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Mugaen – Chronophobia BOPS

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Mugaen è innovazione musicale”. Questo trovo scritto nella cartella stampa accompagnata a questo EP di tre brani e non posso che sottoscrivere. I quattro ragazzi veneti si definiscono non solo fruitori ma addirittura fondatori dell’Acid, un genere musicale che estende il concetto di Acid Jazz inserendo nella formula elettronica, metal e un pizzico di fusion. Arrangiamenti sulla soglia della perfezione, suoni eccellenti, songwrinting impeccabile ed esecuzione magistrale delle parti per un’atmosfera che vi farà viaggiare verso l’infinito (Mugaen in giapponese significa appunto “infinito”) su ritmiche complesse e armonie mai banali. La voce di Sara Manea contribuisce a chiudere un cerchio che non definisco perfetto solo perché sono di fronte ad un’anteprima e non a un vero e proprio album. Se il risultato del disco completo (al quale i Mugaen stanno ovviamente lavorando) è all’altezza di questo EP, non potete farvelo scappare.

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The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik – Urna Elettorale (The Crazy Crazy Crisi) BOPS

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Il punto di questo (simpatico) Urna Elettorale (The Crazy Crazy Crisi) dei tre The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik è l’indecisione. TCCWOMR suonano filastrocche ironico-grottesche immerse in un rock rarefatto, dalle ritmiche sincopate, quasi di stampo World Music, ma non riescono a stupire quanto dovrebbero. Le canzoni potrebbero essere sbarazzine, ma in alcuni casi s’allungano troppo (non è questione di minutaggio). C’è della carica critica nelle liriche, soprattutto quelle più sensate, ma non abbastanza da farne un disco “d’opinione”. Ci vedo, in controluce, tutta una visione d’insieme che tenta di mostrare il non-senso delle cose (“Parababè”, “Sebele”), ma secondo me non è sfruttata al massimo. Tecnicamente ci si mantiene sul semplice, basando tutto su chitarre crunchy, percussioni saltellanti e suoni/rumori d’atmosfera (e questi due elementi costituiscono la parte più interessante del disco, nascosta in introduzioni, code, incisi, deviazioni varie). Le voci potevano essere migliori, ma in un lavoro del genere (Rock sospeso, Elettronica minimal) fanno ciò che devono.
In ogni caso, Urna Elettorale riesce a regalare, qua e là, qualche soddisfazione: la title track si lascia ascoltare con facilità, e qualcosa rimane incastrato nelle orecchie a solleticarci la fantasia anche in altri episodi (“Cambiamo Forma”, “È Tempo Di…”).
Urna Elettorale è un po’ come quell’amico che abbiamo tutti: indeciso, incostante, ma con quella faccia simpatica che non ci permette di ignorarlo quando lo becchiamo per strada.

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Mama Suya – Mamasuya BOPS

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Enciclopedici, virtuosi, poliedrici. I Mama Suya, in dieci tracce in bilico tra blues, funk e qualche apertura rockettara e lounge, sanno intrattenere e divertire, ma niente di più. Musicisti raffinati, costruiscono sentieri retrò che pescano da un po’ tutta la storia della musica moderna, ritagliandosi uno spazio che però è limitato all’ascolto diffuso, da elevator music, da albergo. Per carità, i maniaci della musica ben scritta e ben suonata troveranno in questo disco tutto ciò che vogliono: assoli incendiari e pacati, groove intensi e liquidi, atmosfere brillanti e rilassate. Difficile però che vi lasci qualcosa di più dell’istinto di applaudire festosi alla bravura dei tre Mama Suya (ma le tastiere chi le ha suonate?). Mia opinione finale: un incanto per le orecchie che rimane alquanto superficiale (e d’altronde, nemmeno loro nascondono di volersi, prima di tutto, divertire: “L’idea di base è: ‘suoniamo la musica che ci piace’.”). Ascoltateli qui e fateci sapere che ne pensate.

