Simona Ventrella Author

[ COLLABORATORE ] Folkainomane convinta, abusa di canzoni tristi che la rendono felice. È convinta che un delay salverà il mondo.

Back To Mercurio – Umani Front

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I Back to Mercurio sono Marco Mirk e Roberto Dossi, questi due musicisti romani come un infuocato asteroide si sono staccati dal pianeta Aldrin, per gli amici mercurio, per ritornare sulla terra, con una nuova veste musicale e un nuovo EP Umani Front. Quattro brani che mettono subito in chiaro il netto distacco con tutto l’immaginario di suoni e melodie legati al Post Rock degli Aldrin, e più in generale a quelle atmosfere dilatale e cosmiche, caratterizzati delle lunghe cavalcate strumentali alla God Is an Astronaut. Ora ci troviamo sulla terra, ferma, consistente e devastata dalla caduta di un asteroide, in preda e scenari post apocalittici e pseudo cibernetici. Un netto cambiamento di scenario che trasuda dai pezzi proposti, composti di suoni cupi, densi, pesanti, con una predilezione alla ripetizione al limite dell’ossessivo. Gli strumenti messi in gioco per creare questi pattern sonori sono principalmente batteria, chitarra, sintetizzatori e drum machine. L’inizio dell’EP è affidato a “Not Okmin”, nove minuti abbondanti di stratificazioni progressive di suoni che si ripetono in un continuum, che partono da una chitarra per perdersi in una deriva di synth opprimenti e fredde distorsioni. Unico momento di distrazione è l’incursione di una voce femminile, una breve pausa prima di ributtarsi in un tunnel profondo, rosso, e senza fine. Seguono “Tougue” e “ Metalserbatoi” e se la prima riesce a concedere qualche sguardo verso il cielo, la seconda, attraverso combinazioni di suoni digitali e drum machine, qui più forti che negli altri brani, ci butta in uno scenario cibernetico, fatto di schermi rotti e macchine che ripetono all’infinito la stessa sequenza di movimenti fino alla fusione dei circuiti. Chiude l’EP “The Smallest Machine” (Is Mine), che rallenta e allarga il tempo senza rinunciare, però, alle atmosfere ansiogene e ossessive, un piccolo incubo che termina questo percorso nell’oscurità. “Umani Front” è un progetto impegnativo, interessante, ma difficile da valutare sotto il profilo della godibilità e della gradevolezza. Il duo ha certamente ereditato dalle precedenti esperienze un approccio esplorativo alla composizione, anche se in questo frangente la ricerca così specializzata, fa emergere, per sua stessa natura, un risultato che tendo al ripetersi, con pochi veri guizzi e aperture. Un ascolto per i curiosi e per i più tenaci e amanti del genere.

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Pending Lips Festival: terza serata

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Lunedì si è tenuta la terza serata di eliminatorie del Pending Lips Festival. Una gara che mette in competizione tante band, tanti generi e che permette ai giudici e agli spettatori di conoscere nuove realtà musicali. La serata è stata interessante e musicalmente molto varia: dall’Indie Rock, al Post Rock, passando per lo Stoner e l’Hard Rock. Le tre band che si sono aggiudicate il passaggio alla semifinale sono: Fitzcataldo & The Trivettes, premiati anche dalla giuria tecnica, Lo Stato Interessante e i Someone Else’s Sisters. Noi di Rockambula abbiamo ascoltato attentamente e abbiamo deciso di premiare, per questa serata, una delle band escluse dalla semifinale i The Singer Is Dead. Il gruppo milanese nasce nel 2012 dall’idea dei fratelli Luca e Dario Doldi. Sono in quattro, il loro primo EP autoprodotto è uscito il 26 febbraio del 2014 e propongono un energico Post Rock. Sulla loro pagina facebook dichiarano: ”L’idea alla base del progetto è suonare senza limiti di genere, struttura o durata e farlo senza voci; avendo come unica linea guida le sonorità vicine al post-rock”. Dopo averli sentiti suonare live, confermiamo la loro dichiarazione. Tra tutte band salite sul palco, i The Singer Is Dead hanno dimostrato un’ottima tecnica, grande cura e attenzione per i suoni e una buona dose di forza e potenza, tutti elementi più che apprezzabili, considerata la scelta di privarsi del cantato. Nei brani proposti live, le due chitarre delineano il mood e la direzione del pezzo, spesso viaggiando insieme, trattandosi di Post Punk, mi sono mancate le derive eteree, e i loop sonori morbidi, che dilatano lo spazio e ti fanno perdere, alla God Is a Astronaut, soppiantante da influenze più Metal ed una batteria molto pressante e poco chirurgica. L‘impressione generale è comunque positiva, e se queste sono le premesso non possiamo che essere fiduciosi sul futuro del gruppo, lanciandogli la sfida ad osare ancora di più e continuare a sperimentare nuove soluzioni stiliste, nuove metriche e nuove sonorità.

