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Blonderr – Corporate Standards

Written by Recensioni

Dopo l’EP con cui hanno esordito lo scorso anno, la consonante in più al termine del proprio nome non è l’unica cosa che i Blonderr hanno aggiunto al progetto. Ci avevano lasciati con cinque tracce frutto di un esperimento estemporaneo per loro stessa ammissione, che stuzzicavano palati Garage e Shoegaze senza riuscire però a compattarsi per dar forma a un lavoro che suonasse omogeneo. Tergiversando per evitare una dichiarazione di intenti a cui probabilmente all’epoca non erano pronti, con Radio la band sceglieva di debuttare con qualcosa che somigliava più ad un saggio dei propri gusti personali che a un vero e proprio biglietto da visita.
Se tra le prescrizioni di allora avevamo indicato anche la necessità di levigare, all’ascolto di Corporate Standards bisogna ammettere che la scelta di farlo fino a un certo punto è stata quella vincente perchè, nel voler rintracciare la peculiarità dei Blonderr, questa è senza dubbio la possenza, non la precisione nella mira. Per il resto, a chieder loro di che pasta sono fatti, li abbiamo ritrovati con la risposta pronta.

Otto tracce dal minutaggio ridotto, compresse di Garage Rock della migliore razza, l’evoluzione più auspicabile per questo trio laziale che delle propensioni italiche non sa che farsene e si tuffa di testa nella psichedelia di tradizione californiana, ma che pure segue una certa tendenza nostrana alle fughe sonore oltreoceano (Sonic Jesus, Flying Vaginas).
Il Punk Rock è declinato in ogni sfumatura senza perdere il pregio dell’omogeneità del prodotto finale, recuperando l’intuizione migliore tra quelle manifestate un anno fa: emblematico dello iato che intercorre tra Radio e Corporate Standards è “More Drugs Blue Sky”, saggio di ruvido Post Punk dal ritmo incalzante che apriva l’EP e che ritroviamo qui rimodellato nei volumi e nei dosaggi, testimonianza consapevole del notevole salto di qualità (vale la pena ascoltare in sequenza la versione originaria e l’evoluzione successiva).
“Out of the Way”, piacevolmente sul confine tra Shoegaze e Noise Hard Rock, fa sfoggio di chitarre aggressive ma capaci di ordire trame fitte e avvolgenti, con la voce riverberata di Lorenzo Vermiglio a far da sfondo per poi insinuarsi tra le distorsioni.
Il ritmo si fa più sostenuto in “Electronics”, a base di percussioni nette e implacabili che impongono il mood à la Thee Oh Sees, pochi efficaci elementi tenuti insieme da una nuvola di ronzio Noise, la stessa che pervade tutti gli episodi migliori, come “Jet Set”, che sembra fuggita dalle corde di Ty Segall.
Bentornati.

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