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Le teste – 2012 BOPS

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Dopo l’incipit meditativo, a tratti cool, di “Preludio”, i lombardi Le teste partono in quarta con uno ska-rock potente, cantato in italiano e swingato in stile Roy Paci (ma se possibile con molta più classe), che non guarda in faccia nessuno: ce n’è per tutti, dalle idiozie mediatiche sulla fine del mondo di “Fine dei giochi” o “2012”, al nostro bel Paese di maneggioni in “Calciopolis” e lo status symbol da drink regalati nei locali fighetti di provincia in “Free Drink”. Immancabili la canzone d’amore, “Lovely girl” e la critica sociale di “L’animale” e “C’è crisi”. E se la prendono anche coi fresconi che si bevono qualsiasi prodotto musicale come fosse Coca-Cola nella velocissima “Estasi sintetica”, e con i “Pagliacci!” che riempiono le nostre città di slogan e false speranze. “La ruota”, traccia di chiusura del disco, sembra essere una summa di tutte le narrazioni precedenti: i ragazzi ci stanno dicendo che siamo coinvolti in un ingranaggio che forse neanche vediamo, la cui morsa stringe e lascia un segno silenzioso, nel suo incessante movimento. A noi non resta che illuderci di poterla fermare. Le teste, al contrario, vi faranno muovere e parecchio. Che vi piaccia il genere o no, questa è gente da andare sicuramente a vedere dal vivo. Enjoy!

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Devil – Magister Mundi Xum _ The Noble Savage BOPS

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Insomma i Devil si sono decisi a partire in quarta, quasi come se volessero dire <Vogliamo tutto e subito>. Certo, perché a distanza di un anno dal loro disco d’esordio, Time To Repent, sfornano una raccolta che comprende il loro primo demo Magister Mundi Xum e i loro primi singoli “TheNoble Savage” e “Blood Is Boiling”. Si sono dati da fare, c’è volontà di farsi notare con la loro musica, con il loro repertorio, con le loro creazioni. Il disco è un immancabile occasione per chi ha apprezzato i Devil, se Time To Repent è stato di buon gusto questa raccolta non potete perdervela. Chiaro che lo stile è quello Stoner e Sludge alla Black Sabbath condito all’Hard Rock dei Blue Oyster Cult vecchio stampo per rendere l’idea. E’scontato a questo punto che ascolterete poco di nuovo, alcune tracce sono addirittura presenti nel disco d’esordio altre invece, come i due singoli citati prima o “Welcome The Devil”sono in un certo senso la sorpresa della piccola compilation. Personalmente ho apprezzato tantissimi il loro debut album, i Devil hanno dimostrato già in quel momento di avere carattere, con questo lavoro hanno confermato di avere uno stampo eccezionale. Logicamente i lavori di produzione e di registrazione sono molto più avanzati, questo perché ora la band ha un etichetta alle spalle che gli ha potuto permettere un certo tipo  di lavoro e perciò è nota la qualità dei lavori precedenti e di quelli presenti nella raccolta. Detto brevemente, se i  norvegesi Devil vi sono piaciuti  e volete approfondirli, questo è il momento giusto.

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The Hollyhocks – Pop Culture BOPS

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Eighties e moda, synth e effetti di chitarra, voce alla Spandau Ballet e ritmiche indie, tipo dagli Arctic Monkeys in giù. Insomma, in questo Pop Culture dei torinesi The Hollyhocks c’è tutto quello che serve per farne un must, un successone, una sequela di hit con cui far ballare tutti i dancefloor hip della penisola. E tutto ciò che serve, aggiungo, per non farmeli piacere. La bravura c’è pure, non confondiamoci: le sintetizzate analogiche sono fatte come si deve, gli incroci di genere non annoiano, l’orecchiabilità è costante, le melodie accattivanti, e la punta del piede tiene il tempo senza particolari difficoltà. Però basta, dai. Ho passato troppi venerdì sera davanti a gruppi del genere, e di nessuno ricordo il nome. Le canzoni sembrano una sola, lunga canzone di trent’anni fa, bagnata nell’effervescenza indie pop così tipica di questi anni ’10. Ora, so benissimo di essere io quello sbagliato, per cui andate ad immergervi nella time machine electrostyle dei The Hollyhocks e ballateli fino allo sfinimento, so che ne siete capaci! Ma, per favore, lasciate me al bancone a bere da solo, vi raggiungo dopo… P.s.: O sono io a non capire cosa diavolo significhi post-punk, o la gente usa il termine completamente alla cazzo…

