Ieri e oggi, Bart forever – Intervista a Bartolini

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Futura 1993 ha parlato con Giuseppe del suo nuovo album e di tanto altro.

(di Antonio Verlino)

Fino a un paio di anni fa non avevo mai vissuto in città. Quando mi sono trasferito a Bologna non è stato facilissimo come me mi aspettavo: volevo conoscere la città, ma i primi mesi uscivo poco, causa anche qualche attacco di panico che pensavo di saper gestire. Ora la conosco, ma come si fa a dimenticare la provincia? Per questo mi rivedo in Giuseppe: un ragazzo con la metropoli in testa e la provincia nel cuore. L’ultimo album, Bart Forever, guarda con sommersa tenerezza ai tempi in cui Giuseppe non era ancora Bartolini. Prima dell’anno a Manchester, prima ancora di Roma e dell’università.

Un’adolescenza, quella di Bartolini, che non sembra avere una data di scadenza. Nei testi si scorgono i dubbi che poi, tra i banchi di scuola, diventano convinzioni: non ho mai tradito nessuno, non ho mai capito chi sono, non ho mai detto un vero ti amo. Ci dicono che sono le classiche cose che ci raccontiamo, ma queste, come tutte le cose importanti, ritornano quando si cambia. Si cresce.

Quando sei un artista e noti che la gente è felice quando ti viene a sentire, sorgono le prime domande da sindrome dell’impostore. È sintomatico. A Bartolini è bastato guardarsi di nuovo indietro per ricordarsi chi era e chi voleva essere per sempre: sé stesso. Anche nei momenti peggiori.

Bart Forever è un universo fitto e intimo, fatto di immagini a volte nitide, a volte più sfocate. È il diario su cui non scrivevi nemmeno i compiti, ma che, per qualche motivo, hai voluto tenere. Poco importa: tutte le cose che Bartolini non ha scritto in passato, le ha scritte ora.
Anche meglio, perché sotto ci suona la chitarra.

Ciao Bart, come è andata al Primavera Sound? Che artisti hai ascoltato?

Ciao a tutti, è stato il mio primo Primavera Sound e a distanza di qualche settimana devo ancora riprendermi dall’esperienza. È andata molto bene, è un ricordo che porterò sempre nel cuore ed è stato davvero stimolante, non vedo l’ora di ritornarci l’anno prossimo. Ho ascoltato tantissimi artisti: partendo da Joey Badass, Charli XCX, 100 GECS, Tame Impala e Pavement il primo giorno, passando poi per i Fontaines D.C., che avevo perso a Milano causa Covid, Earl Sweatshirt, di cui ho avuto la fortuna di assistere al concerto accanto a King Krule (era letteralmente a fianco a noi tra la gente), e un po’ del live dei The National per quanto riguarda il secondo giorno.

Il terzo giorno ho ascoltato King Krule ed ho finalmente visto per la prima volta i DIIV, il mio gruppo preferito da sempre, ed anche Tyler, The Creator che è stato un dio. Abbiamo chiuso in bellezza al Razzmatazz con Yung Lean e la Drain Gang, abbiamo fatto sei ore di fila solo per loro, forse il motivo che ci ha convinti a prendere effettivamente i biglietti del festival.

La foto in copertina e il titolo del disco scritto in giallo mi hanno fatto inevitabilmente pensare a Bart Simpson. C’è qualche collegamento con il tuo disco o è solo un gioco visivo?

In realtà non c’è nessun collegamento diretto con Bart Simpson se non per il “Bart” e il giallo. Con Davide Rossi Doria – che ha curato la parte visiva del progetto – abbiamo scelto di utilizzare questo vecchio scatto, una foto intima scattata da mio zio a Roma molti anni prima di trasferirmi. Non mi sento così cambiato rispetto a quel bambino quando penso a fare musica, era la chiusura di un cerchio e si sposava perfettamente con il concetto di Forever.

In 108 dici di non aver mai detto un vero ti amo, quindi ora ti metto alle strette: qual è per te la discriminante tra amare o provare semplice affetto per una persona?