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Daniele Celona – Amantide Atlantide

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Tempesta e assalto sono queste le due parole che si rincorrono in testa quando l’ultimo brano di Amantide Atlantide finisce di risuonare nelle cuffie. Un rincorrersi che fa riemergere delle patinate lezioni del liceo, nelle quali la professoressa di lettere, occhialuta e con iconico golfino un po’ infeltrito, cercava di infiammare gli animi di noi giovani annoiati parlandoci di quel furore emotivo ed istintivo, che fu motore culturale di un tempo. Questa spinta passionale, carica di sentimenti è il motore e presenza costante, in tutti gli undici brani del nuovo Album di Daniele Celona. Racconti di persone in bilico, sul filo del rasoio, tra istinto e ragione, immobilità e trasgressione. Nessun superuomo quindi, ma persone consistenti e reali in balia di stati d’animo, perennemente alla ricerca di qualcosa (Amantide) o intrappolati in gabbie figlie dell’orgoglio, e del vittimismo. Questa smania ed irruenza non sono solo rivolte al singolo, i brani più incazzati “Precarion” e “Politique” si scagliano con sarcasmo, toni forti al limite volare, contro l’inettitudine della classe politica, e la consacrazione dell’incertezza e della rassegnazione come status quo moderni. Se lo spirito è quello del cantautore, l’attitudine musicale è quella del rocker e in questo ambito il supporto dei Nadàr Solo è molto evidente in tutto l’album, l’apporto di una sezione ritmica intensa, decisa e molto dinamica fa emergere i brani, gli dà spessore e robustezza e come una buona punteggiatura valorizza il songwriting ricercato di Daniele. L’esempio più alto dell’affiatamento tra musica e testi e “Johannes”, un dialogo a più voci tra l’esteta alla ricerca del piacere, e un antagonista amoroso, una libera interpretazione del personaggio raccontato da Kierkegaard nel suo diario di un seduttore, che sfocia in un brano complesso, d’impatto anche se meno immediato rispetto ai precedenti. Il disco si apre con una storia a due e si conclude con un’altrettante storia d’amore, di quelle amare però, senza futuro, che affondano nell’oblio dell’abisso come la più nota e mitica “Atlantide”. Il brano grazie alla meravigliosa voce di Levante, e alla perfetta amalgama con quella di Daniele, non rischia per fortuna nessun abisso o dimenticanza. Amantide Atlandite è un disco curato, ambizioso, per nulla banale negli arrangiamenti. Un viaggio dai ritmi serrati e dai contenuti importanti, raccontati con stile ed interpretati con passione viscerale, insomma quel faticoso “cuore”, che spesso fa la differenza. Un’ottima conferma per il cantautore torinese e non certo un disco di solite canzonette.

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Daniele Celona

Written by Interviste

Daniele Celona è cantautore, compositore e produttore torinese, dalla decisa anima Rock. In occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro Amantide Atlandite, abbiamo avuto l’opportunità di farci raccontare direttamente da lui di cosa si tratta.

Ciao Daniele, grazie per essere qui con Rockambula, il 3 febbraio esce il tuo nuovo lavoro Amantide Atlantide, anticipato dall’uscita del singolo “La Colpa”. Cosa ci racconti in questo nuovo lavoro e cosa ha ispirato la realizzazione degli undici brani che lo compongono?

Grazie a voi. Che dire. E’ un disco sul presente e le sue difficoltà. Un reportage, ma anche un invito a resistere, ad alzare la voce, a trovare una propria via allo “starci dentro”. Ogni nostro comportamento, ogni scelta, ha un riflesso sociale, politico direi. Studiare come ci poniamo davanti a un bivio o ad un ostacolo, mi ha sempre affascinato. Per questo i miei personaggi sono sempre lì, in bilico, sul solco di qualche cicatrice. Sono canzoni di antieroi, canzoni per chi si è perso, ma riesce ancora a sognare ad occhi aperti.

Se vogliamo definire il territorio in cui si muove la tua musica, si potrebbe parlare di Rock cantautorale, ti ritrovi in questa definizione o preferisci darcene una tua personale?

Nulla osta su questa definizione. In realtà il gioco delle scatole con su scritto genere e somiglianze mi lascia sempre un po’ perplesso. Credo che le carte vadano scoperte attraverso l’ascolto, o ancor meglio assistendo a un live o guardandone il filmato perché no. Per usare un termine boxistico, i nostri ring sono quelli. Uno ascoltatore che voglia capire chi ha di fronte, deve salirci.

Amantide Altlantide è il risultato di una formula compositiva particolare una ricerca tra metriche, parole e tecnicismi, come il falsetto e il parlato. Ci racconti come nasce di solito una tua canzone?

La ricerca, il “mestiere”, agiscono più che altro in arrangiamento. La parte precedente è abbastanza istintiva. Non decido a tavolino se usare il falsetto o altro registro. Cerco una linea di cantato e normalmente sono tonalità e mood del pezzo a portare quasi naturalmente verso un certo colore. Le parole del testo sanciranno poi se quel vestito è adatto o meno. Sono un autodidatta sia come chitarrista che come cantante, con un sacco difetti. Pertanto né io posso permettermi dei tecnicismi, né li ho chiesti alla band in fase di preproduzione. Nelle mie intenzioni le canzoni devono suonare fluide pur nella loro struttura articolata ed esser divertenti da eseguire dal vivo.

Rispetto al precedente Fiori e Demoni c’è molto spazio a momenti strumentali di forte impatto ed energia, c’è lo zampino dei Nadàr Solo, tuoi compagni e backing band nel precedente lavoro oppure ci sono altre band o ascolti particolari che hanno influenzato le tue scelte?

