Vincenzo Scillia Tag Archive

Cadaveria/Necrodeath – Mondoscuro

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Unire due leggende non capita spesso e quella volta che si verifica l’occasione, chiaramente, non bisogna farsela sfuggire. Ebbene, Cadaveria e i Necrodeath, che sono due pilastri della musica estrema tricolore, uniscono le forze per creare uno split album davvero avvincente: Mondoscuro. Iniziamo col dire che i due gruppi sono prima di tutto grandi amici, infatti, Flegias, singer dei Necrodeath, è anche il batterista dei Cadaveria  e con quest’ultima, fino a poco tempo fa ha fatto parte anche Killer Bob che a sua volta proveniva dai Necrodeath. Come dicevamo, vediamo i due pilastri italiani uniti per un mini disco che vede tracce inedite e cover, la particolarità è sentire pezzi di un gruppo cantato e suonato dall’altro. Uno scambio di stile o la sperimentazione di ascoltare il proprio pezzo sotto un altro aspetto? Dipende dai punti di vista, fatto sta che ascoltare “Mater Tenebrarum” (dei Necrodeath dal disco Into The Macabre de 1987) in chiave Cadaveria è un qualcosa di favoloso, la traccia assume un aspetto oscuro, quasi demoniaco. “Spell” (di Cadaveria dal disco The Shadows’ Madame del 2002) invece, suonata dai Necrodeath,  cambia un po’ forma, nel senso che la velocità del gruppo e i giri di chitarra la rendono davvero alternativa. Insomma, questo primo step di scambi è riuscito alla grande da entrambi le parti. Veniamo adesso ai pezzi inediti. La prima che ascoltiamo è “Dominion Of Pain” di Cadaveria. Cominciamo a dire che la nostra dama oscura ha la capacità di saper mutare, nel senso, che riesce sempre a  ad evolvere il suo sound, lo ha fatto con i suoi dischi e lo ha fatto anche in questa traccia, deliziandoci con un cantato aggressivo che si sovrappone ad uno più tetro, il tutto su una base Thrash Metal. “Rise Above” dei Necrodeath va un po’ fuori dai canoni della band, troviamo innanzitutto un duetto con Cadaveria ed è infine un pezzo cantato sia in inglese che in italiano, ad ogni modo anche qui parliamo di una traccia ben riuscita. La piccola operetta si chiude con due cover: la prima è “Christian Woman” dei Type O Negative eseguita da Cadaveria. Il fascino della traccia  sta nel cantato della caparbia artista, la sua voce che va dal cupo al demoniaco da un valore in più al pezzo che già di suo è spettacolare. Chiudiamo lo split con una grande prova artistica eseguita dai Necrodeath. La band infatti, chiude in bellezza presentando una particolare versione di “Helter Skelter” dei Beatles. Con questo pezzo la band si supera decisamente, propone una versione decisamente alternativa che a dirla tutta con il loro stile acquista un altro tipo di fascino. Insomma, Mondoscuro è un lavoro decisamente ben riuscito e onestamente, era scontato perche’ a suonare e a mettersi in gioco sono due pilastri italiani che hanno davvero l’ arte nel sangue.

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Daniel Lioneye – Vol. III

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Siamo giunti al terzo disco di Daniel Lioneye, chitarrista dei talentuosi HIM e mente di riff e assoli a dir poco sbalorditivi che senza esagerare fanno gola a tantissimi musicisti di alto livello della scena Hard Rock ed Heavy Metal internazionale. Purtroppo in molti lo conoscono, come già detto, perchè si tratta di uno dei pilastri della tanta amata/odiata band finnica, creatrice addirittura di un genere quale il Love Metal. In pochi sanno però che Mikko “Linde” Lindstrom, ovvero  Daniel Lioneye, ha un suo progetto nato nel 2001 con alle spalle altri due lavori.

