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Vostok – Vostok

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Si può dire tutto dei livornesi Vostok ma non che brillino per unicità. Basta infatti digitare il loro nome su un qualsiasi motore di ricerca per trovare almeno cinque omonimi sparsi tra Russia, Inghilterra, America e addirittura Italia (un duo pugliese di cui abbiamo recensito l’album di debutto Lo Spazio Dell’Assenza più o meno un anno fa). Leggendo nella loro biografia che questi Vostok nascono dalla voglia del chitarrista e del batterista di dar vita a qualcosa di nuovo, mi sento rincuorato e affronto l’ascolto con un piglio fiducioso. Vane speranze che si dissolvono al cospetto del riff iniziale di “Solo un’Ora” piuttosto simile a “School” dei Nirvana. Comunque intravedo del buono, nascosto, nemmeno troppo bene, sotto pelle. Queste buone sensazioni sono tutte espresse nelle prime cinque canzoni, dove il valore aggiunto è l’ispirazione, figlia non solo della band-icona di Kurt Cobain, ma anche dei Seaweed (pargoli dimenticati ingiustamente della corrente Grunge) e dei più rinomati Queens Of The Stone Age. Un po’ come se Seattle rivivesse vent’anni dopo in Toscana. E poi mi perdoneranno se l’attacco di “Sui Tuoi Passi” mi ricorda simpaticamente “Teenage Lobotomy” dei Ramones, anche se poi il brano si sviluppa in modo totalmente differente. Il Rock ‘N’ Roll del singolo “Baudelaire”, la perfetta armonia tra suoni acustici ed elettrici di “Eva” e la vena poetica de “La Sindrome di Danuz” (sei come neve che il sole on teme, versi semplici eppure di forte impatto) ci prendono per mano e ci conducono alla fine della prima parte del disco.

Se si concludesse qui e fosse un EP sarebbe da 7 pieno. Purtroppo non è così e le altre cinque tracce sono più deboli, mancano di coraggio e finiscono per darsi la zappa sui piedi, facendo abbassare il voto complessivo. L’esordio dei Vostok ci mostra un progetto che sa di work in progress, colmo di cose interessanti e dell’impegno per realizzarle al meglio. Magari se le idee non fossero così appannate si andrebbe ben oltre la sufficienza. Alla prossima puntata.

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Sonic Daze – First Coming

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Massimiliano Demata, Vittoriano Ameruoso, Serena Curatelli e Giuseppe Santorsola sono i Sonic Daze che esordiscono a fine 2013 con il loro Ep First Coming. Pugliesi e passionali i Sonic Daze ci presentano un lavoro prima di tutto con una copertina niente male disegnata da Shawn Dickinson e soprattutto formato da sei tracce che spaziano senza alcun dubbio tra un Rock’n’Roll molto esplicito e un Punk veloce, e a volte divertente che fa immaginare gavettoni e guerre di cuscini. Tutto questo si scorge fin dalle prime note di “Hear Me Calling” quel tanto orecchiabile da rimanere impressa senza però risultare banale. “When the Sun” incarna perfettamente quello che dicevo prima, l’aria d’estate che tarda ad arrivare ma quando arriva lo fa in modo violento e goliardico tra viaggi on the road, finestrini abbassati e musica a tutto volume magari proprio quella di First Coming. “Amorality” invece ha sonorità più dure rispetto per esempio a “So Many Colours” che con il primo arpeggio ci catapulta sulle spiagge assolate degli anni 60-70 e quel sapore molto British che in questo caso non guasta proprio. “Get out of the Way” chiude questo Ep in maniera consona anche se non è proprio la parola più appropriata.

Insomma, First Coming può risultare una sorpresa per gli amanti del genere e non solo per le sonorità molto naturali di un genere che alcune volte stona ma che questa volta nuota nelle atmosfere del Rock prendendone gli aspetti più ritmici. Tutto suonato con una tecnica molto buona e una precisione ritmica assolutamente da notare. Da sottolineare la registrazione in maniera assolutamente analogica senza l’uso del computer che rende il suono meno piatto e più presente. Insomma le influenze del gruppo sono anche molto chiare Beach Boys, Beatles, Sex Pistols, Ramones. Influenze chiare e non copiate. Infatti i Sonic Daze ci mettono del loro con audacia e senza paura dimostrando perché no professionalità e soprattutto profonda conoscenza del genere e della propria passione. Un esordio da ascoltare assolutamente, magari a tutto volume, e da portare in valigia!