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Bluesaddiruse – Bluesaddiruse BOPS

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Si chiamano Bluesaddiruse, vengono da Napoli e da quella tradizione partenopea che è il Neapolitan power, quel movimento che negli anni ’70 del secolo scorso portava nuova linfa e un sapore internazionale al meglio che la canzone napoletana avesse saputo dare. Fanno un hard rock con influenze funk e blues (tastiere e armoniche come se piovesse), molto uptempo, con qualche incursione in territori diversi (“Senza Feeling), fiati che spuntano qua e là e una voce roca e interessante (un timbro alla Giobbe Covatta): canzoni che ci ricordano che il napoletano è un’ottima lingua per il rock’n’roll, così simile (come accenti e possibilità metriche) al più ovvio inglese. Il disco è prodotto bene e suona compatto e divertente. Niente di nuovo sotto il sole (anzi, sembra di aver viaggiato con una macchina del tempo fino almeno agli anni ’80), ma come si fa a dire di no a del rock in napoletano suonato bene? Nota di demerito invece per quanto riguarda il modo in cui si propongono: la copertina più trash di tutti i tempi e il disco inviato in .wav (peso totale verso il giga…)

https://www.youtube.com/watch?v=g7DIyo7WIx4

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Le Capre A Sonagli – Sadicapra BOPS

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Proposta indubbiamente interessante quella delle Capre A Sonagli, band bergamasca nata inizialmente nel 2000 con il nome di Mercuryo Cromo e fattasi notare dopo aver supportato band come Sick Tamburo, Zen Circus, Giorgio Canali e udite un po’ gli Afterhours, questi ultimi raggiunti attraverso la vittoria del Nuovi Suoni Live. Solo nel 2011 la band cambia il nome della band da Mercuryo CromoLe Capre A Sonagli. Ma torniamo alla proposta del gruppo che come dicevamo ha abbastanza da raccontare. La band dedita ad un Stoner con venature Psichedeliche si presta a sfornare un particolare disco dall’ ascolto complesso. Parliamo di Sadicapra, un lavoro che ti coinvolge dal primo ascolto attraverso ipnotici ritornelli, graffianti riff, strambe melodie ed un cantato variegato che molto spesso sfocia nel racconto. Sadicapra è un album critico che con sottigliezza racconta un po’ della realtà dell’ individuo, alcune volte con riflessive metafore. E’ vero, molto probabilmente per comprenderlo ed apprezzarlo c’è bisogno di qualche ascolto in più ma fidatevi pian pianino vi entra nella testa, ciò dimostrato dalla seconda traccia del platter, Caronte. L’ album presenta anche tracce strumentali che mettono in mostra le potenzialità di questi malati del suono. Avete capito bene, malati,   perché solo cosi si possono definire delle persone che mettono su un lavoro del genere. Prestando orecchio a “Pirata Della Strada”e “Fuori Dal Cono” (le tracce strumentali appunto), noterete come è particolare lo stile del gruppo. I Queens Of The Stone Age, gli Stooges ed il loro buon Iggy Pop e Vinicio Capossela impazzirebbero dalla gioia dopo aver sentito questi ragazzi. Non a caso comunque, Le Capre A Sonagli hanno diverse affinità con questi grandi citati ora e con ottime probabilità qualcuno di questi ha fatto da influenza. Per non tirarla troppo sulle lunghe possiamo dire che Sadicapra è un album che merita attenzioni: ha la caratteristica di calmare i più frenetici e scatenare gli ascoltatori più passivi. Insomma, buona la prima per la band bergamasca.

