Recensioni #08.2017 – Benjamin Clementine / Iron & Wine / Metz / Kaufman / Torres

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Benjamin Clementine – I Tell A Fly
[ 2017 | Behind / Universal Music | Avant-garde, Art Rock, Progressive Pop ]

(di Lorenzo Cetrangolo)

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Si dice che il secondo album sia difficile, ma per Benjamin Clementine, evidentemente, non valgono le regole ma solo le eccezioni. Sì, forse eccezionale è la parola giusta per descrivere questo I Tell a Fly, più che degno seguito di quel At Least for Now che nel 2015 gli valse il Mercury Prize. Le canzoni sono fantasiose e surreali: ci raccontano la storia di due mosche che vanno allo scoperta del mondo e sembra quasi di assistere ad un musical allucinato, uno spettacolo di vaudeville in cui appaiono spettri e bulli (“Phantom of Aleppoville”), cori marinareschi – ma i marinai sono attori e ballano cantando (“By the Ports of Europe”), alieni in visita in America (“Jupiter”) e giungle tanguere (“God Save the Jungle”). Il pianoforte segue, camaleontico, una voce incredibile, spessa e funambolica, e pure nell’ azzeramento di ogni confine di genere mi sembra – paradossalmente – che questo disco sia più accessibile del primo: più strumenti, più rotondità, più ritmo. Rimane sempre il caos – brillante e bellissimo – di un ermetismo istrionico e sopra le righe che non è alla portata di tutti. Con un po’ di coraggio, però, I Tell a Fly può essere un’esperienza indimenticabile.
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Iron & Wine – Beast Epic
[ 2017 | Sub Pop | Folk ]

(di Simona Ventrella)

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Seam Bean torna a distanza di qualche anno con un nuovo lavoro  malinconico e maturo, come non mai nella sua produzione artistica. Best Epic è un disco minimale ed estremamente curato, ma al tempo stesso caldo e avvolgente, che racconta con estrema dolcezza e un tocco di romanticismo il trascorrere del tempo, la crescita  e le gioie e i dolori della maturità. Le melodie sono soffici e raccolte e con la voce di Bean, sempre rassicurante e familiare, ci si culla amabilmente alla perfezione. Le chitarre acustiche sono la base essenziale di tutti i brani che di volte in volta si arricchiscono di tocchi di piano e di leggeri archi. Il risultato è un suono intimo di estrema delicatezza. Un disco da amare con le luci soffuse della notte, che non stravolge e infrange alcuna regola, ma che regala una visione centrata e raccolta dell’essenza della vita.
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Metz – Strange Peace
[ 2017 | Sub Pop | Post-hardcore, Noise Rock ]

(di Gianluca Marian)

metz-strange-peaceArrivati al traguardo del terzo disco, i Metz hanno raggiunto una comprovata maturità artistica, degna evoluzione del precedente lavoro  II. L’ulteriore inasprimento chitarristico e la costante e migliorata sezione ritmica – grazie alla cristallina produzione di uno Steve Albini che non perde mai lo smalto – mostrano un disco compatto con delle punte di assoluto valore Noise/Post-hardcore; degni eredi di Jesus Lizard e Big Black. Tra citazioni dei Nirvana più sperimentali di In Utero, ambientazioni ansiogene alla Sonic Youth e sferzate Garage dei compagni Wavves, il disco scivola via fino alla conclusiva “Raw Materials”, il pezzo più riuscito del disco. Possiamo considerare Strange Peace tra i migliori dischi Post-hardcore/Noise degli ultimi cinque anni e tra le migliori uscite di questo 2017.
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Kaufman – Belmondo
[ 2017 | INRI | Indie Pop ] (di Silvio “Don” Pizzica)

d23eba9c-e6e8-4daf-b363-585c1d2a9e89Se fosse sufficiente infarcire il proprio lavoro di citazioni e riferimenti, questo nuovo album dei Kaufman potrebbe essere tranquillamente un capolavoro della musica italiana moderna. Perché a queste inezie sembrano stare molto attenti i quattro, a partire dal nome, chiaro riferimento al comico anti-humor statunitense Andy Kaufman appunto, reso celebre in Italia (siamo fatti così…) dal brano “Man on The Moon” dei R.E.M. e dal film del 1999 dallo stesso titolo interpretato da Jim Carrey. E poi Belmondo, titolo dell’album chiaro riferimento al Jean Paul icona della Nouvelle Vague e un singolo chiamato “Robert Smith” (non ve la devo spiegare) ma nei testi ne troverete tante altre. Insomma, l’album dei Kaufman ci prova in tutti i modi a farvi entrare ma il problema è che dentro, tra le crepe della musica, non c’è molto di più di un Pop banalissimo con testi che ammiccano ad un universo giovanile moderno in maniera fin troppo sfacciata ma talmente superficiale che i più svegli potrebbero sentirsi presi in giro. Oltre questo, mettiamoci pure che una cosa bella del Pop (che vuole essere commerciale) è il suo essere subito attraente, avere melodie immediate, suoni semplici, ritornelli coinvolgenti. Qui manca anche quello. No grazie, non è di questo che abbiamo bisogno in Italia, mi hanno già tormentato i Thegiornalisti.
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Torres – Three Futures
[ 2017 | 4AD | Art Rock, Dark Wave ]

(di Maria Pia Diodati)

torres-three-futuresSotto l’egida di 4AD Mackenzie Scott chiude definitivamente col Folk degli esordi e si tuffa nella viscosa materia sonora elettrificata che costituisce il suo nuovo album, il terzo nell’arco di quattro anni: prolifica sì, ma senza attardarsi sui tracciati già percorsi. A dispetto dell’età anagrafica, quella di Torres è una maturità artistica tale da renderla già riconoscibile, anche tra matasse di synth in quantità finora inedite per il suo Alt Rock: l’ipnotica linea della title-track ammorbidisce i ronzii sintetici che turbano il suo timbro vocale e creano atmosfere dense, in “Bad Baby Pie” una drum machine capricciosa imprime l’impeto giusto alle liriche del refrain in un gioco di androgina sensualità. Come Sprinter, anche questo è un ‘album di formazione’. La crescita personale della Scott procede di pari passo con quella artistica: la donna di Three Futures è più indulgente verso se stessa e i propri umani desideri e ha imparato a non lasciarsi andare all’autocommiserazione della misguided woman di “The Harshest Light”. La presa di coscienza è serena, ma netta e improrogabile, declinata nel conflitto tra la melodie rarefatte e la spigolosità di stampo Krautrock (“Marble Focus”), nella volontà di saturare ogni crepa con un impasto sonoro che è un lenitivo (“Skim”), nell’imprevedibilità del drumming urgente che governa “Helen in the Woods”. Una novella PJ Harvey dall’espressività così prorompente che un futuro solo non le basterà.
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Last modified: 20 Febbraio 2019