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Bologna Violenta – Uno Bianca

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Con l’uscita, nel 2012, di Utopie e Piccole Soddisfazioni, Nicola Manzan, in arte Bologna Violenta, ha fissato per sempre i paletti della sua espressione stilistica, permettendoci di distinguerlo al primo ascolto, anche in assenza quasi totale della voce, sua o di chi altri. Con quel terzo disco, il polistrumentista già collaboratore di Teatro Degli Orrori, Non Voglio Che Clara, Baustelle, sembrava gridare all’Italia la sua ingombrante presenza, divenendo poi uno dei punti fermi (grazie anche alla sua etichetta, Dischi Bervisti) di tutta la scena (ultra) alternativa che non si nasconde ma si offre in pasto a ogni sorta di ascoltatore, dai più incalliti cantautorofili, fino agli inguaribili metallari. Nicola Manzan non colloca alcuna transenna tra la sua arte e i possibili beneficiari e allo stesso modo non pone freno alla sua creatività, fosse anche spinto dal solo gusto per il gioco e l’esperimento divertente magari senza pensare troppo al valore per la cultura musicale propriamente detta. Arriva perfino a costruire una specie di storia della musica, riletta attraverso quaranta brani che sono rispettivamente somma di tutti i pezzi composti da quaranta differenti musicisti. Dagli Abba ad Alice in Chains passando per Art of Noise, Barry White, Bathory, Bee Gees, Black Flag, Black Sabbath, Bob Marley, Boston, Carcass, Charles Bronson, Dead Kennedys, Death, Donna Summer, Eagles, Faith No More, Genesis, Jefferson Airplane, Kansas, Kyuss, Led Zeppelin, Michael Jackson, Negazione, Nirvana, Os Mutantes, Pantera, Pink Floyd, Queen, Ramones, Siouxsie and the Banshees, T. Rex, The Beatles, The Clash, The Doors, The Police, The Velvet Underground, The Who, Thin Lizzy e Whitney Houston. Ogni traccia è il suono di tutti i frammenti che compongono la cronaca musicale di quell’artista. Poco più di una divertente sperimentazione che però racconta bene il soggetto che c’è dietro.

Dopo questo esperimento sonico per Bologna Violenta è giunta finalmente l’ora di far capire a tutti che non è il caso di scherzare troppo con la sua musica e quindi ecco edito per Woodworm, Wallace Records e Dischi Bervisti ovviamente, il suo quarto lavoro, Uno Bianca.  Se già nelle prime cose, Manzan ci aveva aperto le porte della esclusiva visione cinematografica delle sue note caricando l’opera di storicità, grazie a liriche minimali, ambientazioni e grafiche ad hoc, con quest’album si palesa ancora più la valenza fortemente storico/evocativa della sua musica, in contrapposizione ai cliché del genere Grind che lo vedono stile violento e aggressivo anche se concretamente legato a temi pertinenti politica e società. La grandezza di Uno Bianca sta proprio nella sua attitudine a evocare un periodo storico e le vicende drammatiche che l’hanno caratterizzato, attraverso uno stile che non appartiene realmente all’Italia “televisiva” di fine Ottanta e inizio Novanta. Il quarto album di Manzan è proprio un concept sulle vicende della famigerata banda emiliana guidata dai fratelli Roberto e Fabio Savi in attività tra 1987 e 1994, che ha lasciato in eredità ventiquattro morti, centinaia di feriti e strascichi polemici sul possibile coinvolgimento dei servizi segreti nelle operazioni criminali. Un concept che vuole commemorare e omaggiare la città di Bologna attraverso il racconto di una delle sue pagine più oscure, inquietante sia perché i membri erano appartenenti alla polizia e sia perché proferisce di una ferocia inaudita. Il disco ha una struttura categorica che non lascia spazio a possibili errori interpretativi e suggerisce la lettura già con i titoli dei brani i quali riportano fedelmente data e luogo dei vari accadimenti. Per tale motivo, il modo migliore di centellinare questo lavoro è non solo di rivivere con la memoria quei giorni ma di sviscerare a fondo le sue straordinarie sfaccettature, magari ripassando con cura le pagine dei quotidiani nei giorni prossimi a quelli individuati dalla tracklist, perché ogni momento del disco aumenterà o diminuirà d’intensità e avrà un’enigmaticità più o meno marcata secondo il lasso di tempo narrato o altrimenti attraverso la guida all’ascolto contenuta nel libretto.

