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Funkin’ Donuts

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Come promesso i Funkin’ Donuts vengono intervistati da Rockambula, un sound tra Red Hot Chili Peppers e James Brown. Essere emergenti al tempo di internet non è poi così facile. Ecco a voi i vincitori del nostro contest AltroCheSanremo Vol. 6.


Cosa sono i Funkin’ Donuts? Parlateci di voi… In poche parole?
I Funkin’ Donuts sono il Funk Rock visto e reinterpretato da quattro ragazzi di Roma. Sono il ricordo del basso di Flea dei Red Hot Chili Peppers unito ai riff alla Tom Morello dei Rage Against The Machine, passando attraverso un cantato che cerca di avere lo smalto e l’efficacia di James Brown, tutto questo condito con una batteria dotata contemporaneamente della leggerezza del Funk e della pesantezza del Rock.

Dalla recensione sulle nostre pagine emerge un sound Funky acerbo e con arrangiamenti raffazzonati ma di grande impatto. Fate una brevissima recensione dei vostri suoni?
Nella nostra musica convergono, come detto sopra, caratteristiche abbastanza precise. Ondeggiamo tra il Funk Rock dei primi Red Hot e la musica dei Rage Against The Machine, senza disdegnare un po’ di Funk tradizionale che ricorda vagamente James Brown. Ci piace suonare queste diverse sfumature e unirle magari all’interno di un’unica canzone, dove ad esempio può capitare una chitarra Funky che si trasforma in una chitarra pesantemente distorta, oppure un basso che passa da giri più elaborati a giri di accompagnamento più propri dell’Hard Rock.

Parliamo indiscutibilmente di un autoproduzione, pensate sarà facile (o difficile) trovare un adeguata produzione ai vostri futuri lavori? Perché?
Non è una questione che ci siamo ancora posti. Funk Tasty KO rappresenta la nostra voglia di mettere nero su bianco i nostri primi lavori ed è stato fatto nel box di Simone, il chitarrista, in modo del tutto autonomo, senza l’appoggio di nessun altro all’infuori di noi quattro. Gli evidenti limiti tecnici e di strumentazione dovuti ad uno studio di registrazione che il nostro Simone ha tirato su da solo e dal nulla, ci hanno permesso di osservare i nostri limiti come musicisti, per cui ci sembra molto più formativo continuare a registrare in questo modo, più che altro per migliorarci nell’eseguire e nel creare musica, e cercare di tirare fuori da noi quattro il massimo in quest’unico contesto, almeno finché non ci sarà la cosiddetta “grande occasione”. Comunque, per rispondere alla domanda, non sappiamo se sarà facile o difficile semplicemente perché ancora non ci siamo ancora posti il problema.

Cosa significa essere emergenti nel duemilaquattordici?
Essere un gruppo emergente oggi vuol dire sbattersi tra serate live, pagine Facebook, purtroppo contest ed un mondo fatto di uffici stampa ed etichette indipendenti. Le serate sono l’elemento più gratificante, ma ci sarebbero diversi “localari”, gestori di locali, che andrebbero presi e attaccati al muro. La cosa accomuna anche chi organizza e pensa alcuni contest, concorsi musicali, dove non è importante come suoni, quanti calli ti sei fatto nel provare e riprovare i pezzi o se hai una presenza scenica che farebbe impallidire James Brown se fosse ancora vivo (Dio l’abbia in gloria), ma solo quante persone riesci a portare al loro fottuto evento. In breve, ai nostri giorni, come un gruppo riesce a “vendersi” tramite canali alternativi alla musica che propone, conta molto di più.


Internet gioca un ruolo fondamentale per le band emergenti oppure è solo merda? Vi sentite danneggiati oppure aiutati dalla musica virtuale?
Il potere divulgativo di internet è innegabile e saremmo degli ipocriti a sostenere il contrario. Ci piace interagire sui social network con tutte quelle persone che hanno piacere a partecipare alla nostra musica, ci piace che sia possibile raggiungere noi e le nostre canzoni direttamente online. Detto questo, siamo comunque i primi, ogni volta che ce n’è occasione, che hanno piacere a comprare gli Ep o gli album dei gruppi che andiamo a sentire, piuttosto che ridurci a sentirli online, semplicemente perché troviamo sia un giusto e doveroso riconoscimento per tutti quei ragazzi che fanno musica. Anche qui, per riassumere, internet è un mezzo divulgativo, ma la musica va ascoltata su disco o, meglio ancora, live.

