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Small Giant – Now We’Re Gone

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Ai tempi della mia remota adolescenza le primissime scelte musicali che operavo si basavano principalmente, oltre che sul genere, sulla copertina. Sì, quella cosa che tutti oggi chiamano cover per aumentare il proprio livello di figaggine. Una buona cover fa di un ottimo disco un disco eccezionale, lo completa e gli dona quel valore aggiunto che altrimenti non potrebbe ben veicolare la sua fruizione e distribuzione. Non provate neppure a pensare che sia un mero accessorio non facente parte di un disco nella sua totalità: dimostrereste che di musica non ne capite proprio un cazzo. Ben lungi da chi ci legge. Bene, la cover di questo album lo identifica in maniera egregia, e non è roba da poco nel mondo del fai da te di oggi, dove tutti si sentono fotografi o grafici con uno smartphone in mano. L’immagine è quella di una libreria piena di libri e giocattoli (molto ben realizzata) piena di citazioni provenienti dal passato (vi invito a cercarle), un rimando voluto all’età dell’adolescenza che fa da filo conduttore in questo ep di italo dance, così come ama definirla il suo autore Simone Stefanini, già conosciuto ai più per essere il chitarrista dei Verily So, ma che in questa sua escursione solista si presenta come Small Giant. Anche lo pseudonimo da lui scelto è dei migliori, essendo che qualsiasi adolescente si sente un piccolo gigante dentro. Molti anche fra le gambe, ma questa non è sede per dibattiti di tipo freudiano, qui si parla di musica, e di musica continuiamo a parlare.
Questo Now We’Re Gone nasce come vero e proprio tributo ad un certo tipo di musica degli anni ’80 e da subito attira l’attenzione per la sua semplicità e la sua pulizia, dirottando l’ascoltatore più che sulle citazioni, sulle intuizioni e le atmosfere che i brani lasciano traspirare coinvolgendolo nei suoi suoni essenziali ma tiepidi e rassicuranti.

A partire dagli arrangiamenti dei brani, l’album suona compatto e delicato, le sue melodie si intersecano alla perfezione ed esondano (notare il termine esondare, anch’esso reminiscenza delle mie interrogazioni di geografia in piena adolescenza) in un ordinato e ben bilanciato ascolto. Now We’Re Gone si articola molto bene a partire da We Were Fuckers, con il suo sound pacifico, passando per le tastiere frenetiche e la chitarra selvaggia di The Night Apollo Died (Apollo Creed, proprio lui), o alle più introspettive Murakami e The Other MeDivisi, con il suo vocoder ed i suoi suoni fortemente pacifici ci trasporta dritti dritti in una qualsiasi domenica pomeriggio del 1987, mentre è evidente lo struggersi da quindicenne trasportato avanti nel tempo in Another Way to Die. La bonus track, Neverending Story, è proprio quella Neverending Story, colonna sonora della pellicola che un po’ tutti conosciamo e che, nonostante l’ottima realizzazione, sembra a mio parere leggermente troppo ridondante ma tutto sommato azzeccata per completare l’insieme. Il sound del disco nasce da basi elettroniche molto semplici arricchite da tastiere e chitarre molto ben studiate (The Night Apollo Died su tutte) e parti vocali di tutto pregio. Il tutto per merito anche delle ricchissime collaborazioni, come quella di Laura Casiraghi degli Starcontrol, o Davide Lelli dei The Please, per passare aStefania Salvato dei Talk To Me, ad Emanuele Voliani dei Bad Love ExperienceLuigi Cerbone degli Elara, oltre ai due Verily So Marialaura Specchia e Luca Dalpiaz, fino alla più prestigiosa di John Neff dei lynchani Bluebob.
L’album suona quasi come una sperimentazione a tutto tondo dove poter affondare la zanne più del solito e dove anche la sua etichetta, la Fairy Sister, sperimenta la sua stessa esistenza, essendo questa la sua opera prima.
Now We’Re Gone è sicuramente un’ottima prova che lo stesso Stefanini affronta a testa alta, parlando linguaggi a volte diversi dai suoi abituali ma con grande dimestichezza, pronto a mettersi in gioco per divertimento ma anche per cercare un po’ se stesso, proprio come tutti i buoni adolescenti non mancano di fare.

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Talk To Me – A Long Time Waiting EP

Written by Recensioni

Album d’esordio per i Talk To Me questo A Long Time Waiting. Il duo si compone di Stefania alla voce, chitarra e synth e Andrea con chitarra, synth e drum machine. Il risultato è un suono morbido che si diffonde nell’ambiente attraverso le note sostenute del synth che fa da preludio alla voce di Stefania e a quello che ha da raccontare. I sensi si accomodano e la milza comincia a pompare bile che porta a galla ricordi e sensazioni di attimi giacciati, immersioni in un lago ghiacciato, scrivono loro, che stanno lì e non riescono a spostarsi. Quest’album è uno Spleen. Fatto di situazioni immobili, soprattutto d’amore, che girano intorno a se stesse. Ingarbugli mentali. Incomprensioni. Parole non dette. Apatia. La sensazione di essere in un vicolo cieco e volerne uscire assolutamente.

Un concept album con al centro l’amore e gli stalli che genera è qualcosa di notevole, un ottimo lavoro, una buona intesa tra i due artisti. L’intensità del timbro di voce e il synth creano il fondo necessario a questa comunicazione. Ho apprezzato molto anche i tempi dispari della drum machine in alcuni pezzi, in particolare My Wall. Nel complesso un ottimo lavoro anche se rimane, per la poca orecchiabilità, sicuramente un prodotto di nicchia che non punta ad un pubblico vasto. Ascoltando mi vengono in mente i Múm, noto gruppo islandese che esordì qualche anno fa. Tra tutte le traccie quella che più ho apprezzato per composizione e ritmo è Red Cross che inizia con questa frase, ”You don’t love yourself”. L’album vola via tutto d’un fiato senza inerruzioni di sorta. Alla fine mi sentivo immerso non nei ricordi andati ma nelle sensazioni andate. Quelle emozioni scure dell’animo dove la tua capacità di uscirne è legata all’altro e l’altro è legato a te in un intreccio inestricabile che sono le parole e le incoprensioni che generano.

Questo miscuglio di testi profondi, musica elettronica minimale e strumenti classici fanno di questo album un album che, per gli amanti del genere, va sicuramente ascoltato. Vi consiglio un’atmosfera soft e 28 min del vostro tempo e se volete iniziare subito potete ascolatre un estratto, Miles, nella home page di rockambula nella sezione ASCOLTA.

 

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