Sotto l’aspetto musicale, Manzan non concede nessuna voluminosa novità, salvo mollare definitivamente ogni legame con la forma canzone che nel precedente lavoro era ancora udibile in minima parte ad esempio nella cover dei Cccp; i brani sono ridotti all’osso e vanno dai ventuno secondi fino al minuto e trentuno, con soli due casi in cui si toccano gli oltre quattro minuti. Il primo è “4 gennaio 1991 – Bologna: attacco pattuglia Carabinieri” che racconta l’episodio più feroce e drammatico di tutta la storia dell’ organizzazione criminale; la vicenda delle vittime, tre carabinieri, del quartiere Pilastro. La banda era diretta a San Lazzaro di Savena per rubare un’auto. In via Casini, la loro macchina fu sorpassata dalla pattuglia e i banditi pensarono che stessero prendendo il loro numero di targa. Li affiancarono e aprirono il fuoco. Alla fine tutti e tre i carabinieri furono trucidati e finiti con un colpo alla nuca. L’assassinio fu rivendicato dal gruppo terroristico “Falange Armata” e nonostante l’attestata inattendibilità della cosa, per circa quattro anni non ci furono responsabili. Il secondo brano che supera i quattro minuti è “29 marzo 1998 – Rimini: suicidio Giuliano Savi”, certamente il più profondo, il più tragico, il più emotivamente violento, nel quale è abbandonata la musica Grind per una Neoclassica più adatta a rendere l’idea di una fine disperata, remissiva e da brividi. L’episodio che chiude l’opera è, infatti, il suicidio del padre dei fratelli Savi, avvenuto dentro una Uno Bianca, grazie a forti dosi di tranquillanti e lasciando numerose righe confuse e struggenti.

Come ormai abitudine di Manzan, alla parte musicale Grind si aggiunge quella orchestrale e a questa diversi inserti sonori (a metà di “18 agosto 1991 – San Mauro a Mare (Fc): agguato auto senegalesi” sembra di ascoltare l’inizio di “You’ve Got the Love” di Frankie Knuckles ma io non sono l’uomo gatto) che possono essere campane funebri, esplosioni, stralci radiotelevisivi, rumori di sottofondo, e quant’altro. Tutto serve a Bologna Violenta per ricreare artificialmente quel clima di tensione che si respirava nell’aria, quella paura di una inafferrabile violenza. Ora che ho più volte ascoltato i trentuno minuti di Uno Bianca, ora che ho riletto alcune pagine rosso sangue di quei giorni, comincio anche a ricordare meglio. Avevo circa dieci anni quando cominciai ad avere percezione della banda della Uno bianca e ricordo nitidamente nascere in me una paura che mai avevo avuto fino a quel momento. Il terrore che potesse succedere proprio a me, anche a me, inquietudine di non essere immortale, ansia di poter incontrare qualcuno che, invece di difendermi giacché poliziotto, senza pensarci troppo, avrebbe potuto uccidere me e la mia famiglia non perché folle ma perché uccidermi sarebbe servito loro a raggiungere lo scopo con più efficacia e minor tempo. Ricordo che in quei tempi, anche solo andare in autostrada per raggiungere il mare era un’esperienza terrificante, perché l’autostrada è dove tutto cominciò. “19 giugno 1987 – Pesaro: rapina casello A-14”, qui tutto ha inizio; una delle storie più scioccanti d’Italia e uno degli album più lancinanti che ascolteremo quest’anno.

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I Totale Apatia in una cover strumentale in omaggio ai Ramones

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In occasione dei 40 anni dalla nascita di una band fondamentale per il movimento Punk mondiale , i RAMONES, la Punk Rock band bresciana Totale Apatia ha registrato una versione acustica di “Pet Sematary”. Il brano comparirà sulla compilation ONE,TWO,THREE,FOUR..I CRETINI SALTANO ANCORA, super raccolta con 50 band italiane impegnate a rivisitare un brano dei RAMONES, la cui uscita digitale è prevista per i primi mesi del 2014 su Rocketman Records.

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Regia : Luca BZK Catullo

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Cayman The Animal – Aquafelix

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Prendete un po’ di Hardcore anni 90, miscelatelo ben bene con un po’ di Noise, aggiungete tanto sano Punk e Rock’n Roll ed otterrete il disco dei Cayman The Animal, gruppo nato sull’asse Roma / Perugia (a seconda di come gli conviene). A tratti Nofx, a tratti Black Flag, questo lavoro potrebbe rivelarsi una piccola gemma nel panorama indipendente italiano. Non sentitevi vecchi quindi se l’ascolterete perché pur avendo molto di già sentito (dagli anni Ottanta e Novanta è uscita comunque molta roba di altissimo livello), Aquafelix può essere considerato un pronipote di quella generazione che tanto ha dato e continua a dare a livello musicale. E nella migliore tradizione del genere ecco quindi che in soli diciannove minuti vedrete condensato un mondo fatto di accelerazioni sonore e di stop che lasciano indubbiamente soddisfatto l’ascoltatore.

