Dillon – This silence kills

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Acuta, per aver capito le doti insondabili della rete dove lei stessa si è fatta conoscere con dei suoi video cliccatissimi, fortunata per aver incontrato il talent scout Dj Koze che sentendola, ha voluto puntare carte importanti sulla sua arte e sulla sua musica. Dominique Dillon de Byington, in arte Dillon esordisce per la Bpitch Control – dopo svariate esperienze – con questo disco “liquido”, “This silence kills”, una favola minimale, un sabba etereo dove elettronica, pop dilatato, Bjork, Robyn, Dresden Dolls, un freddo esistenziale e una melanconia che si taglia col coltello, giocano in tutte le posizioni possibili per tenere alto e vivo l’interesse necessario lungo la sua durata d’ascolto, riuscendoci in pieno.

L’artista berlinese chiarisce, con un timbro vocale bellissimo e fuori degli schemi, che è possibile guardare ben oltre i capostipiti del genere, paragonarsi senza timori reverenziali con chi “col gelo” ha fatto fortuna e fama mondiale, e con queste premesse si capisce che sì a che fare con un carattere forte nascosto dietro un’esistenzialità appannata come un vetro d’inverno; un bel disco che rimane a galla come una medusa senza peso, tra i suoni ovattati digitali ed il pop intimo, sotto l’elettronica poco colorata e sopra le bolle d’aria  di canzoni lontane, minimalistiche, un suono totale di un mondo che non abita il nostro, ma possiede tutta la liricità e il cuore palpitante della “solitudine bambina” che la Dillon si porta dietro da sempre.

Prodotto da Tamer Fahri Ozogonenc del Collettivo post Kraut MIT e da Thies Mynther (Phantom/Ghost), il disco è una dedica esplicita alla lattiginosità della malinconia, a quegli splendori offuscati che si ribaltano e delineano oltre certi paralleli onirici, nordici e a tu per tu con la ricerca di un qualcosa che scaldi, a volte ci riesce come nella teatrale operetta che si muove in “Tip tapping”, nelle pieghe di un pianoforte “Thirteen thirtyfive” o nella dinoccolata sensazione che vive in “Hey beau”, ma successivamente il climax ritorna sotto zero e pare nascondersi a fondo nelle sembianze del bel “Debut” di Bjork, specie se si scende ad esplorare le coralità breeze di “You are my winter”, gli intrecci vocali  appesi a tastiere celestiali “Gumache”, per finire in baldoria campionata sulle orme schizoidi delle CocorosieAbrupt clarity”.

La 23enne Dillon, comunque stupisce a tutti gli effetti, lassù dal suo mondo personalissimo e “below zero” trasforma ghiaccioli in stelline di tutto rispetto, e fornisce anche una chiave di lettura aperta delle sue musiche, quella che da ragione a molti detti popolari, praticamente che le cose migliori, quelle da conservare gelosamente, arrivano unicamente dal freddo.
 

Max Sannella

Last modified: 18 Gennaio 2012

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