Credo che già nel disco precedente i pugni allo stomaco non mancassero. In ogni caso le variazioni tra silenzi e sfuriate sono essenzialmente una mia, quasi patologica, esigenza. Chiaro, dove ho chiesto ai ragazzi di dare di più dal punto di vista della “cartella” non si sono certo tirati indietro. Ho spremuto il povero Alessio in particolare, con scelte di batterie molto muscolari, e passaggi repentini ad atmosfere quasi jazz o comunque molto delicate. E’ stata una parte bella del lavoro, diversa da quella di Fiori e Demoni che avevo intagliato in buona percentuale al computer. Ammetto che in questo fase del lavoro da sala prove ho teso a diventare quasi insopportabile, ma i Nadàr, con cui abbiamo lavorato insieme per anni sapevano ormai come prendermi e come macinare le mie idee in parti strumentali.

Tu, Levante, i Nadàr Solo, provenite tutti dalla scena torinese, è un caso oppure Torino, e il Piemonte in generale, sta recuperando terreno come fucina di talenti musicali? Che cosa ha significato per te crescere musicalmente in questo contesto?

E’ una città che ha molto da dire, su più discipline, non solo quella musicale. C’è energia e fermento. Non credo comunque si debba parlare di gara tra scene cittadine italiane, come non dovrebbe esserci rivalità per progetti simili all’interno di una stessa città. Forse noi, e aggiungo ai nomi che hai citato anche Bianco, abbiamo dato solo un esempio più costruttivo da questo punto di vista, su una sinergia non esasperata, ma vera. Credo anche, sia apprezzabile la nostra scelta di togliersi dalle scatole il più possibile dall’ambito strettamente torinese per lasciar spazio ad altre energie fresche che hanno numeri e che scalpitano.

Qual è stato il momento più bello nella realizzazione di Amantide Atlantide? Ti andrebbe di condividerlo con noi?

Sai che non so cosa risponderti? E’ stata talmente una lotta, col tempo, con la mancanza di soldi, il tutto in uno degli anni più difficili della mia vita, che il dato saliente in realtà credo sia il fatto di aver portato questo disco a compimento. Ci si è messo di mezzo anche il furto a Roma del mio Mac con l’ editing di quattro pezzi e un quinto registrato con Bianco. Ritornando alla tua domanda, il momento bello, a ben vedere, è per me sempre quello della scrittura dei brani, del mosaico da completare. Lì sta il mio giardino segreto, agli altri spetta il quadro, l’ immagine photoshoppata. E’ una rappresentazione che costa fatica e spero posso essere amata comunque.

Grazie per averci raccontato qualcosa di te e del tuo nuovo lavoro. Abbiamo detto che tra poco esce l’album, immagino partirà anche un tour?Hai qualche anticipazione per noi?

Sì, inizieremo a Febbraio tra date promo negli stores e in radio, date con il set elettrico vero e proprio, e qualche apertura a Umberto Maria Giardini.

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Vogan – Polvere

Written by Recensioni

La parola polvere fa venire in mente tante cose, dalle particelle sottili e volte pericolose che ci tocca respirare, all’album di Enrico Ruggeri del 1983, alla patina del tempo, fino a deserti sconfinati. Per il quintetto siciliano Vogan, Polvere rappresenta il primo disco d’esordio, preceduto da un EP e quasi cinque anni di lavoro insieme. Amici di liceo, cresciuti con la musica, si presentano al grande pubblico con dieci brani di Rock melodico, con grandi influenze Pop, soprattutto nel modo di strutturare le canzoni, costruite per lo più su forti e melodici ritornelli. Il disco è un’autoproduzione veramente ben fatta, i suoni sono puliti, ben registrati, tutto è collocato nel giusto posto senza sbavature e colpi di scena. “Polvere” omonima title track apre con la giusta energia, e il grado d’immediatezza ed orecchiabilità sono davvero alti. Elementi che si ritrovano anche in “Abitudine”, “27 Gennaio” con virate più Pop in “Nel Tempo del Peccato” e “Lisa”. Si chiude in stile classico con la ballad romantica “Le Parole Non Dette”. I Vogan hanno senza dubbio lavorato molto bene sui suoni e sulle melodie, rappresentando in questo modo un certo Pop Rock italico, di stampo radiofonico e apprezzato da un pubblico sicuramente vario. Questa pulizia, però, risulta un po’ ridondante e non tutti i brani hanno lo stesso piglio. Sebbene tutto scorra facilmente e con piacevolezza, mancano un po’ le emozioni, i colpi di testa, e tutto risulta eccessivamente imbrigliato. Probabilmente questa mancanza di un vero e proprio effetto wow, di quelli che ti fanno letteralmente alzare dalla sedia, è generata, oltre che da una sorta di monocromia musicale, anche da testi poco incisivi e a volte prossimi al banale. Polvere è un disco che ha aspetti molto positivi, soprattutto per la qualità della produzione, ma al tempo stesso mostra qualche lacuna, sulla quale il gruppo avrà modo di migliorare. In definitiva, un ascolto facile, orecchiabile e sicuramente gradevole per un ampio pubblico, meno allettante per gli ascoltatori attenti e desiderosi di aspetti originali e innovativi.