Giusto quindi parlare di EP nonostante siano ben nove i brani contenuti al suo interno. Evidente l’eredità raccolta dai mitici Ramones, padri (o nonni?) del Punk moderno, soprattutto nell’opening “Cayman Jr.” e dai Dead Kennedys di Jello Biafra in “Killed by the Golden Gun”. Sono presenti invece un pizzico di ironia anche in “Next Stop Orte” ed in “I Say Prévert – You Say Pervert”e di sano rumorismo in “Here Comes the End Part II”. Qualche effetto in più del solito in “Donkey Man” tinge di curioso il disco che ritrova nuova linfa in “Shiny Happy People Dying”. Una risata e un urlo invece vi accoglieranno in “Rock ‘n’ Roll Ice Cream”prima della conclusiva bonus track “Next Stop Orte Special Version” che però aggiunge poco a quanto detto precedentemente e come dicono proprio qui i Cayman The Animal: “Hai capito?”.

Altrimenti, se qualcosa non vi è chiaro, mettete su un disco della hit parade ma di certo non ne guadagnerete nell’ascolto. “Aquafelix” è stato registrato, mixato e masterizzato da Valerio Fisik all’Hombre Lobo Studio di Roma nella primavera del 2013 mentrele voci sono state registrate da Alberto Travetti all’HD Studio Perugia. Degna di nota anche la copertina artistica a cura di Ratigher.

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I 10 peggiori personaggi incontrati ai live estivi! Ci sei anche tu?

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Ed è finita un’altra stagione di concerti e festival, nonostante i tagli siano stati numerosi e abbiano ridotto di molto i live “delle grandi occasioni”. Non resta che programmare i concerti al chiuso che vorremmo andare a vedere nell’interminabile autunno-inverno e, nel frattempo, ricordarci la spensieratezza dell’estate. I pantaloni corti, le tipe in bikini e stivali anche a luglio perché gli stivali fanno Rock, le zanzare, la birra sempre sciacqua e sempre cara, il sudore del barbuto metallaro di fronte a noi, perché c’è sempre un metallaro a qualsiasi concerto, di qualsiasi genere e i rompicoglioni. E già… perché sì sì, che bello il live come momento di condivisione di una passione, sì sì che bello ritrovarsi lì, nello stesso posto, noi e centinaia di altre persone comenoi. Cazzate. Non ce la meniamo. A ogni concerto che si rispetti c’è sempre qualcuno con cui ciascuno di noi pensa di non avere proprio niente a che spartire. Esattamente come quando siete nella vostra spiaggia libera a leggere l’ultimo saggio che vi appassiona e di fianco a voi c’è quella che legge i romanzi Harmony o Novella 2000. O proprio come quando al mare siete lì a cercare relax e pace al largo, pensando a quanto sia bello farsi accarezzare dalle onde leggere e dal sole ma sentite dal bagnasciuga gente che impreca, starnazza o semplicemente passeggia con musica improponibile, a un volume improponibile che esce dal proprio smartphone, rigorosamente senza cuffie, così che tutti gli astanti possano compartecipare al cattivo gusto artistico del soggetto in questione.  Ai concerti è uguale. L’inopportuno, il rompicoglioni, quello che crede d’essere nel posto giusto e che magari si atteggia anche a grande frequentatore, grande appassionato, grande cultore e non ha mai imparato un minimo di etichetta. O quanto meno il vivere civile. Vogliamo ricordarli con voi, stilando un breve elenco che non vuole essere una classifica, ma solo una carrellata di macchiette da live con cui sicuramente vi sarete imbattuti anche voi. Così il quadro dei ricordi della nostra estate musicale può essere veramente completo. Eccoli:

1)      Il fotografo o cameraman raffazzonato che invece di guardare il concerto passa tutto il tempo con la macchina fotografica o il cellulare alzato impedendo anche a te di godere dello spettacolo. Nelle situazioni di scarso pubblico, alcuni s’improvvisano fotografi ufficiali piazzandosi nei posti più improbabili sul e vicino al palco.

