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Mondo Naif – Essere Sotterraneo

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Essere sotterraneo” è  l’opus primo dei Mondo Naif, selvaggia band del trevigiano, perfetta per sbarazzarvi dello stress provocato dai vostri boss o per rimediare alla sempre minore libido sonica della vostra ragazza. Fra echi desertici, miraggi, allucinazioni a loud  stellari e ascolti ripetuti di Marlene Kuntz, Verdena “Eloise” e divinità anni Novanta come i Ritmo TribaleCome me”, “Violenta” il trio snocciola senza ritegno alcuno undici fendenti caotici della miglior dottrina stoner “lunaire” che ci possa essere ancora in giro da qualche parte.

Non hanno tutti i torti i critici del nuovo tormentato corso dei gruppi che ruotano ancora intorno alla figura centrale di questo genere, ed è un corso di chi ama ora o amato fortemente nel passato i bagordi elettrici e bui del suo sistema trasmissivo sonico, fatto sta che è innegabile che sia un “mega dettaglio” che ha sconvolto – tra piacere e dolore – la scena rock mondiale e che band come i nostri veneti ancora ci facciano linciare pelle e udito con la passione di chi il rock lo vive veramente dal basso e non su carta patinata.

E’ un buon esempio di qualità e pathos sacrificale, un disco che esalta – sebbene dalla sua provenienza nei reconditi pertugi dell’underground – grandi manovre stilistiche, tremendamente incisivo e promettente, pronto a ruggire sui grandi e medi palchi dell’attenzione con dolcezza inaspettata come il vento dell’Ovest delle ballate grunge intimiste “Aiutami, sono un ladro”, con lo slancio rivoluzionario dei RefusedLa terra trema”, a fondo nei sulfurei e neri sanguinamenti dei The TheDeuteria, vol. II”, un piccolo diversivo nel punkyes stile Bay Area “Mario”, nei Baton Rouge tra puttane e woodoo alcolici “Boblaito” ed una corsa tra i deliri Tarantiniani’N’roll per perdersi oltre in deserto di Sonora, fra pace, santità e maledizioni a go-go “Y fire”.
Mondo Naif consegna intatta la rabbia vogliosa –  in fondo –  di una libidine mai circoscritta, di una forza magnetica che è “maitre a penser” in un panorama giovane rinsecchito, un’energia polvere e sudore grandiosa in mezzo a tanti prodotti senz’anima. Provare per credere.

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The PotT – To those the eyes of god

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To Those In The Eyes Of  God” è il primo passo ufficiale della band torinese The PotT, ed è tutto meno che esizialeità creativa, anzi una rinnovata forza e una ritemprata maledizione con direzione i neri contorsionismi dello stoner, di quello poco rassicurante, specie poi quando la band lo inietta di una soluzione elettro che fa tanto noise avveniristico, del tipo soundtrack per metropoli disperate ed in preda ad allucinazioni collettive.

La band mette in pista un articolato corredo di deliri, angosce ed un paludoso stato comatoso da cui s’intravedono tanti mondi e qualche fondamentalismo come fonte di ispirazione dentro una tracklist che non alleggerisce mai la sua corsa verso gli inferi doloranti, un disco emaciato e pieno di lividi formidabili, la giusta colonna sonora piena di ombre che potrebbe devastare l’inquietudine di un ascolto sopra le righe; un disco dal passo pesante, dall’umore darkeggiante e dal sangue stratificato, amaro e nero come la pece, un limbo dove rotolano ossesse le carnalità degli APC come le rivelazioni mistiche dei Tool a fortificare l’intenzione primaria di questa formazione a disintegrare l’esistente ed eccessivo cromatismo stilistico che il genere, ahimè, sta prendendo.

Potenzialmente il registrato mostra numeri importanti, arrangiamenti ricchi e ambiziosi il giusto, musica che deflagra appena viene immessa nel circuito uditivo, romantica come un calcio nei testicoli, di rara perfezione informale “Showing muscle” e perfettamente “residence” nei territori acri, devitalizzati e psich dei deserti dell’anima “Prison of social conformity”, “Sick”; tutto quello che impazzisce nel corpo sonoro dell’album è rischiarato da un sole pallido, malaticcio, da quel malessere amplificato e distorto che si sovrappone in una micidiale proposta vincente, rifferama ed elettronica da pelo e contropelo, poetica empirica e Dei  da bestemmiare si accoppiano come in una lussuriosa prova d’amore.

Buoni gli asimmetrismi robotici “In this hole”, le distonie pompanti di “Alice”, beato il noir del siparietto lullaby che si apre su “SBV”, un insieme di nove fiamme premonitrici che si abbattono contro un ascolto contemporaneo ed ai bordi della notte; la Sinusite Records – al contrario del moniker – ha buon fiuto, e questi The PotT ci mandano a dire che – se anche in queste canzoni ci sia più luce dello stoner consueto – non vuol dire minimamente che il fuoco sacro dell’inferno sia spento.

Piccolo gioiello sciamanico, specie nella ghost track!

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