calvi almeno un grazie in italiano ce lo aspettavamo),  rigorosamente sussurrate al microfono, in netta contrapposizione con la potenza che la sua voce può raggiungere. A fine concerto sussurra qualcosa che quasi nessuno riesce a capire. Potrebbe aver detto Thank you so much, ma anche Fuck you so much, è un aggrottarsi di sopracciglia generale. Facci capire, Anna,  facci capire se dietro tutta questa ricercatezza nascondi un innato spirito Punk, facci capire se ci hai mandati tutti a fanculo con la dolcezza della tua voce melliflua, facci capire che peso dare alla serata; non abbiamo paura degli stravolgimenti, non abbiamo pregiudizi, ci piace voltare le carte in tavola e cambiare strada all’improvviso. Ma lei continua a pronunciare parole sottovoce, e noi continuiamo a non capire. L’intera esibizione è come un giro sulle montagne russe. Anna ci porta in alto, con la voce, con il suono, è un’esplosione di chitarre e vocalizzi (forse ce ne sono anche troppi). Poi un attimo dopo siamo in basso, in profondità, siamo acqua stagna che cerca un varco per entrare in luoghi segreti. Ci prende in giro Anna, a metà serata, tra alti e bassi. Accelera, arriva in alto, poi frena di botto, rasenta il silenzio. Crediamo sia finita lì, parte un applauso fuori luogo mentre lei riprende ad accelerare, sale di nuovo veloce e poi riscende in picchiata, e noi ci ricaschiamo una, due, tre volte. Penso che siamo un pubblico di merda; non sappiamo nemmeno quando applaudire. Poi però penso anche che non siamo a teatro, ma in uno di quei posti dove si suda, e che certe formalità le abbiamo volutamente lasciate chiuse a chiave nelle nostre case.

Siamo a tre quarti di concerto e tocchiamo l’apice quando Anna si perde in un assolo da capogiro. È là, sul palco, ci sono solo lei ed il suono, ha i fari puntati addosso ed il collo teso verso l’alto, mentre le dita inseguono corde ad una velocità inaudita. È in estasi. Mi guardo intorno. Mi chiedo cosa pensano gli uomini quando vedono certe donne impugnare la chitarra in quel modo. Sei o sette rockettari stempiati di cui sopra la osservano a bocca aperta, con lo sguardo inebetito e la faccia persa nel vuoto, ed inutilmente cercano di stare dietro a quelle dita accennando movimenti con la testa. Io invece penso che sia cazzuta, ed il fatto che non ha bisogno di dimostrarlo con gesti e parole eclatanti, con cavalcate faraoniche del palco e movimenti eccessivi mi piace parecchio. Siamo fin troppo pieni di fronzoli in questo mondo, un po’ di sostanza non può che farci bene. Dopo il teatrino uscita-applauso-uscita si levano le ancore e si torna a casa, con un bella scorta di Bellezza per i giorni futuri, che sono sempre un punto interrogativo troppo grande, ma non è il momento di pensarci ora, non me ne frega niente in questo momento. Sono le 3.30 di un venerdì notte qualsiasi, è vero, ma è quella la parola magica, Venerdì, è quella che conta. Sorriso in bocca ed occhi che cedono al sonno. It’s Friday I’m in Love.

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I Black Rebel Motorcycle Club in Italia!

Written by Senza categoria

Ritorno in Italia, dopo il grande successo del 2010, per una delle band più autorevoli della scena rock americana degli anni 2000. Con il concerto milanese di questa sera ai Magazzini Generali di Milano, il trio californiano si presenta al pubblico nostrano in occasione del tour di lancio della loro ultimissima fatica discografica, Specter at the feast. Domani, 19 marzo, saranno invece all’Hiroshima Mon Amour di Torino. Per entrambi i live è prevista l’esibizione d’apertura dei Transfer,pluripremiata alternative rock band americana che nel 2011 si è aggiudicata diversi riconoscimenti sia di critica che di pubblico grazie all’album di debutto Future Selves.
Inizio concerti previsto per le 22. Biglietti ancora disponibili sul circuito TicketOne.

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