La band di Lioneye è composta da altri due membri degli HIM: Migè Amour al basso ed Emerson Burton alle tastiere. Attualmente alla batteria troviamo Seppo Tarvainen dei The Stourger che va a sostituire Bolton degli Enochian Crescent.
Vol. III è un disco che come il precedente ti spiazza perchè comprendi a fondo le potenzialità di determinati artisti. Con questo lavoro non si tratta di cogliere l’ efficienza tecnica dei musicisti, bensì l’inventiva, il gusto musicale, la raffinatezza culturale e la capacità di assemblare generi più “duri”. Vol. III spazia dallo Stoner alla Psichedelia fino a toccare sonorità Black Metal, insomma tipi di musica differenti rispetto alla band madre che si occupa, invece, di un genere dalle tinte cupe, rockeggianti ed oscure. Ci si accorge dell’ottimo prodotto ascoltando tracce come “Break It Or Heal It”, che vanta di massicci riff e giri di chitarra, oppure la possente “Aetherside”, dove lo Stoner è predominante (gli Electric Wizard impazzirebbero per un pezzo di questo tipo). “Licence To Defile” ricorda un po’ l’andazzo del disco precedente solo che questa volta l’accurato lavoro delle tastiere fa la differenza rendendo il pezzo sinistro. “Dancing With The Dead” si posiziona tra le tracce più riuscite: ha un mood cupo dovuto al buon gioco delle tastiere di Burton, i massicci giri di chitarra presenti che vanno poi a comporre un interessante ritornello rendono il pezzo formidabile e il cantato di Mr. Lioneye da un tocco di fascino in più. “Neolitic Way”, già presente in Vol. II, qui è riproposta in una versione più pesante e pulita.

Questo Vol. III è un album di ottima qualità, dove non solo la musica suscita interesse ma anche i testi scritti da Mige Amour. Nell’attesa di riascoltare gli HIM possiamo goderci questo affascinante lavoro di Daniel Lioneye, magari qualche accanito fan di Sua Maestà Infernale potrà deliziarsi con qualcosa di diverso mentre i guru del metallo pesante o i fondamentalisti potranno ricredersi sulla bravura e la genialità di questi musicisti.

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Raphael – Reggae Survival

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È giunto al secondo disco il talentuoso Raphael, confermandosi senza ombra di dubbio uno dei migliori artisti Reggae in circolazione. Di strada ne ha fatta, fin da quanto era membro degli Eazy Skansers, tante per lui le collaborazioni e immensa la passione per questo genere.
Reggae Survival è il suo nuovo disco e piace davvero tanto. È riuscito ad omaggiare il grande Bob Marley lasciando comunque il suo segno. Questo nuovo disco è una piccola perla perchè c’è attenzione ad ogni piccolo dettaglio. È interessante come il suono sia limpido e riesca a scandire ogni piccolo particolare, dal riff all’assolo di chitarra. I diritti sociali restano uno dei punti cardine per quanto riguarda le sue tematiche, infatti, i suoi testi spesso sono delle vere e proprie denunce.

Con questo album e questo artista, la Sugar Cane Records si è guadagnata un’ulteriore occasione d’incassi, non esagerati ma sicuramente discreti.  L’artista italo-nigeriano è una promessa e i suoi album sono una conferma. Reggae Survival va ad inserirsi nella schiera di quei lavori senza compromessi realizzato con impegno ed onestà. Ti accorgi della qualità del disco ascoltando canzoni come “Dread Inna Babylon”, “A Place For me”, “Sweet Motherland” e “Rise Up”. Queste citate sono delle vere perle sia per quanto riguarda il sound che per le tematiche toccate. Insomma, Reggae Survival è un disco che si fa ascoltare con molto piacere senza stancare minimamente. Questo album è la risposta a coloro che considerano il Reggae statico, a coloro che non riescono a cogliere le sottigliezze e le sfumature di questo incredibile genere.

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Witches Of Doom – Deadlights

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Ebbene, anche i Witches Of Doom giungono al loro secondo album intitolato Deadlights. La band, che miscela lo stile di colossi come Type O Negative, Rob Zombie e Paradise Lost, torna in scena con un disco che li definisce una volta per tutte. Se con Obey, il disco d’esordio, hanno dato buona impressione, con questo nuovo lavoro danno la conferma d’esser, prima che dei buoni musicisti, dei bravi artisti.

