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Stelle & Dischi – l’oroscopo di Settembre 2019

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #29.09.2017

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The Black Queen – Fever Daydream

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Greg Puciato è circondato da un alone mistico, ha attorno a se l’aura del miracolato, di colui che ha raggiunto traguardi importanti partendo dal basso, con tenacia e spirito di sacrificio. Nel 2001 ottiene il posto vacante di vocalist nei Dillinger Escape Plan, band di cui era fan, scalzando dal ruolo Sean Ingram dei Coalesce. Insomma, non il primo arrivato. Nel 2014 prese parte al mega-progetto Killer Be Killed, unendo le forze con certi signori che rispondono al nome di Max Cavalera (SepulturaSoulflyNailbomb), Troy Sanders (Mastodon) e Dave Elitch (The Mars Volta). Il risultato fu un disco di brutale Thrash Metal che collocava l’old style nell’epoca moderna. Anche lì Puciato svolse la parte del leone, fungendo da vero perno d’aggancio tra le due ere.

Oggi lo ritroviamo insieme a un nuovo compagno d’armi, Joshua Eustis, già con Telefon Tel Aviv e Nine Inch Nails. Viste le credenziali, le aspettative sono altissime. Fever Daydream è un album dall’atmosfera cupa e greve: la foschia dell’intro “Now, When I’m This” si tramuta prima in ghiaccio con “Ice To Never”, poi in densa oscurità in “The End Where We Start”: tre canzoni in cui emergono prepotenti  i fantasmi di Nine Inch Nails e Depeche Mode. “Secret Scream” è il brano più orecchiabile, con il suo tempo cadenzato e quel chorus che entra in testa immediatamente.
È quasi una missione impossibile scindere una traccia dall’altra, perché questo è un album che va assaporato tutto insieme, come se fosse un’unica grande composizione. Le uniche eccezioni sono “Distanced”, dallo stile simile a quello dei Black Light Burns, il side-project di Wes Borland dei Limp Bizkit, e “That Death Cannot Touch”, con i colpi di rullante rubati ai Fine Young Cannibals di “She Drives Me Crazy” (sentire per credere, il paragone è inevitabile). Mi stuzzica definire l’esordio dei The Black Queen come un disco anni 80 per chi odia gli anni 80. Sicuramente uno dei migliori lavori usciti in questi primi scampoli di 2016.

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Recensioni | novembre 2015

Written by Recensioni

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Max Richter – Sleep   (Modern Classical, Post Minimalist, 2015) 7,5/10

Capolavoro totale per il compositore britannico (lo trovate qui) che confeziona un’opera titanica la quale, anche per la durata che supera le otto ore, vuole essere realizzazione perfetta da assimilarsi durante il sonno. Disco dell’anno, se siete capaci di andare oltre le barriere del Rock e della forma canzone.

Ought – Sun Coming Down (Art Punk, 2015) 7/10

Secondo album eccelso per la band degna erede dei grandi Television. Tra le migliori e più originali formazioni Post Punk di ultima generazione, qui raggiungono il loro apice creativo.

Kathryn Williams – Hypoxia (Folk Pop, 2015) 7/10

Arrivata all’undicesimo album, la cantautrice britannica compone un concept ispirato al romanzo La Campana di Vetro della tormentata poetessa Sylvia Plath. Atmosfere soavi, minimaliste, ma di una notevole intensità. Da ascoltare in solitaria. Consiglio l’esilio su un’isola deserta.

Dhole – Oltre i Confini della Nostra Essenza (Post Hardcore, 2015) 6,5/10

Pregevole incastro di strutture sonore Post Rock e cantato Scream per questo quartetto lodigiano agli esordi, matasse di distorsioni da cui lasciarsi avvolgere mentre le liriche colpiscono violente. Un debutto meritevole di spazio nel consolidato panorama nostrano del genere.

Open Zoe – Pareti Nude (Pop Rock, Post Punk, 2015) 6,5/10

Carico di echi delle esperienze Alt Rock italiane anni 90 il primo disco di questa band veneta, armata di tradizionali basso-batteria-chitarra, a cui si aggiungono pochi tocchi di elettronica e un timbro vocale femminile che conferiscono un gusto catchy e contemporaneo al risultato finale.

Il Mare Verticale – Uno (Alternative Pop, 2015 ) 6,5/10

Non è semplice fare un bel demo. Bisogna essere esaustivi nel saper dar sfoggio di sé e delle proprie abilità compositive, senza strafare e risultare pesanti. E su questo Il Mare Verticale, con Uno, ha saputo davvero fare bene. Il disco apre con “Tokyo”, un brano Alternative Pop delicato, a cavallo tra Afterhours e sonorità Indie nordeuropee, che chiarificano subito timbri e accorgimenti che la faranno da padrone: arrangiamenti mai scontati per quanto perfettamente in stile, liriche (in italiano) trattate più come pretesto fonico che come significanti, atmosfera galleggiante e onirica, che sfocia naturalmente in “Non Luoghi”, con i suoi echi alla Radiohead. “Spuma” è forse la più italiana di tutto il lavoro della band romana, con richiami alla produzione di Benvegnù e Gazzè su tutti. Il disco chiude con “Elaborando”, che, quasi in maniera volutamente descrittiva, si connota in fretta come il brano più complesso tra i cinque, con i suoi ritmi marcati e il sound più cinematografico.

Prehistoric Pigs – Everything Is Good (Instrumental, Stoner, Psych Rock, 2015) 6,5/10

Distorsioni e spazi immensi, sabbiosi e oscuri. Un viaggio interminabile (otto brani per quasi un’ora di musica) tra i più desolati deserti  descritti da un trio non sempre impeccabile e fantasioso, ma che cerca perennemente il suo suono, incastrando la chitarra di Jimi Hendrix nel caldo torrido dell’Arizona. Peccato manchi la voce, avrebbe potuto dare maggior senso e maggiori vibrazioni a questo serpente sporco, vorace e velenosissimo.

La Casa al Mare – This Astro (Dream Pop,  Shoegaze, 2015) 6,5/10

Viene da Roma il terzetto che compone La Casa al Mare, con sonorità che non posso che richiamare subito una certa produzione Pop anni 80: voci indietro sullo sfondo, chiamate a far le veci di un vero e proprio strumento aggiunto, chitarre quasi prepotenti, seppure senza giri virtuosistici, effetti trasognani e riff ariosi e cantabili. This Astro apre con “I Dont’ Want To” che per i primissimi venti secondi sembra richiamare quasi gli Smashing Pumpkins e poi cede il passo allo Shoegaze in “Sunflower” e “M, particolarmente interessante per le aperture armoniche e il trattamento della dinamica. La mia preferita del disco risulta però essere “At All”, che suona come un brano degli Indiessimi Yuck. La costruzione dell’impianto sonoro cambia leggermente in “Tonight or Never”, in cui ogni elemento emerge con una brillantezza che sembrava mancare nelle tracce precedenti. L’EP chiude con “CD girl”, una traccia à la Raveonettes o My Bloody Valentine. Nulla di nuovo dunque, ma neppure qualcosa da cui rifuggire come la peste.

A Copy for Collapse – Waiting For (Electronic Synth Gaze, 2015) 6/10

Interessante duo barese che si muove agevolmente sulla via dei vari Telefon Tel Aviv, Mouse on Mars e The Postal Service. Qualche richiamo alla Dance Music poteva essere evitato. Sound anni 80 per chi non è fanatico degli anni 80.

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