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Hot Complotto – Hot Complotto

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Gli Hot Complotto sono un power trio di Varese, che folgorati e fortemente ispirati dal movimento musicale e artistico chiamato Great Complotto, sviluppatosi a Pordenone sul finire degli anni 70, ha messo in piedi la propria particolare idea di musica. A Novembre hanno pubblicato, con l’obiettivo di unire in undici tracce le tante anime gruppo e i diversi caratteri dei suoi componenti, il loro omonimo album d’esordio Hot Complotto . La base di partenza è senza dubbio il Punk inglese, delle belle e salde radici, che si fanno sentire nelle ritmiche veloci e aggressive di brani come “Pezzi di Te” e “Non Voglio Niente” e che aleggiano con qualche leggera deriva Ska per quasi tutto l’album. Le incursioni di altri generi, però, sono sempre dietro l’angolo e come funghi dopo la pioggia spuntano qua e là, dal groove Funk e danzereccio di “Brutte Abitudini” al basso pieno di “Se”, fino alla romantica e intimistica ballad acustica “Neve”. C’è spazio anche per delle belle casse dritte e ben pestate alla maniera del più classico Alternative Rock di stampo inglese, che donano sempre la giusta dose di energia e carica. Gli Hot Complotto, al loro primo lavoro, non si sono di certo risparmiati e hanno messo tanta carne al fuoco, condita di altrettanta originalità. I mix tra ritmi e generi diversi , come tutti gli esperimenti a volte riescono bene e mostrano spunti molto interessanti, e a volte non convincono del tutto come in “Tecnofavole” in cui l’elettronica sminuisce anziché arricchire le potenzialità del brano. Detto questo, ai ragazzi sicuramente non mancano energia e passione che ben si sentono nei suoni carichi di forza e nell’impatto generale del disco, purtroppo però l’eccessivo mix tende a creare un po’ di smarrimento e rende molto frammentata la percezione e l’identità del gruppo. Considerato che stiamo parlando e ascoltando un disco d’esordio, bisogna premiare la volontà di proporre un progetto personale, nuovo, che ricerca soluzioni originali, e si spinge verso sperimentazioni giocose, anche se non sempre convincenti al 100%. Come si dice non tutte le ciambelle riesconocol buco, noi nel frattempo li aspetteremo, fiduciosi, al prossimo lavoro.

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Rumor

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Giovani e carichi, I Rumor sono un power trio del novarese, che con il loro Indie Rock energico e fresco ha sbaragliato la concorrenza al Pending Lips Festival 2014, tenutosi a Sesto San Giovanni, aggiudicandosi il titolo di vincitori. Scopriamo qualcosa in più su di loro e sula loro esperienza di giovani esordienti.

Ciao ragazzi grazie per essere qui con noi su Rockambula. Voi siete Giovanissimi, di talento e appassionati. Cos’altro dobbiamo sapere sui Rumor, volete raccontarci qualcosa su di voi e la vostra musica?
Le generalità sono più o meno queste. I Rumor sono tre e arrivano dal lato piemontese del lago Maggiore. Io (Marco) ed Elia abbiamo iniziato a suonare assieme come Rumor nel 2007, senza barba e senza patente. Anche se Elia di barba ne ha poca ancora adesso. Evita è arrivata nel 2013 a suonare la batteria, prima c’era un altro ragazzo, Andrea. Abbiamo pubblicato nel 2014 il nostro primo ep Pois, prodotto da Sergio Quagliarella che ci segue da qualche anno come produttore artistico e co-prodotto da Diego Cattaneo, che è un bravissimo ingegnere del suono della nostra zona. Pois lo si può trovare un po’ ovunque sulla rete.

A maggio avete vinto l’edizione 2014 del Pending Lips festival. Ci raccontate la vostra esperienza da partecipanti, come ci si sente a suonare davanti ad una giuria, e il rapporto con gli altri gruppi? Sono più le gioie o più i dolori?
Al Pending Lips ci siamo trovati benissimo, per davvero. Lo schieramento di giurati tutti in fila su un grosso tavolone effettivamente è stato un poco straniante all’inizio, ma alla fine siamo riusciti a non badarci troppo. Anzi, avendo i giudici davanti cercavamo di guardare le loro facce per vedere se erano presi o meno dal live. In generale per noi direi che sono state quasi tutte gioie, momenti belli, belle serate. Per quanto riguarda gli altri gruppi è stato sicuramente interessante poter conoscere ed ascoltare un sacco di band che non conoscevamo. Con qualche gruppo abbiamo anche legato, ci sentiamo ancora e si cerca di darsi una mano a vicenda.

La partecipazione al festival vi ha aiutati ad avere maggiore visibilità e nuove opportunità musicali? Consigliereste ad altre band un’esperienza di questo tipo?
Decisamente. Solo partecipando al Pending abbiamo avuto modo di suonare davanti a un sacco di persone che non ci conoscevano, e qualcuna da lì ha iniziato a seguirci. Vincendo abbiamo suonato poi al Carroponte, uno dei palchi più importanti d’Italia praticamente. Adesso inizieremo a lavorare con Costello, ed è un’altra bella e grande possibilità per noi. Insomma, è chiaro che dopo tutte questo non potremmo che consigliare a chiunque di provarci.