Deadlights è un disco che spazia dal Doom, al Gothic con venature Stoner. Parliamo di un album che può essere ascoltato in svariati momenti, ma è anche un lavoro che vanta di tracce che potrebbero fare da colonna sonora a qualche film di Tarantino o dello stesso Rob ZombieDeadlights ispira sofferenza ma anche rabbia e carica, puoi trovarti in un periodo triste o in uno più movimentato, va bene lo stesso. In questo disco è interessante l’uso delle tastiere e degli effetti, questi ultimi sicuramente più utilizzati rispetto al precedente album. È chiaro che i Witches Of Doom con questo nuovo lavoro segnano la loro maturazione. Certo, non è un capolavoro ma è un disco che si difende abbastanza bene e si inserisce senza dubbio tra uno dei lavori più interessanti dell’anno.
“Lizard Tongue”, primo singolo, ti travolge con i suoi effetti creati dalle tastiere e con i mastodontici giri di chitarra di Venditti. “Run With The Wolf” con la sua composizione piano-forte è trascinante non solo per la buona melodia ma anche per il cantato di Piludu chiaramente inspirato da Peter Steele. Passiamo direttamente a “Winter Coming”, tetra ed oscura, anche qui c’è un buon gioco delle tastiere mescolate all’ottima voce di Piludu. “Homeless” e “Black Vodoo Girl” mettono in mostra la vena Stoner e Doom del gruppo. Chiudiamo citando “I Don’t want to be a Star”, la traccia più calma del platter, dal sound pulito e melodico, anche qui un ottima prova di Piludu.

Deadlights è un disco onesto, nel senso che riesce ad omaggiare grandi nomi del Goth e del Doom ma con un evidente personalità.

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King of Stoned vol.2 @ Cellar Theory, Napoli 30/04/2016

Written by Live Report

Sabato 30 Aprile è stata una serata all’insegna dello Stoner al Cellar Theory di Napoli. Possiamo dire che è stato quasi tutto perfetto, dalle band all’atmosfera. Prima di parlare dell’evento, delle fantastiche band e della magnifica atmosfera, è doveroso spendere due parole per l’organizzazione che ha avuto il coraggio di mettere su uno show del genere, i Cattivi Guagliuni,  che già da un po’ di tempo punta su diversi locali partenopei, proponendo ciò che molti non si azzarderebbero a fare.