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Encomion Morias – Legend of The Drunken Bastards BOPS

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Due cose saltano subito all’orecchio quando si ascolta l’Ep degli Encomion Morias, formazione di Castellammare di Stabia di matrice Hard Rock con influenze Grunge alla Soundgarden: anzitutto cantare in inglese può essere una lama a doppio taglio, perché la pronuncia è davvero importante. Non fraintendetemi: il vocalist è corretto, fin troppo, e proprio per questo si evince una parlata scolastica, poco genuina, poco scorrevole, che male si insinua sulla musica di chiara derivazione anglo-americana. In secondo luogo è molto difficile fare dell’Hard Rock oggi. Il genere ha troppe decadi di storia e ha fatto scuola: è quasi impossibile fare qualcosa che non risulti già sentito e scontato. Che gli Encomion Morias siano dei bravi musicisti, lo si evince soprattutto da brani come “T.M.B”, con inseriti chitarristi quasi blues, o nel buon gusto dell’arpeggio di “God is Not an Astronaut pt.1”, con la batteria tribale che predilige il timbro dei muti e la voce che compie larghi intervalli slanciati verso l’acuto, così come nello scarto stilistico di “God is Not an Astronaut pt.2”, che, a differenza della gemella appena citata, sfiora il Nu Metal dei Faith No More, è veloce e costruita su potenti schitarrate accordali. Il punto è che non è sufficiente. In un genere in cui l’originalità è qualcosa di assolutamente impossibile da rintracciare, pena probabilmente snaturare lo stesso, non guasterebbe un pizzico di personalità in più, quel qualcosa che non faccia solo apprezzare la tecnica o il buon gusto ma comunichi effettivamente qualcosa di più profondo.

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Beach Fossils – Clash The Truth BOPS

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Ci sono dischi che si raccontano pezzo per pezzo. Si smontano, si analizzano, come un’autopsia, come al microscopio, atomo per atomo. Ce ne sono altri che invece sono un unico, grande viaggio. O un’atmosfera, una sola. Una fotografia a più dimensioni, da diversi angoli, ma della stessa cosa. Clash The Truth è fatto così. È onirico, sospeso, tenuto in volo dalla voce eterea e bagnata di Dustin Payseur, la mente dietro al progetto, un progetto nato DIY e casalingo e finito invece, con questo disco, in ben due studi newyorkesi (il primo è stato abbandonato, ad un certo punto, per colpa dell’uragano Sandy). Clash The Truth è fatto di melodie semplici, ritmi post-punk, bassi cordosi, chitarre che da acustiche diventano elettriche, morbide, poi acide, poi suadenti, ambienti riverberati e gonfi d’eco, come nuvole in fuga dentro la tua stanza. Melodie, ritmi, ambienti che sono una sola melodia, un solo ritmo, un solo ambiente, lungo quattordici tracce, circa mezz’ora. Poi, a scavare, si possono notare isole nella spuma (“Sleep Apnea”, la mia preferita, che non ha bisogno di spiegazioni; momenti drone e leggeri attimi strumentali, come “Modern Holyday”, “Brighter” e “Ascension”, a spezzare il tutto; brani leggermente più sostenuti – “Crashed Out”, “Burn You Down”, “Caustic Cross” pronti a mescolarsi con l’ossessività della title track, o con il sogno Pop-Noisedi “In Vertigo”, con Kazu Makino dai Blonde Redhead) ma a svelarli tutti vi toglieremmo il gusto di scoprirli da soli. Dalla Captured Tracksun altro esempio di post-qualcosa leggero, facile, intimo, di scuola Low. E oggi, col mal di testa che incombe e un’altra primavera alle porte, è tutto ciò che mi serve.

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Caoscalmo – Le cose Non Sono le Cose BOPS

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Power-trio da Roma. Francesco Maras, Daniele Raggi e Andrea Samona sono la nuova formazione di Caoscalmo. Progetto già attivo da qualche tempo che esce ad Ottobre con l’EP autoprodotto Le Cose Non Sono le Cose. Nel titolo è racchiusa la tematica che lega le cinque tracce . I brani (rigorosamente in italiano) raccontano una realtà smarrita nell’ossessiva ricerca di un cenno di verità. Testi immediati, non banali ma nemmeno cervellotici. Vocalmente e musicalmente il gruppo si difende: bei suoni ed arrangiamenti ma l’ep ha poco di nuovo. Le influenze del disco vengono principalmente dal rock alternativo italiano anni ’90 come Afterhours o Ritmo Tribale alternate a stacchi alla Rage Against the Machine. E’ un lavoro piacevole ma per chi è alla ricerca di  qualcosa di nuovo è tempo perso: non c’è nulla che in Italia non si faccia già da vent’anni.

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