So che quella frase può far male, in realtà volevo solo dire che nonostante tutte le esperienze personali ancora non mi sento pronto, maturo e credo di non aver trovato la persona giusta per me. Quando sento che sarei disposto a prendermi anche una pallottola in petto per chi amo, allora lì capisco la differenza tra affetto e amore: è una sensazione che provo ed ho provato per poche persone.

Il featuring con European Vampire mi ha incuriosito molto per la differenza di suono che c’è fra i vostri progetti. Mi parli un po’ di come nasce Settimane?

Settimane nasce da una sessione notturna a Roma nello studio di Mark Ceiling. Era da tempo che volevamo collaborare essendo amici ed avendo tanta stima reciproca. Abbiamo praticamente scritto il testo e registrato tutto in una notte a fine febbraio, molti degli elementi della prima versione del pezzo sono rimasti anche nella versione definitiva. Sono molto contento di questa canzone e di aver collaborato con European Vampire, veniamo infatti da due mondi apparentemente diversi ed è stato molto bello e stimolante.

Fulmini è decisamente uno dei miei pezzi preferiti dell’album, quindi ho due domande: l’intro è ispirata ad Agony di Yung Lean?

Ti ringrazio molto, per me questo pezzo è importantissimo e rappresenta una sorta di rinascita proprio perché è stato scritto in uno dei momenti più bui di quest’anno. È una canzone che parla appunto di protezione, di affetto, di amore. Agony è uno dei miei pezzi preferiti ed è uno di quei pezzi che avrei voluto scrivere io, quindi non so se inconsciamente ci sia un riferimento. L’influenza di Lean è sempre presente nella mia vita, è uno dei miei artisti preferiti in assoluto e penso che sia un genio del nostro tempo, un’icona della nostra generazione.

In un verso scrivi: “senza la tua voce non riesco a stare calmo”. Cos’è quella cosa che ti aiuta a ritrovare l’equilibrio quando lo perdi?

Ritrovo il mio equilibrio quando penso ai miei affetti, alla mia famiglia ed alle persone con cui ogni giorno condivido questo viaggio. È un po’ questo anche il tema principale della canzone che ho scritto in un momento veramente pesante, durante il quale a causa di un problema di salute non ho potuto camminare per più di un mese e sono tornato a casa dei miei, dove l’unica cosa che ero in grado di fare era suonare il pianoforte e scrivere Fulmini.

Il ritornello di Luci mi ricorda esattamente quello che la testa mi diceva quando mi innamoravo nei corridoi al liceo. Com’era Bartolini ai tempi della scuola?

Se devo essere sincero non sono cambiato più di tanto dai tempi della scuola, l’unica differenza è che appunto al liceo volevo fare musica ma non sapevo come, ora invece è il mio lavoro ed è tutto così strano. Sono rimasto lo stesso ragazzino timido e impacciato, chiuso nella sua stanza, in cui ho passato la maggior parte del mio tempo tra videogiochi e film e a costruirmi un mondo alternativo alla realtà di provincia. Tutto questo ha caratterizzato il disco e il mio intero percorso.

E invece oggi chi è Bart? E perché nel titolo è accompagnato dal Forever?

Non mi sento troppo diverso dal bambino raffigurato in copertina: il concetto di “Forever” è che questo bambino non muore e non morirà mai. Oppure semplicemente perché mi ricorda il titolo di un film Blockbuster anni ’90. In ogni caso, “Forever” è quasi un messaggio rivolto a me stesso: in un momento in cui ho toccato il fondo nella mia carriera e volevo smettere, Bart Forever rappresenta un monito che mi ripeto a prescindere dalla carriera, dalle playlist, da tutto. È un concetto che ribadisco in primis alla mia persona, perché è “Bart Forever” indipendentemente dal resto. Rispetto a quel ragazzino oggi ho più consapevolezza e la paura è diventata un punto di forza, so ciò voglio dalla musica che faccio ed inizio a capire più cose di me stesso.

Se avessi il potere di far diventare una tua canzone un tormentone estivo, quale sceglieresti?

In questo momento direi Forever, anche se sicuramente finirei per odiarla.

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Last modified: 12 Luglio 2022