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Anche questa volta ci propongono un delizioso show degno di nota: il King Of Stoned Fest Vol.2. I gruppi protagonisti sono cinque: Lee Van Cleff, Tuna De Tierra, Teverts, Diana Spencer Grave Explosion e i possenti Kayleth. Mio malgrado, a causa di diversi intoppi non sono riuscito ad ascoltare i Lee Van Cleff e i Tuna De Tierra, sono arrivato al locale intorno la mezzanotte, giusto due minuti prima che cominciassero a suonare i Teverts. Premetto che mi ritrovo in un ambiente carico, con un pubblico colmo di adrenalina e voglioso di divertirsi. La band di Phil e soci si presta a suonare, in questo show, tutto il loro ultimo disco, intitolato Towards The Red Skies.  I Teverts sono un gruppo  con  la testa sulle spalle, sanno ciò che fanno, dunque sanno come divertire, e con “Control” e “The Sanctuary” mettono in ginocchio un locale. “Charles Dexter Ward” ti teletrasporta in un mondo che probabilmente solo uno fatto di allucinogeni può comprendere, mentre con “Shine” ci si scuote e si tira avanti a ritmo di riff. Finisce lo show, passano circa dieci minuti, il tempo di una sigaretta e si sentono le sinistre atmosfere create dai Diana Spencer Grave Explosion. La band proveniente da Bari propone uno Stoner che si mescola ad atmosfere elettroniche e sinistre. Anche loro, come la band che li ha preceduti, suonano per intero il loro EP d’ esordio, 0. La band dimostra di saper tenere il palco, sulle note di “Space Cake” si percepisce la bravura tecnica dei ragazzi, sia per l’ uso delle chitarre che degli effetti. Con “Long Death To The Horizon” ci sono momenti calmi ed altri più aggressivi, anche qui c’è uno strepitoso uso delle chitarre che in sede live fa un grande effetto. “Avalanche” invece, rispetto alle altre due tracce, ha delle atmosfere più marcate. Ascoltata ad occhi chiusi in compagnia di una birra ed una sigaretta riesce ad essere magica. Ci dirigiamo verso la fine del mini festival, si prepara il palco per l’ultimo gruppo: gli attesissimi Kayleth. La band è carica, pregna di grinta e desiderosa di scatenare il Cellar Theory. Tutti i pezzi suonati dal gruppo hanno suscitato forti emozioni, per ragioni di tempo si è scelto di suonare pezzi di Space Muffin e The Survivor ed onestamente ci sono un po rimasto nel non essermi trovato qualche traccia di Rusty Gold. Ad ogni modo i Kayleth non si smentiscono affatto, presentano uno show degno di nota che avrebbe fatto gola perfino agli Orange Goblin. “Mountains” definisce un po lo stile attuale del gruppo, questa canzone dal vivo fa venire la pelle d’ oca con i suoi possenti giri di chitarra. “The Survivor” è un’ altra traccia che ti fa scuotere, il gioco di luci ha aggiunto un tocco di classe non indifferente. Su “Swamp Lovers” il pubblico comincia a spintonarsi e a proporre la sua danza rabbiosa a base di spintoni e spallate. L’apice si è raggiunto con la fantastica “Secret Place”, una traccia possente dall’atmosfera baritonale. Insomma, questo secondo King Of Stoned Fest è stato un grande successo, un evento coi fiocchi che ha accontentato molti fan del genere.

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Acinideva – Fuori dall’Eden

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Ecco un disco che è davvero degno di nota, un lavoro che ti spiazza soprattutto se si considera la casa discografica, la Nadir Music che solitamente tratta di generi più estremi. Il disco in questione è Fuori dall’Eden, composto dai genovesi Acinideva. Un ottimo prodotto Rock dall’ impronta cantautorale che riesce ad emozionare con i suoi riff e i suoi testi riflessivi i quali si indirizzano su tematiche sociali e sul genere umano in generale. Fuori dall’Eden è un disco di dieci tracce, ognuna con qualcosa da raccontare e far provare. Questo disco vanta di un sound roccioso ed elettronico fatto a pennello, non ci si stanca mai di ascoltarlo e la voce di Alessandro Ottaviani è un vero portento. Parliamo di un gruppo che potrebbe camminare a braccetto con i più affermati, come il Teatro degli Orrori, Johnny FreakMarlene Kuntz Massimo Volume.

Il platter si apre con “Eva” una canzone che ha la giusta dose di potenza e dolcezza con il basso di Loris Andreotti che fa davvero la differenza. Con la successiva “Norwegian Suite” si comincia a sentire la vena nervosa della band. “Lampedusa” mette in mostra le possenti chitarre di Fabio Cloud e Tommaso Piana: riff taglienti e nevrotici giri di chitarra il tutto condito con l’ottima prestazione di Ottaviani. Il brano già presagiva il successivo divampare dell’ incendio di fronte l’ incapacità dei governi europei di affrontare la questione. “Il Cantico dei Cantici” è il momento di pausa del disco; questa traccia per la maggior parte del tempo è dominata dalle prestazioni cantautoriali di Alessandro Ottaviani.  Si riparte a razzo con “Ossigeno”, altra traccia di ottima fattura che presenta rocciosi riff. “Arbeit Macht Frei” è un’altra canzone particolare, melodica e movimentata.

Le ultime canzoni da citare obbligatoriamente sono “L’Inganno” e la conclusiva “Prima del Bacio (Tra Paolo e Francesca)”, la prima forte e di un certo impatto e la seconda invece calma; quest’ultima assomiglia quasi ad una ninnananna, la giusta canzone per addormentarsi lievemente e scappare in un altro mondo sognando una realtà migliore.