2)      L’organizzatore di eventi che a fine concerto, palesemente ubriaco, blocca il cantante e ufficializza con contratto verbale una data a costo zero nel suo paesino, il prossimo anno, per la festa del patrono.

3)      Il fan che le sa tutte, le canta tutte, le canta male e, nelle pause, urla come una groupie di Justin Bieber in preda a crisi d’overdose. A fine concerto si lamenterà perché non hanno fatto il suo pezzo preferito nonostante per tutta la durata del live avesse suggerito la scaletta alla band, urlando il nome delle canzoni.

4)      L’indifferente e/o infastidito che dà le spalle al gruppo, rompe i coglioni chiedendo come possiamo apprezzare certa “roba”, sbuffa, si annoia ma dentro sta male perché vorrebbe scatenarsi anche lui. Non lo fa perché distruggerebbe la sua immagine di indie snob. Tende a sviare quando gli si chiede che cazzo ci sia andato a fare al concerto. Al limite risponde di aver avuto un accredito o di aver accompagnato qualcuno.

5)      Il giornalista. Ha avuto l’accredito stampa. Sta lì impassibile, passando il tempo a guardare ogni minimo movimento delle dita del bassista e giudicando ogni nota. Scatta al massimo un paio di foto che allegherà a un articolo, non balla, non ride, non può divertirsi. Lui sta lavorando. Ovviamente gratis.

6)      L’ubriaco che non ha neanche idea di chi stia suonando. Urla a caso, canta a caso, balla e poga a caso, litiga con quelli vicino, inveisce contro la band, sputa, suda (rigorosamente in canotta o a petto nudo) e ogni tanto vomita. Qualche volta è portato via dai buttafuori o da un’ambulanza.

7)      Lo spaesato. Ce l’hanno portato. Non voleva venire. Spesso è la ragazza o il ragazzo del fan. Non sa chi stia suonando e non sa nulla di musica che vada oltre Tv Sorrisi e Canzoni. Di solito ascolta la Pausini, Emma o Malika Ayane ma gli amici o il/la fidanzato/a non volevano lasciarlo/a solo/a di sabato.

8)      Quello che ci deve stare. Mocassino firmato viola, calzino leggero, pantaloncino lungo bianco, cinta a riporto, camicia di lino slacciata, petto abbronzato e depilato in bella vista, barba finto incolta e sorriso da piacione con cocktail in mano, per tutta la sera. Poteva suonare Gg Allin o i Pooh, lui sarebbe stato col gomito appoggiato a quel bancone.

9)      Il reduce degli anni 80 (anche 70). È sempre il più vecchio della serata, leggermente in sovrappeso; indossa una t-shirt di una vecchia band abbastanza nota ma senza esagerare. Ramones, Dinosaur Jr, Joy Division. Di solito è solo perché i suoi amici hanno famiglia, non beve troppo, non balla troppo, non si diverte troppo.

10)   Il commentatore. Ce ne sono di due tipi. Uno che parla bene di tutto e uno il contrario. Ti si piazzano di fianco e ti raccontano tutto sulla band, sulla serata, sul gruppo spalla, sulla loro vita, sulle loro passioni. Intervallano i momenti di semplice cronaca a considerazioni su quanto sia figo l’ultimo disco del gruppo, su quanto siano stati innovativi i riff del chitarrista o al contrario, si lamenta per il costo della birra, per l’assenza di parcheggi. Comunque, non sta mai zitto.

Sono anche loro che rendono speciale l’esperienza di un live che sia di un supergruppo o di una sconosciuta band Indie di Pavia. Ma inutile fare tanto i superiori, se leggi tra le righe, uno di questi dieci sei tu. Che numero sei? Io un misto tra cinque e nove.

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CBGB The movie: pronta la colonna sonora

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Uscirà negli USA il prossimo ottobre, il film CBGB – The Movie, pellicola che racconta le vicende che portarono il newyorkese CBGB, Country, BlueGrass and Blues, da locale anonimo di Manhattan a culla del punk e della new wave. Scritto e diretto da Randall Miller, il film ripercorre le carriere di Talking Heads, Ramones, Television, Patti Smith, Iggy Pop (interpretato da un insospettabile quanto azzeccatissimo Taylor Hawkins), ecc.
Non si sa ancora quando la pellicola verrà proiettata in Italia, ma nel frattempo, godetevi trailer e soundtrack:

“Life During Wartime” – Talking Heads
“Kick Out the Jams (versione non censurata)” – MC5
“Chatterbox” – New York Dolls
“Careful” – Television
“Blank Generation” – Richard Hell & Voidoids
“Slow Death” – Flamin’ Groovies
“I Can’t Stand It” – Velvet Underground
“Out of Control” – Wayne County & Electric Chairs
“Psychotic Reaction” – Count Five
“All For the Love of Rock ’n’ Roll (Live)” – Tuff Darts
“All By Myself” – Johnny Thunders & Heartbreakers
“California Sun (Original Demo)” – Dictators
“Caught With the Meat in Your Mouth” – Dead Boys
“I Got Knocked Down (But I’ll Get Up)” – Joey Ramone
“Get Outta My Way” – Laughing Dogs
“Sunday Girl (2013 Version)” – Blondie
“I Wanna Be Your Dog” – Stooges
“Sonic Reducer” – Dead Boys
“Roxanne” – Police
“Birds and the Bees” – Hilly Kristal

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Deerhunter – Monomania

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E’ uscito da pochi giorni il quinto album Monomania dei Deerhunter, band statunitense di Atlanta, formata dall’amato Bradford Cox, Moses Archuleta, Josh Fauver e Lockett Pundt. Il genere di questo lavoro è incasellato nel Noise Rock, ma più in generale possiamo inserirlo nella categoria Indie-Rock. La lunga attesa tra il precedente e l’attuale opera avevano fatto sperare in qualcosa di memorabile. Speranza presto sfumata per i fan.
Il titolo dell’abum Monomania ci introduce in un ascolto che a tratti diventa realmente ossessivo e maniacale con i suoni grezzi e distorti dal mood garage, mentre in altri momenti è in grado di cullarci in sound più rilassati. Le tracce di Monomania sono 12 e l’ascolto scorre fluido tra gli inizi noise/garage di “The Leather Jacket” e “Neon Junkyard”e i brani meno pesanti, più simili a ballad, come “The Missing” o “Nitebike” che intervallano l’album dandogli quella giusta alternanza di atmosfere che non annoiano l’ascoltatore.

Chiare le influenze, dichiarate anche dalla band, dei Ramones e degli Sonic Youth in primis, ma ad un ascolto più attento si scorgono anche piccole somiglianze con i R.E.M. e forse, a mio parere, anche lontanamente alle atmosfere degli Smashing Pumpkins. Un disco in cui si evince la decisione e l’immediatezza di suoni e testi, non ancora del tutto maturi e profondi, come invece ci si sarebbe attesi da una band di rilievo del settore come loro. I Deerhunter dicono bye bye alle sfumature psichedeliche che abbiamo trovato negli album precedenti e lasciano le canzoni ad uno stato grezzo e meno raffinato.

Un album tutto sommato interessante seppure sia purtroppo lontano dallo splendore e dai fasti di Halcion Dygest (2010) che probabilmente è quello che possiamo considerare il vero album icona dei Deerhunter, vista la grande trasversalità degli apprezzamenti ricevuti. Un disco, Monomania, che piacerà molto agli amanti del Noise e del Garage, ma non troverà troppi consensi in chi si aspetta il proseguo della storia del gruppo che si era così ben improntata nel 2010.

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BOLOGNA VIOLENTA E DISCHI BERVISTI PRESENTANO: THE SOUND OF…

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Qual è  il vero suono di una band? Ma soprattutto, avete mai pensato  di poter ascoltare contemporaneamente tutta la discografia della  vostra band preferita?
Ora è possibile grazie a THE  SOUND OF…, una raccolta di quaranta discografie delle band più amate del pianeta, curata da BOLOGNA VIOLENTA (ecco la recensione dell’ultimo album e qui l’intervista a Nicola Manzan) per DISCHI BERVISTI in dieci  pratiche uscite settimanali.
Un tempo, per  sentire l’intera discografia di una band o di un artista dovevamo  fare un sacco di inutili e stancanti ricerche. Al giorno d’oggi con  internet si può sentire o scaricare tutto e subito. E il futuro?  Forse in un futuro più o meno prossimo riusciremo ad ascoltare  centinaia di brani contemporaneamente e soprattutto a gustare appieno  il sound inconfondibile di ogni band, con le sue mille sfaccettature  e le sue peculiarità.

THE SOUND OF… vuole  essere un simpatico esempio di ciò chepotrebbe essere il futuro  della musica e della sua fruizione.

