Farboro – Post

Written by Recensioni

Dal midwest al sud, un rumoroso inno ad una terra malinconica.
[ 05.10.2020 | autoprodotto | experimental rock ]

Non so se voi crediate a queste cose, ma io sono convinto che debba esserci qualcosa di magico che unisce certi posti, certi luoghi, certe città alla sua musica; non parlo tanto dei contesti sociali che finiscono per influenzarla ma proprio dell’immagine, delle file di palazzi, dei parchi, delle fontane, che, in qualche modo, sembrano avere un’influenza sui suoni.

Champaign è una grande cittadina del Nord America, vicina a Chicago e Indiana, anonima per certi versi, di quelle che raramente vi sarà capitato di incontrare guardando un film o un documentario. Certo, parlando di U.S.A., il concetto di cittadina ha tutto un altro senso rispetto a quello che avrebbe in Italia, ma credo che sia chiaro il concetto: Champaign non è New York, Los Angeles, Seattle o San Francisco eppure sembra avere qualcosa di speciale, qualcosa che deve fare bene all’ispirazione dei suoi musicisti.

American Football, gli Hum tornati alla grandissima ed ora Farboro sono solo alcuni dei nomi legati indissolubilmente alla città, ma questo legame stupirà meno se proviamo a pensare a dove si trovi Champaign. Perché il Midwest americano, col suo clima freddo, la non troppo lontana posizione dal cuore pulsante della nazione, i grandi laghi da un lato e le montagne rocciose dall’altro, ha finito per influenzare e generare un intero stile musicale, denominato appunto Midwest emo, cioè quell’emo anni Novanta di derivazione hardcore ma più propenso a indie e math rock.

Champaign è solo una delle anonime città perfette per focalizzare tutti gli elementi dell’intero Midwest che sono stati incanalati in questo genere emotivo e introverso. Farboro, oltretutto parte del collettivo No Agreements uscito con un album quest’anno e di cui spero di potervi parlare, è nato a Champaign eppure si trova a Rosswell, in Georgia, quindi fuori dal Midwest. Ed è qui che subentra la magia di cui abbiamo parlato e che sembra aver permeato l’anima dell’artista già dalla sua nascita.

Il suo album, Post, è una lunga canzone, una sola canzone di quasi ventotto minuti in cui riesce in maniera sublime a passare da digressioni chiassose e monotone post rock ad una sorta di ansiogena sperimentazione sonica: dal post punk più interiore ai campionamenti della lo-fi folktronic, dallo shoegaze e slowcore ad una rigogliosa e sognante vaporwave.

Abbiamo detto tanto, non tutto, e di certo non abbiamo nominato il Midwest emo. Perché, dopo la lunga premessa, dobbiamo ora chiarire che, stilisticamente, il legame tra Farboro e il Midwest emo non è poi cosi marcato. Ciò che lega invece l’anima di chi ha messo in piedi un disco come questo alle terre in cui è nato è la magia, una magia che si traduce in una passionalità incredibile, sonorità agrodolci, introspettive e crudeli in maniera malinconica, una sorta di poesia in musica che balla tra irreale e vitale. La stessa magia che finiamo per incontrare in American Football, Hum e tutta la scena anni Novanta di questa terra che solo nella musica di fine millennio è riuscita a raccontare davvero sé stessa.

Una terra senza una vera identità, almeno rispetto ad altre zone degli Stati Uniti; in cui metropoli e campagna si affiancano e confondono, una terra bianca ma d’immigrazione, una terra che ancora ha bisogno di capirsi prima che di raccontarsi. E Farboro, nato in Midwest ma del sud Atlantico, sembra avere il legittimo distacco permeato della giusta magia per raccontare con la musica la sua terra d’origine. La musica è stupida, scrive Farboro, ma la stupidità a volte è indispensabile.

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Last modified: 3 Dicembre 2020