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Negrita @ Casa della Musica (NA) 17/3/2016

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Carica, grinta ed emozione. I Negrita tornano a Napoli dopo quattro anni e questa volta salgono sul palco della Casa della Musica. Le sensazioni sono tante sia da parte della band che da parte del pubblico che l’ ha accolta. Il 17  Marzo è stato un giorno memorabile per i fan napoletani di Pau e soci. Il concerto dei Negrita comincia in tempo, la scaletta è vasta, si va dai grandi pezzi che hanno visto nascere il gruppo, alle loro hit del momento. Alle 21:30 Pau e soci sono pronti per scatenare l’ inferno, “Ehi Negrita” apre le danze, e il pubblico è già caldo e desideroso di scatenarsi  con la musica della band. Le danze continuano con “War” e “Negativo”, anche queste cariche e movimentate. La terza canzone dello show è la suprema “In Ogni Atomo”, amata da tutti e dunque cantata da tutti. “Poser” è la canzone che divide chi appare da chi invece è; anche questa cantata con la gioia nel cuore. E’ il momento di “Fuori Controllo”, una delle canzoni più riuscite del concerto, la traccia che ha riempito di carica e adrenalina i fan della band.  Subito dopo parte, “Il Gioco”, uno degli ultimi singoli dei Negrita, che, a modo suo, è riuscito a divertire. Arriviamo a “Bambole”, altro grande pezzo, che, detto onestamente, nella versione live suscita davvero emozioni indescrivibili. Con “Hollywood” si chiude la prima parte del concerto, Pau e soci si recano dietro le quinte per ricaricarsi un po’, dopodiché si riparte nuovamente alla grande con un’ altra bellissima canzone: “Radio Conga”, anche questa cantata da tutti.  E’ il momento di danzare e pensare a città calde, pensare al sole, al mare, alla spiaggia con “Rotolando Verso Sud” e lasciarsi trasportare dalle note dei ragazzi. Con “Alzati Teresa” i Negrita dedicano la canzone ad una loro amica che fortunatamente si è ripresa; le possenti chitarre di questa canzone, ad ogni modo, hanno fatto vibrare la Casa Della Musica. Altra grande canzone che fa scuotere il pubblico di Pau e soci è “A Modo Mio”, con questa si vedono ragazzi saltare, ballare e scatenarsi, un vero inno alla baldoria. Lo show si chiude con tre pezzi che hanno fatto la storia: “Cambio”, “Transalcolico”  e la grintosa “Mama Maè”, quest’ ultima quella che saluta Napoli. Questo concerto dei Negrita è stato impeccabile, c’è stato di tutto: divertimento, emozioni e riflessioni. Chi non era presente si è perso un fantastico show.

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Hell in the Club – Shadow of the Monster

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Siamo giunti al terzo disco degli Hell in the Club, un gruppo che ha dimostrato di far parte di una solida realtà, un gruppo che può far sognare la scoperta di nuovi pilastri dell’ Hard Rock. La band trova una sua personalità, dunque, un proprio stile che si differenzia notevolmente dagli altri.  Shadow of the Monster è il loro terzo disco ed è una sorta di consacrazione per Davide Moras e soci. Parliamo di un disco genuino che si lascia ascoltare anche più di una volta consecutivamente. Questo platter ha la capacità di trascinarti, farti scuotere e ballare a suon di Rock’n’Roll. AC/DC, Hanoi Rocks, L. A. Guns, Mr. Big e Steel Panther, sono le icone che hanno influenzato i ragazzi; d’ altro canto, gli Hell in the Club hanno bene appreso la lezione di questi maestri. Il prodotto sfornato è invidiabile:  c’è una canzone per riflettere, un’altra per scatenarsi e un’altra ancora per darsi al libero sfogo, insomma un disco dalle svariate emozioni e sensazioni. Un aspetto che va evidenziato è la scelta di spingersi su fronti che strizzano l’ occhio al Southern; infatti, si nota facilmente che il suono delle chitarre è più pomposo, rude e a tratti roccioso. Shadow of the Monster è un disco che una volta per tutte delinea il marchio del gruppo, nel senso che si differenzia e si fa riconoscere tra migliaia di dischi Hard Rock. Gli Hell in the Club sono un gruppo che sta prendendo il volo, hanno le carte in regola per aver un discreto successo in ambito Hard Rock. Non solo buoni dischi ma anche ottime prestazioni live nonché sceniche. Insomma si tratta di una band che si impegna e ci mette veramente il cuore in quello che fa.

