Recensioni #07.2018 – Suuns / Red Lines / Wemen / Afar Combo / Mèsico

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Suuns – Felt
[ 2018 | Secretly Canadian | Avant Rock, Neo Psych, IDM ]

(di Maria Pia Diodati)

Suuns_ FeltAncora un succosissimo frutto di quell’attitudine tutta canadese a muoversi elegantemente tra i rumorismi più ossessivi, la stessa che genera l’Art Punk di Preoccupations e Metz, che però nel caso dei Suuns si traduce da sempre in vera e propria devozione all’elettronica e al potere ipnotico della ripetitività, un sound occulto e sintetico dove anche le chitarre distorte finiscono per farsi pattern ritmici. Quello della band di Montréal è un progetto che non perde mai di vista il Krautrock seminale ma che, album dopo album, perfeziona la ricetta e osa sempre un po’ di più. Felt è il quarto, e deflagra con nuovi inserti sin da “Look No Further”, opener dalle consuete tinte fosche su un’inedita materia Dub, inaugurando un trip tonificante attraverso le possibilità del Goth Rock di questo millennio. Rispetto alla predilezione dei lavori passati per tempi più meditativi, qui molti brani acquistano la frenesia dell’IDM, futuristica e intarsiata di ottoni Jazz (“X-ALT”) o estrema negazione di qualsivoglia linea melodica (“Daydream”, l’apocalittica nebulosa di suono che è “Moonbeams”). Anche nei momenti in cui conservano parvenze melodiche, tutto è giocato sull’effetto lisergico di perturbazioni sintetiche (“Baseline”) e di intrusioni, destabilizzanti anche quando cadenzate come i fiati “Make It Real”. Affascinante.
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Red Lines – Paisley
[ 2018 | autoprodotto | Elettro Pop, Dream Pop ]

(di Silvio “Don” Pizzica)

paisley-the-red-lines-cover-ts1519576745Esordio sulla lunga distanza per il giovanissimo duo Marianna Pluda e Simone Apostoli; otto canzoni scritte nella capitale britannica e che da questa hanno subito una profonda influenza nel suono che miscela la Neo Psychedelia al Dream Pop. Un suono che sa ammaliare e rapire come nella lunga coda di “Rubber Spaceship” ma anche farsi più scanzonato con quella sorta di reminiscenza Italo Disco in salsa Beach House in “Say It”. Meno gradevoli le parti classicamente Pop (“Tomorrow”) mentre è quando Marianna scandaglia le potenzialità di quello stile, tanto caro agli amanti delle sigarette dopo una scopata, che i Red Lines si fanno più interessanti. I punti più alti sono  raggiunti con due brani leggermente atipici: “Control III” e soprattutto “2 Am Surf”, quando sembra di ascoltare un folle cocktail Dance Pop di The B-52’s sulle ritmiche Minimal Synth Punk dei Suicide. Un gran bel lavoro, tutto italiano ma che d’italiano, nel senso brutto del termine, ha davvero ben poco.
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Wemen – Everything You Kill Is Beautiful
[ 2018 | La Valigetta | Garage Rock, “Post Pop” ]

(di Maria Pia Diodati)

27332080_1734688323237721_4814186927618214738_nLa formazione di Carlo Pastore è al secondo album, dopo il debut Albanian Paisley Underground uscito via Black Candy Records nel 2014 e un EP per la californiana Wiener Records. Un sophomore – non per usare inglesismi a tutti i costi, è che con le scelte stilistiche dei Wemen ci stanno un gran bene – che prosegue sulla strada della loro personale rivisitazione del Garage, una sorta di Surf Rock mediorientale, che detta così sembra un’antinomia, e che per questo già ci piace. In cabina di regia, Fabrizio Martina aka Jolly Mare, uno che alla commistione è avvezzo, e quindi spazio alle melodie stuzzicate dagli effetti e dalle incursione esotiche, come il cumbus di Mordecai in “Walk Fast” o il beating di ispirazione Etno in “Good To Be Alive” impreziosito della voce di Lucia Manca. Irresistibilmente funky è “Houla”, rivisitazione Afrobeat di un brano dei semisconosciuti Puzzle direttamente dai gloriosi ’70, tra i molti episodi sapientemente Pop di un disco che sa essere retromaniaco quanto basta.
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Afar Combo – Majid
[ 2018 | Music Force / Toks Records | Jazz, World Music ]

(di Silvio “Don” Pizzica)

268x0wIl quartetto italiano prende il continente africano come punto di partenza e d’ispirazione per la propria musica e, dopo l’esordio omonimo, arriva al secondo album puntando meno sul Jazz classico e lasciandosi travolgere dalla World Music, dal Blues maliano e dal Rock europeo cercando di ricreare una musica chiaramente ispirata ma senza confini ben delineati. L’obiettivo è raggiunto a metà, perché il Jazz è ancor troppo preponderante e la conclamata voglia di superarne l’estetica per proporre un suono più moderno e contaminato non sempre si traduce in brani che colpiscano nel segno. Un disco gradevole per gli amanti del genere, che ricorda vagamente le contaminazioni di Kip Hanrahan ma che poco aggiunge in termini di qualità e innovazione.
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Mèsico – Pure and Shining
[ 2017 | Interbang Records | Folk, Songwriting ]

(di Silvio “Don” Pizzica)

22195947_1739454113029562_7787561424501529585_nPaolo Mazzacani, metà del duo Elettronic Ambient dei Tempelhof, sceglie il moniker Mèsico per mostrarsi in una veste più intima e personale, attraverso canzoni scritte col piglio cantautorale del Folk di lingua inglese. Secondo album per lui, tra ballate acustiche, intromissioni mai invadenti dell’amata Elettronica, passaggi strumentali e parole in cui Mazzacani mette a nudo tutto quello che gira intorno al cuore, tanto struggente quanto energico e raccontandoci senza paure diversi attimi della sua vita. Pure and Shining è un disco fantastico per ogni amante del songwriting atipico, per chi ancora riesce a empatizzare senza limitarsi a un ascolto distratto, straordinario nella composizione. Con qualche accorgimento in più nelle scelte melodiche, sui suoni, nelle strumentali e sulla parte vocale, saremmo stati davanti a qualcosa di più che semplicemente e umanamente affascinante.
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Last modified: 18 Febbraio 2019