In attesa di tornare a pieno regime nel prossimo autunno, il nostro format social arriva eccezionalmente in forma scritta con tre dischi tutti da scoprire (o riscoprire).
Chi ci segue su Instagram nei scorsi mesi nei numerosi reel che pubblichiamo avrà visto comparire anche Hidden Jam. Una marmellata segreta? Una jam session lontana dai riflettori? O una gemma da riscoprire o scoprire? Quel che è certo è che l’ingrediente di Hidden Jam è darvi quella giusta curiosità per andare a cercare sul vostro servizio di streaming preferito l’artista e buttarci un ascolto e magari pure apprezzarlo.
Di solito si pesca dai miei acquisti fisici passati e presenti e allora mi sono detto, dato che la mia collezione di vinili non è infinita, perché non trasformare Hidden Jam in un editoriale periodico oltre che un reel? È estate, il tempo libero inizia a farsi ampiamente sentire e per chi lavora le ferie sono sempre più vicine: il periodo giusto per salvarsi cose nuove in playlist.
L’obiettivo è rendere Hidden Jam una rubrica mensile, ma, visto che l’estate è l’estate, un po’ come Sanremo è Sanremo, debuttiamo con Hidden Jam: Summer Edition e da settembre ripartiamo. Ecco quindi tre dischi per voi.
1. Se siete alla ricerca di motivazioni extra durante il vostro workout estivo con 38 gradi…
Verse – Aggression
[2008 | Rivalry, Bridge Nine | hardcore punk, melodic hardcore]
Si parla tanto di rinascimento dell’hardcore punk grazie al lavoro incessante nel mainstream dei Turnstile, ma, se mai aveste voglia di andare a riscoprire la golden age dell’hardcore punk contemporaneo, sicuramente dovreste concentrarvi sulla decade dal 2000 al 2010 inaugurata e propiziata da band come Bane e American Nightmare (Give Up the Ghost). In quel periodo c’era un proliferare di gruppi che hanno riportato la giusta attenzione sulla parola “hardcore” liberandosi dai codici standard del NYHC o dall’eccessiva metallizzazione del genere. Modern Life Is War, Have Heart, Killing the Dream, Ruiner, Life Long Tragedy, la lista è lunga e oggi vi buttiamo qui una band del Rhode Island: i Verse.
Ho rimesso su Aggression mentre sulla mia cyclette stavo macinando quasi 20 km. Per caso ho rivisto la copertina e mi sono detto: riascoltiamolo. E, oh boy, appena parte l’arpeggio di The New Fury torno ventenne. La gambata c’è e oramai punto ai 30km deciso a finire l’ascolto integrale dell’album.
In mezz’ora qui dentro trovate del distillato d’energia che si espande dentro melodie impeccabili e ogni singola progressione, riff, break o power chord è una dinamite liberatoria. C’è la velocità spietata di Old Guards, New Method, ci sono le iconiche Suffering to Live, Scared of Love e Unlearn, c’è quella innata capacità di rallentare e concentrarsi su uno storytelling urlato come nel trittico a capitoli Story of a Free Man.
Ecco, sulla parola storytelling voglio soffermarmi perché il cantante Sean Murphy (oggi Quinn Murphy) è il valore aggiunto: usa uno yelling nitido, espressivo, che racconta, racconta, avvicinandosi a una versione hardcore di Jordan Dreyer dei La Dispute. E uno che diciassette anni fa urlava “propaganda mixed with power, brought on one-sided violence” l’ha vista lunga.
Io intanto sono sudato come non mai, la bici segna 30 km, Sons and Daughters è arrivata prima del previsto e il propellente offerto da Aggression mi ha mandato in cortocircuito di adrenalina.
2. Se siete alla ricerca di spiritualità di fronte all’ennesimo tramonto di mare o montagna…
Vauruvã – Mar da Deriva
[2025 | autoprodotto | atmospheric black metal, post-black metal]
Che terra, che terra il Brasile per l’heavy metal. Ero un ragazzino quando mi innamoravo dell’assolo di Mass Hypnosis tratteggiato da Andreas Kisser e dai Sepultura. Così come ero uno sbarbatello quando mettevo nello stereo a tutto volume il CD di Anarkophobia dei Ratos de Porão.
Nel 2025 le strade con la terra brasiliana si incrociano nuovamente e lo fanno con un lavoro che possiede tra le migliori costruzioni atmosferiche in ambito progressive black metal di cui ho recente memoria. E sì, includo anche il celebratissimo Lonely People With Power dei Deafheaven.