Fortemente ispirata alle collane di  musica ambient da edicola, THE SOUND OF… non  vuole di certo essere una release esclusiva per audiofili o  maniaci delle frequenze più bizzarre: oltre alle vostre  orecchie, già impegnate ad esplorare nuove sonorità, anche i vostri  occhi curiosi potranno gustare le nuove  copertine (nate dalla fusione di tutti gli artwork dei dischi  presi in causa) che andranno a creare un immaginario ai limiti  dell’astrattismo, ma sempre perfettamente in linea con la cifra  stilistica delle band trattate.
Ognuna delle dieci  uscite (rigorosamente in free download) conterrà quattro band o  artisti a confronto.

GLI  ARTISTI COINVOLTI: Abba, Alice in Chains, Art of Noise, Barry White, Bathory, Bee Gees, Black Flag, Black Sabbath, Bob Marley, Boston, Carcass, Charles Bronson, Dead Kennedys, Death, Donna Summer,  Eagles, Faith No More, Genesis, Jefferson Airplane, Kansas, Kyuss, Led Zeppelin, Michael Jackson, Negazione, Nirvana, Os  Mutantes, Pantera, Pink Floyd, Queen, Ramones, Siouxsie and the  Banshees, T.Rex, The Beatles, The Clash, The Doors, The  Police, The Velvet Underground, The Who, Thin  Lizzy, Whitney Houston.

Quaranta  rivisitazioni dei classici della musica moderna.
Un’occasione unica  ed imperdibile per tutti gli amanti delle sonorità d’altri tempi.

PRIMA USCITA LUNEDì 4 MARZO 2013 IN FREE DOWNLOAD SU BOLOGNAVIOLENTA.BANDCAMP.COM [1] Per tutti gli aggiornamenti sulle uscite:

www.bolognaviolenta.com [2] facebook.com/dischibervisti [3] Nunzia TamburranoUfficio stampa Dischi Bervisti/Bologna Violenta
dischibervisti@gmail.com [4]