Voi siete sicuramente giovani e talentuosi, ma com’è secondo voi in generale la situazione musicale in Italia? C’è spazio e possibilità per i giovani indipendenti? Cosa si potrebbe/dovrebbe migliorare?
Probabilmente la cosa che più manca oggi, ma a cui siamo ormai (purtroppo) abituati, è la mancanza di curiosità della gente rispetto alle piccole band. Le situazioni live che funzionano sono quelle che prendono in considerazione band con già una certa notorietà . I locali che propongono band sconosciute o semi-sconosciute continuano a chiudere, e quei pochi che rimangono hanno serie difficoltà ad andare avanti. Trovare possibili soluzioni, capire cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione generale è complicatissimo. Quello che facciamo noi è continuare a crederci fortissimo e a lavorare sodo, giorno per giorno, cercando di raggiungere gli obiettivi che man mano ci poniamo.


Passiamo al lato divertente, raccontateci qualche aneddoto sul miglior e sul peggior live del 2014? Cosa non può assolutamente mancare ad un vostro live?

Metto assieme tutto e vi racconto di un concerto solo. Un concerto strano davvero, bello e brutto allo stesso tempo. Eravamo in Irlanda, a Dublino, e suonavamo in questo posto che si chiama Bruxelles. Famosissimo in città perché ogni mercoledì sera organizza questi concerti dove si susseguono sul palco un sacco di artisti. La parte brutta del concerto sta nella questione tecnica . Abbiamo suonato con gli ampli peggiori di sempre, la batteria era mezza nascosta dal bancone ed io ho cantato per tutto il concerto, e dico tutto il concerto, prendendo la scossa elettrica ogni volta che toccava con le labbra il microfono. Una roba bruttissima. Ce l’abbiamo messa comunque tutta per portare a casa il concerto. La gente era attenta, si vedeva che era lì per ascoltare, abbiamo lasciato perdere i problemi e ci siamo lasciti andare, cercando di dare tutto il possibile. Noi cantiamo in italiano, e il pubblico era esclusivamente irlandese, nessuno capiva una parola di quello che dicevamo. Malgrado questo durante Neve, uno dei nostri pezzi più intimi, vediamo una ragazza che si mette piangere. Forse l’aveva appena lasciata il ragazzo, questo non lo possiamo sapere, ma a noi piace pensare che si fosse emozionata per quello che stavamo suonando. È stata un gioia davvero grande. Lei non capiva niente di quello che dicevamo, ma eravamo comunque riusciti a toccarla, a farle capire lo stesso quello che volevamo dirle. È stato fantastico.

Vi ringrazio per il vostro tempo e vi lascio con la domandona finale. State lavorando a nuovi progetti? Dove vi possiamo ascoltare in questo periodo?
Grazie mille a voi! Al momento stiamo facendo un bel po’ di cose. Stiamo scrivendo molto, in vista del nuovo disco che speriamo possa esistere il prima possibile. Ma stiamo anche lavorando ad un’uscita di cui non diciamo niente ma che dovrebbe vedere la luce abbastanza a breve. Intanto non ci fermiamo per i concerti, e con l’anno nuovo riusciremo a raggiungere città in cui non abbiamo mai suonato. Per chi volesse vederci live in questo periodo chiudiamo l’anno con qualche data. A dicembre saremo il 6 a Verbania, il 7 a Verona, il 12 a Milano e il 27 a Vigevano. Sul nostro facebook (www.facebook.com/rumormusic) si possono trovare sempre tutte le nostre date aggiornate, vi aspettiamo a braccia apertissime!

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Invers

Written by Interviste

In occasione dell’uscita del loro nuovo singolo Montagne, abbiamo scambiato qualche parola con gli Invers, band proveniente da Biella e attiva dal 2008. Il gruppo dono 60 concerti in giro per l’Italia è pronta a ritornare sulle scene con un nuovo album in uscita all’inizio del 2015. Scopriamo qualcosa di più sul loro nuovo progetto.

Ciao ragazzi e benvenuti su Rockambula. Cominciamo parlando del nuovo singolo “Montagne”, è un pezzo d’impatto, dal ritmo serrato quasi ossessivo, descritto da voi stessi come un brano che parla di senso di inadeguatezza e non appartenenza. Com’è nato il pezzo e cosa vi ha ispirato nella sua realizzazione?
I concetti di inadeguatezza e non appartenenza descritti dalle parole di “Montagne” sono stati il vero punto di partenza e spunto per la stesura del brano e della sua parte musicale. Abbiamo cercato di sostenere ed enfatizzare al meglio ciò che le parole descrivono, creando un ambiente sonoro teso, ipnotico e a tratti quasi claustrofobico, che solo in pochissimi e brevi momenti sembra rilassarsi, per poi tornare a contorcersi, proprio per evidenziare il senso di pressione, soprattutto psicologica, che prova chi si sente costretto a confrontarsi ogni giorno con una realtà che da tempo ormai non sente più sua, e che non lascia spazi per trovare uno spiraglio necessario a cambiare la propria condizione.

Sempre parlando di “Montagne” il video, uscito l’11 novembre, è stato girato da regista Stefano Poletti, vincitore come miglior videomaker al Mei del 2010 e autore di video di artisti come Tarm, Zen Circus e Baustelle. Com’è nata la collaborazione tra di voi, cosa vi portate a casa da questa esperienza?
Abbiamo cercato noi Stefano, l’abbiamo contattato e gli abbiamo passato il brano, chiedendogli di realizzarne il videoclip. Fin da subito si è mostrato entusiasta all’idea di lavorare su “Montagne”, e in breve tempo ci ha proposto diversi soggetti sui quali si sarebbe potuto lavorare. Dopo qualche confronto, giusto per capirsi meglio sulla direzione da seguire, abbiamo scelto di girare un videoclip semplice e diretto, volto ad esaltare il più possibile l’impatto sonoro di “Montagne”, attraverso quella che è l’unica componente fondamentale per una band, ovvero l’esecuzione live, e nel nostro caso specifico, così come la viviamo noi ogni volta che saliamo sul palco. Il risultato per noi è più che soddisfacente, Stefano ha compreso senza difficoltà quella che è la nostra natura, ed è riuscito egregiamente a trasmettere l’energia e la potenza non solo di “Montagne”, ma di tutti i brani che ci saranno in Dell’Amore, Della Morte, Della Vita.

