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Sula Ventrebianco – Via la faccia

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Ufficializzano la loro forma sonora nel nuovo disco “Via la faccia” i napoletani Sula Ventrebianco ed è subito da dire che il disco necessita di diversi ascolti prima di mostrarsi nella sua intera bellezza forsennata, quando quel vortice di corrente elettrica e parole deborda in tutta l’urgenza che abbisogna. La band dimensiona una sensibilità digrignante e complessamente dolceamara, una estasiante forma epilettica di suoni e riff che tra fremiti, spigoli e istinti tira fuori il meglio di sé, spurga il necessario equilibrio per stare alla larga dalle radicali omologazioni e per entrare nell’immaginario collettivo, e quello che poi rimane di questa magia distorta  è interamente in balia di una discontinua tensione viscerale che abbellisce lo spirito.

Impostato per sempre in presa diretta, il disco mette tanta sensualità di maturazione all’aria, tracce capace di trascinare gli ascolti in un limbo inafferrabile, un fumoso ed elettrico istinto Brechtiano che sguazza lungo la dorsale della tracklist, un senso morfologico di atmosfere e sperimentazioni perfette per staccare con le dinamiche sterili di certo rock stagionato e finalmente abbracciare le digressioni dell’arte amplificata; undici proiettili che non smorzano un secondo la loro potenza indirizzata, tastiere, archi e sintethismi programmati fanno da contro altare a istintività hard rock, ma sussistono anche “terre franche” di melodia che nella ZampaglionescaRun up” o nelle ondulazioni mediterranee di “Erosa” e “Via la faccia” (quest’ultima con un sussulto corale di violini fantastico) trovano esistenzialità da riguardare, ma sono, appunto, sporadiche terre franche in cui il moto elettrico dei Sula riprende fiato e cuore, poi la tensione riprende vita.

La cupezza di base – mutuata dalle drammaturgie rock d’appannaggio  Capovilla e Soci (Il Teatro degli Orrori), regge la struttura portante del registrato, intensa nelle fantasticazioni emaciate “Scheletro”, sbavante lungo la Seattle rovente “La peste”, nell’hard-rock “Oca mia” o scorrazzante negli anni Settanta italici dell’istinto aleatorio “Largo al re”, “Ragazza muta”, ed è una struttura sonica fisicamente provata,  che fa di questo disco un’espressione peculiare della ricerca e degli ingranaggi del suonare “a sangue caldo”, senza intercessioni o scorciatoie verso la monotonia imperante.

Da respirare avidamente in ogni sua nota, il disco dei Sula Ventrebianco è senza compromessi, splendidamente essenziale e carico nel contempo al pari di una diavoleria da inchino “Denti”. Immaginifico.

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