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Sadist – Hyaena

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Non c’è bisogno di presentare i Sadist, loro sono un pezzo di storia della musica estrema italiana. Proprio la band di Trevor e soci è quella che con molta probabilità ha, in Italia, più discepoli di tutti se confrontati attualmente agli altri pilastri connazionali. I Sadist nel bene o nel male ad ogni loro uscita sono sempre riusciti a sbalordire, nel senso che ogni loro nuovo disco aveva qualche particolare che si faceva notare. Adesso, con Hyaena, disco che esce a distanza di cinque anni dall ottimo Season in Silence, si vanno a toccare sonorità tribali che chiaramente riconducono ad etnie africane. Interessante il passaggio fatto dal disco precedente a questo protagonista della nostra recensione: Season in Silence era un disco freddo che lasciava intenderlo da tutto e per tutto, dalla copertina al sound; Hyaena invece è trasportato da un sound con diverse sfumature, che sono particolari sottigliezze che si rifanno ai popoli Africani. Senza troppo distoglierci su vaneggianti particolari, la base rimane chiaramente quel Progressive Death Metal made in Sadist: la voce di Trevor è inconfondibile come gli stessi possenti giri di chitarra di Mr. Talamanca. Questo nuovo disco è stato registrato presso gli studi della Nadir, ed anche il lavoro svolto per quest’altra fase è più che soddisfacente. Tracce da citare sono l’opener, intitolata “The Lonely Mountain”, un discreto biglietto da visita che mette insieme un po tutte le caratteristiche del disco. Un’ altra traccia da menzionare obbligatoriamente è “Bouki” che vanta un ottimo gioco delle tastiere, il fiore all’ occhiello della canzone. Passiamo alla successiva “The Devil Riding the Evil Steed”, che vanta, come la precedente, un ottimo uso delle tastiere ma anche un cambio di tonalità di Trevor che rende la canzone sinistra, insieme al cantato di un probabile “indigeno”. “Gadawan Kura” è la canzone molto più “morbida” del disco, dai riff melodici e dal suono più mieloso rispetto alle altre; si tratta di una traccia strumentale della durata di poco più tre minuti, insomma una piacevole pausa del platter. Si riparte con “Eternal Enemies”, una canzone che alterna momenti forti con altri più deboli; in questo caso il momento forte è il Death Metal del gruppo e la parte debole le sottili strumentazioni africane. Hyaena è un album in puro stile Sadist, dunque ha un marchio di fabbrica che fa comunque la differenza. Un’altra buona prova per Trevor e soci.

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Top 3 Italia 2015 – le classifiche dei redattori

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I tre migliori dischi italiani di quest’anno secondo ognuno dei collaboratori di Rockambula.
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Red Riot + Sick’n’Beautiful