Abbiamo detto che Il 2015 vedrà l’uscita del vostro nuovo album Dell’amore, Della Morte, Della Vita. A primo acchito sembrerebbe un titolo da film horror, ma invece cosa dobbiamo aspettarci rispetto al precedente Dal Peggiore dei Tuoi Figli? Volete darci qualche piccola anticipazione e curiosità sul vostro nuovo lavoro in studio?
Credo tu ti riferisca al film Dellamorte Dellamore, ma devo fermarti, e colgo l’occasione per dire che il titolo del nostro disco non ha niente a che vedere con nessuna opera precedentemente pubblicata, il cui titolo possa, per omonimia o similitudini lessicali, ricondurre al titolo che abbiamo scelto per il nostro nuovo lavoro. Dell’Amore, Della Morte, Della Vita semplicemente perché è di questo che parla il disco, ognuno di questi tre concetti è fortemente espresso in ogni brano, nei testi e nella musica; qualsiasi altro titolo non avrebbe mai potuto avere la stessa efficacia nel presentare e descrivere i contenuti di questo disco.

Siete una band che vive di live a attualmente siete in giro con una formula abbastanza inedita del live- anteprima. Com’è nata l’idea di queste anteprime musicali, c’è una particolare strategia dietro o è un modo per rodare voi e il nuovo disco con un pubblico di “fedeli”?
E’ essenzialmente una scelta legata all’esigenza di suonare dal vivo; per nostro conto, una band che non suona dal vivo, non è una band al cento per cento, e senza concerti, il lavoro che fa resta comunque fortemente incompleto e penalizzato. Senza mezzi termini, non ci andava di aspettare di avere il disco pronto e stampato per andare in giro a suonarlo. Non crediamo alla classica pausa pre-pubblicazione disco, perchè bisogna ammetterlo, serve solo a farti affossare; se ti fermi sei finito. Vero poi è che, in queste date-anteprima, abbiamo scoperto altri lati positivi, come ad esempio capire fin da subito che tipo di risposta si ha dalle persone che per la prima volta sentono i brani nuovi, quasi completamente diversi da quelli del disco precedente, senza ovviamente sottovalutare il fatto che si ha la possibilità di prendere veramente confidenza con i brani stessi, in tutte le loro parti, e con il live in sé, in ogni suo momento.

Arriva la parte divertente, vorreste condividere con noi qualche aneddoto particolare sulla lavorazione del nuovo album, come vi approcciate di solito nella composizione dei brani, siete un gruppo litigioso o trovate sempre la giusta armonia ?
Non ci sono stati colpi di scena o eventi particolari degni di nota durante la lavorazione di Dell’Amore, Della Morte, Della Vita; forse avremmo voluto metterci meno tempo, ma col senno di poi, ogni minuto che abbiamo dedicato alla lavorazione del disco è effettivamente servito a raggiungere il risultato che volevamo, e questo è ciò che conta. Non nascondiamo che ci siamo confrontati spesso, alle volte anche in modo abbastanza acceso, ma questo altro non è che la prova di quanto ognuno di noi abbia a cuore questo nuovo lavoro, e di quanto sentiamo sia importante poterlo offrire a più persone possibili.

Vi ringrazio per il vostro tempo e vi lascio con la domanda canonica. Ci sono altri progetti in cantiere oltre al nuovo album? Dove vi troviamo in questo periodo?
Abbiamo una lista di cose da fare prima ancora di pubblicare Dell’Amore, Della Morte, Della Vita: alcune più canoniche, altre un po’ meno. Stiamo pensando ad un eventuale secondo singolo con annesso videoclip, e ad altre iniziative secondarie, ma è ancora tutto in fase di pianificazione, non posso dire altro. Nel frattempo il giro di anteprime-live sta per finire, in programma abbiamo ancora una data il 13 dicembre al Magazzino sul Po, a Torino, e poi ancora il 20 dicembre all’Otto a Biella, vicino a casa. A seguire, dall’anno nuovo, nuove notizie e nuove date a supportare il nuovo disco.