Il terzo disco del duo Caio Lemos, che compone con tutti gli strumenti, e del cantante Bruno Augusto Ribeiro è a tutti gli effetti il diamante iper nascosto di questo 2025. Tre brani per quasi trentasei minuti di musica: schiacciando play, sappiamo già che siamo dalla parte giusta della storia.
Un mare che cambia e muta forma aprendosi rigoglioso a conturbanti intrecci etnici e synth, con l’uso di strumenti e cantilene della tradizione brasiliana, mentre le corde della chitarra si lanciano in un abisso tecnico di assoli progressivi, senza che nulla venga mai appesantito, senza sfarzosi orpelli, anzi, con quel bel sentore lo-fi che dona spontaneità e irruenza alle più forti mareggiate black metal.
Os Caçadores è tribale e spirituale, ti si apre davanti in un’immensità paragonabile solo a quella del Dottor Manhattan in Watchmen che fissa in solitaria l’umanità e le stelle. E, prima che tu possa riprenderti dallo stato di trance, compaiono i quindici minuti della conclusiva As Selvas Vermelhas no Planeta dos Eminentes, che è la versione dei Vauruvã di un kolossal blockbuster che ha un’epicità magica, con le radici folk e cosmiche che trascendono in una natura immaginaria e selvaggia, chiudendosi in un vortice impetuoso, prima che le onde tornino a placarsi, per fare regnare una quiete che vi permetterà di assaporare ciò i vostri occhi vedono. Un Mar da Deriva.
3. Se siete proprio quelli che dicono “no, non ce la faccio più, quando torna settembre?”.
September – Erasmia Pulcella
[1995 | Tree, Simba, Numero Group | post-hardcore, emocore]
Come chiudere la rubrica augurandovi un ritorno a settembre, se non con i September? Vi confesso che uno dei miei hobby preferiti in questo 2025 è andare a ripassare i primi anni ’90, quando mi innamorai della sabbia polverosa e dei cactus di San Diego con i Drive Like Jehu e provare a capire se mi ero perso qualche band per strada.
D’altronde si sono riformati anche i Clikatat Ikatowi e io spero sempre in un ritorno degli Indian Summer, quindi, quando ho scovato Erasmia Pulcella, è stato amore al primo ascolto. E di questo dobbiamo ringraziare il lavoro certosino che la Numero Group sta facendo per sistemare e rendere accessibili queste perle sotterrate nell’undeground americano di quegli anni.
Questi ragazzi hanno suonato due show e sono stati in vita per otto mesi e in realtà non siamo a San Diego ma a San Jose, Bay Area, per un disco registrato nell’aprile del 1995 nel salotto del 4812 di Alexandria Lane. Un disco che ha dentro tutto ciò che poi verrà usato dallo screamo.
I nove minuti e quarantuno secondi di Cyrus the White Rabbit sono pura classe emo e post-hardcore. E vi preparano a quello che non esito a definire un capolavoro della scena.
Badate bene: i Nostri non sono così spigolosi e schizofrenici, anzi, sono cauti e metodici nel giostrarsi tra i silenzi, i vuoti e i pieni distorti di quelle chitarre che amano forzare un brusco gain. Con quegli arpeggi sempre in tensione, allarmanti, che scelgono di esasperarsi, come di disperdersi delicati.
Dei registri speculari che giocano con una voce mai fuori luogo, che lascia respirare la parte strumentale, per poi muoversi tra sussurri, clean malinconici e un primordiale urlato graffiante, sbilenco, come in Scattered Blue Light, che nella sua deflagrazione esasperata ci conferma di che pasta siano fatti i nostri. Per intenderci: gli ultimi tre minuti del pezzo sono, per chi scrive, una mazzata che ti disintegra morale e umore. Più autunnali di così…
E, se la title track colpisce per l’impatto diretto, sono le divagazioni quasi slowcore di Area of a Triangle a intrappolarci, mentre i cinque minuti finali disperati di Creekside Train ci riportano dentro quei suoni così viscerali, così umani, così analogici e così totalizzanti che trasformano queste falene (Erasmia pulcella è una falena diurna del sud-est asiatico) in una creatura iridescente che deve stare per forza nella vostra collezione. Soprattutto quando all’orizzonte vedete delle nubi tempestose.
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Last modified: 14 Luglio 2025