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The Crooks – Atomic Rock

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Quello che avete davanti e spero tra le mani, non è certo il disco di una band esordiente in cerca di una fetta di pubblico disposta a seguirli in giro per l’Italia e fare guerrilla marketing nel ristretto giro di amici del paese. Loro sono The Crooks, formazione già nota al pubblico Punk’n Roll e Hard Core del tipo non troppo “incazzoso”. Nascono a Milano circa sedici anni fa, dalla mente di Fab O’ Loose che plasma l’asse portante della band, tra rimandi al punk newyorkese old school (New York Dolls, Johnny Thunders & The Heartbreakers, Ramones) ed echi di maleducato Rock’n Roll. Agli albori, la scelta principale ricade nell’esibizione live che regalerà loro la possibilità di condividere il palco e le esperienze, con Libertine, Happy Revolvers e Jackpot, e infine The Datsuns. Grazie alla loro voglia di esprimersi e di imparare, le diverse avventure con le band suddette diventano lo strumento migliore per la ricerca e il miglioramento dello stile del complesso lombardo. Da quel momento, i quattro sono pronti a incidere la propria vita e regalarvi la loro anima attraverso il quarantacinque giri You Make Me Feel So Sick, l’Ep The Dog, gli album Speed Kills, Nothing To Lose e High Society R’n’R, più diversi brani sparsi tra le più disparate compilation.
Nel 2012 ecco arrivare il momento di una nuova svolta per Brix (drums and percussions), Ette (guitar, vocal and percussion), Fab o’Loose (vocals and guitar) e Cool J Piteco (bass) che si manifesta con la realizzazione del loro quarto album, il lavoro che avrà l’obiettivo di consacrarne la maturità compositiva. Ancora una volta tra le loro influenze troviamo il punk a stelle e strisce di 2nd Chance, Victim Of The Circumstances ma il sound, particolarmente ammorbidito in alcuni passaggi, non disdegna rimandi a mostri sacri del Pop e del Blues come Beatles e Rolling Stones. Anche se non espressamente citata dagli stessi The Crooks, particolarmente evidente è anche la similitudine con un’altra grande band del passato, i Social Distorsion di Mike Ness, specie nei canali del Rock’n Roll. In realtà, più che il sound nel suo insieme che avrete capito essere notevolmente derivativo, quello che piace è l’idea di inserire strumenti solitamente non troppo congeniali al genere come fiati, pianoforte e maracas e farlo con naturalezza, senza ridondanti e cacofoniche forzature.
Atomic Rock è disponibile nel formato Lp e Cd. In quest’ultimo troverete le versioni Cd e vinile di “Smash It Up”, due versioni di “Victim Of The Circumstances” e l’unica traccia in lingua italiana “Piccolo Uomo”.
L’album parte a mille con “2nd Chance”, brano di Punk’n Roll della specie più classica, carico di riff mozzafiato, voce da inni generazionali e coretti coinvolgenti, del tipo che sta facendo la fortuna di un’altra band italiana che possiamo accostare per sonorità e non certo per collocazione territoriale, ai milanesi, gli One Trax Minds di Alex Maiorano, dei quali potete leggere, proprio su rockambula, la recensione al loro ultimo lavoro. In “989”, brano che allenta un po’ il ritmo rispetto all’inizio, ci manteniamo sempre su binari particolarmente classici, evidenziati anche da alcuni piccolissimi omaggi chitarristici ai Sex Pistols. Con “Smash It Up” fa la sua comparsa, il primo ritornello veramente azzeccato di questa prima parte d’album. Poche parole e cori a fare da contraltare bastano a creare un inno garage punk che si rispetti.  Passando per “Once Twice Millions Of Times”, ancora carica di distorsioni sociali, ci troviamo nella bellissima e irriverente “It’s Allright”, brano di Ettore ETTE Gilardoni (è lui che si divide con Fabrizio Cimolino per la stesura dei pezzi), che rimanda in alcuni passaggi anche ai padri del Punk Rock, i Ramones. Di forte matrice Hardcore anni ’80 e anche un po’, specie nel cantato, stile Guttermouth, è la feroce “Kneel Down”. Il primo vero gioiello è invece “Opportunities” nel quale si può notare tutta l’influenza del proto punk newyorkese, grazie al sensazionale e preciso inserto del sassofono di Dario Guidotti. Ancora Guidotti, stavolta con l’arpa, è protagonista, nonostante lo spazio limitato, del brano “F.F. R’n R”. Anche qui, è riproposto in maniera originale, un pezzo di storia della musica, che va dal CBGB’s fino alla City. Chitarre taglienti e voce acida, rullate potenti e giri di basso rancidi (in alcuni passaggi, l’accostamento con la band di Tim Armstrong e Lars Frederiksen non è per nulla azzardato).  Dopo “Jupiter’s Party” arriviamo all’ultimo brano in scaletta, “Victim Of The Circumstances”, senza ombra di dubbio il massimo dell’intera proposta. Dopo l’intro triste, malinconico che sembra presagire note deprimenti, il Sax di Guidotti inizia un assolo da paura, che in una manciata di secondi riporta i ricordi indietro di decenni. Grazie all’accompagnamento perfetto di tutta la band, il sound spazia dal Glam Rock e il Proto Punk di New York Dolls, T.Rex, Roxy Music, fino al Punk più classico, fatto di jeans e chiodo, e ancora ai più attuali Rancid e Social Distorsion. Il disco sarebbe finito. C’è spazio ancora per le già citate altre due versione di “Smash It Up” e “Victim Of Circumstance” che non aggiungono molto all’opera e l’unica traccia cantata in lingua italiana, “Piccolo Uomo”, che sembra più un semplice divertissement. Oltretutto, se nel complesso il brano potrebbe benissimo essere stato scritto dai primi Punkreas, all’interno troviamo due inserti che non capisco se voluti omaggi o riflessi incondizionati. Al secondo quarantotto (Sex PistolsAnarchy In The U.K.) e al minuto uno e trentuno secondi e nel finale (RamonesThe K.K.K. Took My Baby Away).
Nonostante la natura di The Crooks, il suo habitat, la sua massima espressione sia ancora rappresentata dalle esibizioni live, dove ovviamente meglio si riesce a caricare e coinvolgere il pubblico, devo ammettere che il loro quarto disco, Atomic Rock, è in grado di creare con efficacia la stessa atmosfera di sudore e grida che si respira sotto il palco. Ha un solo enorme difetto, che nulla ha a che vedere con il fatto che ci sia un’infinità di palesi influenze. Esclusa la sola “Smash It Up” nessuno dei brani riesce a mantenere la melodia valida e avvincente per tutta la sua durata. Dove il ritornello è spettacolare, il resto è piatto e viceversa. La stessa “Victim Of The Circumstances”, che per tre quarti non continuativi adoro, presenta strappi che sono addirittura fastidiosi, inseriti nel contesto del pezzo. Senza di questo, sarebbe stato un grandissimo disco Punk’n Roll. Per ora è solo una bellissima conferma.

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