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Subsonica – Una Nave in una Foresta

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C’è un detto torinese che parla di una barca in un bosco per esprimere attraverso una semplice metafora la non facile situazione in cui ci si sente pervasi da uno spiacevole senso d‘inadeguatezza e non appartenenza. Una sensazione maledettamente universale, che i Subsonica hanno cercato di esprimere fin dai loro esordi, in vari modi e attraverso varie vesti espressive: dall’Elettronica spinta, al Rock, dalle sperimentazioni estreme alle più recenti attitudini Pop. Questa volta, la settima, la formula narrativa scelta è forse la più articolata e complessa, una super sintesi di tutto quello che è stato, degli anni passati, del percorso di un gruppo, sempre però filtrato attraverso la contemporaneità e mitigato dalle persone. Gli attori dell’iperbolico Una Nave in una Foresta sono tanti, ci sono tante versioni di noi stessi: innamorati, peccatori, giovani ragazze anoressiche, fino a una vecchia auto, tutti alla ricerca di un riscatto, spronati alla svolta, ma consapevoli delle proprie fragilità. Un viaggio spesso tormentato, ricco di dubbi, ma che ci mostra anche una possibile via salvifica con l’ultima traccia “Il Terzo Paradiso”, sintesi in musica della più alta espressione idealista dell’artista Michelangelo Pistoletto. Musicalmente parlando, il disco rappresenta un ritorno verso i suoni delle origini del primo album omonimo, soprattutto rispetto ai precedenti Eden ed Eclissi. In generale i bpm si abbassano, rispetto alla media del gruppo, la cassa e il basso dimettono la loro veste Drum & Bass, fatta eccezione  per il brano “Lazzaro”, a favore di basi sintetiche che si ripetono in sottofondi ipnotici, e soluzioni ritmiche che giocano con la forma canzone standard. “Una Nave in una Foresta”e i “Cerchi degli Alberi” sono un buon esempio in cui una base ripetuta genera un senso di dipendenza musicale e i cambi di ritmo donano spessore ai brani. Le atmosfere sono scure e cupe ed i suon profondi e ampi, brani come “Licantropia” ricordano le atmosfere rarefatte e pulsanti di brani come “Nicotina Groove” e “Giungla Nord”, mentre la chitarra di Max si ritaglia ampi spazi in “Tra le Labbra” e nella melodica e minimale, ma tremendamente immediata, “Di Domenica”, secondo singolo uscito. I brani meno convincenti sono “Specchio” che utilizza un sound Funk anni 70 con un ritornello molto orecchiabile e “Ritmo Abarth dal ritmo intenso ma meno coinvolgente rispetto ad altri pezzi. In mezzo a synth e alle stratificazioni sonore la voce di Samuel, il sesto componente della band, riesce in maniera vincente a creare quell’amalgama magica tra suoni e voce che dona a tutti i brani una vibrante energia, senza dubbio in questo lavoro più che in altri si sente un forte lavoro sull’uso della voce in maniera più ampia e melodica. Una Nave in una Foresta è un disco ben fatto, curato nei minimi dettagli, ma dimenticatevi il disco danzereccio del ventenne incazzato, dimenticatevi finalmente Microchip Emozionale, e il raggio di sole di Eden, siate pronti ad ascoltare un disco maturo, appassionato e passionale, che cattura nella sua ragnatela emotiva senza necessariamente togliere dieci anni di vita e fiato, che vi racconta come essere un vaso di terracotta in mezzo ai vasi di ferro, col coraggio di chi scopre di essere vivo come non mai. Se qualche anno fa eravamo tutti esperti di chimica forse stavolta diventeremo tutti appassionati di dendrocronologia. Per ultimo, ma non meno importante, se vi manca l’esperienza live approfittate dell’imminente tour.

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Camera D’Ascolto – Figli della Crisi… di Nervi

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Dalle ceneri del progetto Never Rock Out nascono i Camera d’Ascolto, quartetto milanese pieno di energia e tante idee. Il nome, così come la copertina del disco, è ispirato alle opere del pittore surrealista Magritte. Se la copertina, che propone una versione vagamente Grunge de la Grande Guerra, non è particolarmente attraente, la scelta del nome è sicuramente più calzante. La camera d’ascolto è infatti, maccheronicamente parlando, il tentativo dell’autore di rendere visibile il suono, o meglio la sua capacità di propagarsi e riempire lo spazio.

Un quadro che chiama in causa il senso dell’udito è una bella sfida e Figli della Crisi…di Nervi è per certi versi un album con parecchie sfide, sperimentazioni e sagaci citazioni a partire da “Orfeo nell’Ade” , dove il mito va in scena attraverso testi ricercati e suoni ben strutturati e incisivi. Passando per il “Matto dell’Imbecille”, che oltre ad essere lo scacco matto più veloce possibile, è un brano ben concepito con il violino che dona carattere e personalità. Senza tralasciare la vivace “Charlie Brown (Operalnero)” con cambi ritmo al limite dell’azzardo. Gli ingredienti, insomma, ci sono tutti e il risultato sono dieci brani giovani e dinamici che spaziano dalle sonorità Punk e Grunge e le distorsioni di “Placebo”, al tormentone spedito e ritmato, che strizza l’occhio ai Green Day e che ti si attacca facilmente all’orecchio “Dieci Minuti (Sotto la Pioggia)”, senza disdegnare la parte melodica e struggente con le ballad “Sofia Scaraltta” e “Laguna”, che mostrano anche delle buone capacità compositive. Se ci aggiungiamo una discreta dose di ironia nei testi e quel giusto pizzico di critica che il Punk richiede, possiamo quasi promuovere il gruppo e augurargli di crescere, perché si sa, la gavetta è lunga ma se la si affronta ben forniti è meglio. Nota di merito per la violinista, senza la quale molti brani non avrebbero lo stesso piglio e esplosività.