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Una notte all’ insegna del divertimento quella di giovedì 3 Dicembre. Sul palco dell’ Hades si esibiscono due straordinarie band con stili e caratteristiche differenti ma entrambe con la voglia di scatenarsi e divertirsi. Lo show comincia intorno le 23:15 e ad aprire le danze sono i Red Riot. La band, che definisce il proprio stile Metal’N’ Roll, propone uno show grintoso fatto di riff, poghi ed headbanging. La loro musica effettivamente è davvero movimentata ed emana rabbia. I ragazzi sanno tenere il palco: si muovo a ritmo, interloquiscono con il pubblico, sanno insomma come mantenere l’ attenzione.  Nella scaletta da loro suonata i pezzi che hanno fatto la differenza sono: “Squealers”, “Fight” e “Red Riot”, quest’ ultima eseguita in chiusura. Su tutte le loro canzoni si è percepita la forza dei ragazzi, ma è su queste che hanno dato prova di gran talento. L’ esibizione dei Rocker dura circa tre quarti d’ ora, lasciano il palco fieri e soddisfatti. Cala il sipario, si prepara il palco per i prossimi artisti che provengono da Roma.  Mi ritrovo così in una piccola pausa in cui fumare un paio di sigarette e scambiare quattro chiacchiere con alcuni presenti.  Si sente la possente batteria di Valentina “Evey” Sollazzo, i Sick’n’Beautiful sono pronti, gli attesissimi della serata stanno per iniziare. Sul palco ci sono cinque ragazzi vestiti da guerrieri cyber dello spazio. La loro storia infatti tratta di alieni ed astronavi. Il loro stile di musica si avvicina a quello di Rob Zombie, Nine Inch Nails, Garbage e  Kiss, dunque si tratta di un sound melodico ma nervoso. La loro esibizione merita un inchino; non solo hanno proposto buona musica ma sono stati cordiali con il pubblico napoletano ed hanno interagito con loro. Per fare un esempio: la discesa dal palco di Marco “Rev C2” Cattaneo per andare in mezzo ai partecipanti durante l’ esibizione e suonare la chitarra tra loro è stata una scena molto simpatica; si è inoltre prestato a fare foto e a scherzare. La scaletta è stata abbastanza esaustiva: né troppo lunga e neanche troppo corta, il giusto per rendere appetitoso lo show e non stancare. I Sick’n’Beautiful hanno sfornato delle vere chicche e senza ombra di dubbio il meglio si è sentito con “Radio Siren” e “Sick To Tehe Bone”, in cui troviamo una Greta “Herma” Di Iacovo sbalorditiva. Ottima prova anche per quanto riguarda “New Witch 666” e  la pacchiana “Queen Of Heartbreakers”, quest’ ultima dedica alle fanciulle presenti all’ Hades in quella serata. Infine, i grintosi romani hanno sfoggiato a metà concerto una cover di Katy Perry e una dei Kiss in chiusura; “E.T.” di Katy Perry è stata molto sensuale, la voce di Herma è fantastica mentre “I Was Made for Loving You” dei Kiss è stato un onorevole saluto che i ragazzi hanno fatto. Per non tirarle troppo sulle lunghe questa data organizzata dalla Live To Rock è stata un vero successo: il pubblico era presente, i gruppi ci sapevano fare ed il divertimento era assicurato.

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Coraxo – Neptune

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Coraxo nascono nel 2013 e provengono dalla fredda Finlandia. I membri che ne fanno parte sono: Tomi Toimonen, Ville Kokko e Ville Vistbacka. Tutti e tre i ragazzi hanno una formazione ed uno stampo totalmente differente tra loro, e vi accorgerete di questa particolarità proprio grazie a Neptune, il disco d’ esordio registrato presso il Raivio Sound, mentre i processi di masterizzazione sono a cura di Dan Swano, che a dirla tutta ha svolto un ottimo lavoro data la qualità del suono.  Neptune è un disco che cattura l’attenzione grazie alle sue svariate sfumature: un po’ Heavy, un po’ Prog e un po’ Blues; a volte è possibile cogliere anche delle sfumature Folk, ma il minimo comune denominatore rimane sempre il genere Melodic Death Metal. È interessante come questo disco riesca a metterei di buonumore; in certi momenti pare che addirittura ti spinga a danzare e a muoverti sulle note di alcune sue canzoni. Non è un apice, questo è chiaro, ma è comunque un lavoro simpatico che è riuscito, prima di tutto, a mettere d’ accordo tutti i musicisti, sia per i loro gusti che per le loro capacità. In seconda battuta Neptune è riuscito a conciliare sonorità che difficilmente riescono a trovare una sintonia tra loro. Insomma, per i Coraxo è un buon inizio, questa prima fatica è sicuramente un discreto biglietto da visita. Con molta sincerità non riesco ad immaginare un futuro per questi ragazzi, è difficile anche orientarsi sul sound. Personalmente penso che meritino una piccola attenzione.

 

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