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Delsaceleste – Le Orme dei Miei Passi

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Dopo tre anni di pausa e un viaggio ispiratore in Australia, Marco del Santo, in arte Delsaceleste, ritorna sulla scena milanese con un nuovo album intitolato Le Orme dei Miei Passi. Come recita il titolo, l’album si contraddistingue per essere un vero è proprio concept che trae linfa dall’esperienza di Marco in Australia e racconta i suoi passi in un viaggio che ha il punto di partenza in una relazione finita, per poi però attraversare in maniera itinerante le sensazioni e le emozioni che scaturiscono nell’affrontare spazi immensi e dolci solitudini. La storia di Delsaceleste inizia con un breve intro strumentale dal titolo criptico “EK 092”, che subito mette in chiaro le capacità compositive di Marco, ribadite nel secondo pezzo strumentale, terzo per posizione, “Pensieri in Volo”, che rappresenta anche uno dei momenti migliori dell’album, un classico andante in cui un leggero ed emotivo pianoforte chiacchiera amabilmente con un corposo violino, forse un po’ lungo ma veramente godibile. L’album si divide a grandi linee in due macro momenti, il primo dal sapore retrò con arrangiamenti e ritmi che richiamano gli anni 60, ed evocano paesaggi lontani e sbiaditi dal sole come in “Spazi Immensi” e “Dolce Solitudine”.

Il momento di svolta verso il secondo momento inizia con il brano “Ombre”, ma viene sancito con “Soltanto Polvere” ritmata con una batteria più incisiva e meno pacifica. I suoni  si incupiscono lievemente e la voce si dilatata come in “Le Orme dei Miei Passi” ponendo l’accento sul senso di smarrimento e il lato oscuro, che però prima dei “Titoli di Coda” si dissolve come una leggera nebbia per lasciare spazio ad un meritato lieto fine e a un sé ritrovato e più consapevole. Le Ombre dei Miei Passi è un album che racconta un percorso di evoluzione cui però manca la narrazione dello strazio e della lacerazione a favore di un perdersi e vagare temperato e calmo. I suoni mitigano il necessario dolore per disperderlo negli spazi descritti e la parte testuale non riesce ad essere altrettanto incisiva. Le capacità compositive ci sono e lo dimostrano i tre pezzi strumentali, che paradossalmente riescono a comunicare meglio delle parole. L’ascolto è piacevole e scorre senza intoppi ma al tempo stesso non rimane impresso e scivola via..

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Aa. Vv. – Happy Birthday Grace!

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Ci sono album e musicisti che la bravura e il destino hanno reso immortali, imprimendoli nella memoria e nell’immaginario di molti. Jeff Buckley è sicuramente uno di loro, una vera meteora che ha illuminato per troppo poco la scena musicale mondiale, ma che ha saputo in così breve tempo lasciare un’impronta indelebile nella storia del Rock. Nell’agosto del 1994 usciva il suo capolavoro, Grace; vent’anni dopo, lo studio di registrazione QB Music di Milano, pubblica in free download una compilation che ne celebra il ricordo. Parlare di semplice tributo non è corretto perché il lavoro di reinterpretazione e omaggio alle dieci tracce che compongono Grace va aldilà della semplice “coverizzazione” dei brani. Gli artisti presenti hanno saputo, grazie alle sapienti mani dello studio, creare qualcosa di veramente nuovo e non scontato, basando il lavoro su una forte ricerca dei suoni e degli arrangiamenti, portando le melodie di Grace negli anni 2000 attraverso la New Wave, il Funk, l’Elettro Pop e le sperimentazioni musicali. Capita spesso che le reinterpretazioni e i tributi, nella ricerca dell’omaggio perfetto a tutti i costi, inciampino nella miope rete dell’emulazione e finiscano per essere solo delle brutte versioni dell’originale. QB Music e gli artisti coinvolti sono riusciti invece a trovare il giusto equilibrio e mix  tra la versione originale e le diverse personalità degli interpreti che si susseguono, offrendo un punto di vista differente e tratti irriverente e un po’ impudente. Così ci si ritrova ad ascoltare “Mojo Pin” in versione New Spleen Wave, dove la carica interpretativa di Buckley viene resa materiale dai synth effettati degli Starcontrol; una veloce e ritmata “Grace” “groovizzata” grazie alla sorprendente voce ed energia di Naima Faraò dei The Black Beat Movement.

Tra le dieci tracce ce ne sono due che si contraddistinguono per intensità e sperimentazione, anche se lo fanno muovendosi su territori ben distinti e sono la scura “So Real” in cui i Two Fates, attraverso un tappeto di suoni sintetici, attualizzano il senso claustrofobico e di angoscia affidati a basso e batteria  nell’originale, e “Corpus Christi Carol“ solenne e celestiale che si trasforma in terrena e quasi tribale grazie alla ritmica dei piatti e dei tamburi dello Zenergy Trio. Due interpretazioni altrettanto interessanti e ricche di emozioni sono quella di “Lilac Wine” che diviene un blues scarno e graffiante con la sensibilità di Sergio Arturo Calonero, e dell’immortale “Hallelujah”, uno dei compiti più ardui, che gli Io?Drama superano brillantemente grazie alle grandi capacità vocali di Fabrizio Pollio e al violino di Vito Gatto. Happy Birthday Grace! È un lavoro curato,  bello da ascoltare, cha valorizza gli artisti che vi hanno partecipato e rende omaggio alla grande musica e alle capacità interpretative di Jeff Buckley con altrettanta qualità, sempre con la giusta consapevolezza del confine tra imitazione e tributo.

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