Trovate problematiche nel procurarvi serate live nei locali? Pensate anche voi che in Italia suonano sempre le stesse band?
Nel colloquio con i gestori dei locali romani, l’80% delle volte ti ritrovi a rispondere all’unica domanda che desta loro preoccupazione: “Quante persone mi porti?”. In quel preciso istante sta a te decidere se instaurare un tavolo di trattative, cercando, da bravo PR improvvisato, di fare una mera previsione sull’esito di quante entrate ci saranno, o semplicemente ricordare, a chi ti sta di fronte, che dovrebbe essere lui a preoccuparsi di sponsorizzare l’evento per far sì che il locale che gestisce sia pieno. Non ci sono, quasi più, direzioni artistiche che valutino veramente la musica che viene proposta loro, ma ci si accontenta di far suonare chiunque abbia un seguito e così è probabile che al tuo posto venga scelto il gruppetto di quindicenni che si porta dietro l’intera scuola. Bene così. Per ciò che riguarda la musica live fuori da Roma, pensiamo, che il panorama sia abbastanza vario di band e generi musicali.


Siete di Roma, parlando con altre band della capitale sono venute fuori molte difficoltà per la band del posto a farsi notare, come se una sorta di cerchia ristretta comandasse il “mercato” dei live. Insomma se non conosci non suoni nei posti che contano. Tutto vero?
Abbiamo già espresso una nostra idea su quali possano essere le difficoltà effettive di suonare a Roma. I locali sono tanti e quelli un po’ più “importanti”, dove c’è una selezione sicuramente più esclusiva degli altri, si contano sulle dita di una mano. Suonarci non è poi così difficile, basta non pretendere un cachèt, accontentarsi di una pizza surgelata per cena e portarsi dietro i propri amici “costretti” a pagare l’entrata senza neanche una consumazione inclusa nel prezzo. Non crediamo sia questione di conoscenze o raccomandazioni, ma di… se vuoi/puoi.


Cosa vi inorridisce del sistema musica in Italia?
I prezzi degli uffici stampa.


Pensate che l’estero musicale sia più all’avanguardia?
Pensiamo solamente che all’estero sia più facile vivere di musica, da che cosa derivi questa nostra convinzione non lo sappiamo neanche noi, forse speranza in orizzonti diversi o magari solo invidia per i più alti livelli qualitativi che si riescono a raggiungere.


I Funkin’ Donuts al comando supremo della musica italiana. Decidete voi incondizionatamente cosa fare. Cosa fareste?
Mah… Probabilmente nessuno di noi ci ha veramente pensato. Quello che ci piace fare è semplicemente suonare: suonare live, suonare tra di noi in saletta, creare canzoni nuove. A livello pratico, il diventare “famosi” sarebbe solo un modo per poter far diventare questa passione un lavoro, e quindi ci permetterebbe di farlo ogni giorno, piuttosto che un paio di volte a settimana o nei ritagli di tempo. Quindi invece che fare tot concerti in un mese, o provare tot volte la settimana, potremmo fare tot concerti alla settimana e provare tra di noi ogni giorno. Beh, in effetti sarebbe bello…


Esisteranno delle situazioni imbarazzanti legate all’ambiente musicale in cui almeno una vota vi siete trovati a fare i conti, volete raccontarci qualcosa?
Una situazione particolarmente imbarazzante riguarda un concerto. Per quanto ridicolo possa sembrare, Tommaso e Simone, bassista e chitarrista, si erano messi nel camerino del backstage con Flavio, il cantante, con l’intento di spiegargli quando saltare (sì, saltare) durante una canzone, in modo da riuscire a farlo contemporaneamente. Insomma mentre stavano lì a saltare come degli idioti, un altro gruppo che avrebbe suonato in quella serata ha aperto la porta del camerino e li ha trovati che saltavano tutti e tre in uno stanzino chiuso. Grandi risate.


Domanda obbligata visto il periodo, cosa pensate del festival di Sanremo? E’ quella la musica italiana? Si potrebbe cambiare? Avendo la possibilità ci andreste mai?
Diciamo che noi quattro complessivamente avremo visto sì e no cinque minuti delle ultime sei o sette edizioni di Sanremo. Probabilmente il problema non è Sanremo ma la musica italiana. Sanremo è solo un palcoscenico dove viene mostrato quello che l’Italia offre, quindi se l’offerta è bassa non è necessariamente colpa del Festival. La verità è soprattutto che come musicisti e membri di un gruppo Rock non ci sentiamo rappresentati da un festival che privilegia la musica cantautorale (o che dovrebbe farlo), quindi, al di là d giudizi positivi o negativi sul festival in se, non lo consideriamo proprio. Certo se un giorno arrivasse Pippo Baudo a dirci che siamo richiesti sul palco dell’Ariston, non so se saremmo in grado di dire di no, se non altro per la storia che Sanremo rappresenta.


Cosa avete in progetto nell’immediato futuro? Disco? Concerti? Cosa?
La nostra priorità sono sicuramente i concerti. Suonare più possibile e in più posti possibile è la cosa più importante, perché la musica va portata fuori. La cosa più importante è far conoscere noi e la nostra musica. Dischi, videoclip e altre forme di comunicazione verranno sicuramente, ma saranno sempre subordinate ai nostri impegni live.


Ancora complimenti per la vittoria del nostro insolito e gratuito contest, in questo spazio potete scrivere tutto quello che vi passa per la testa, fare pubblicità e dire quello che non vi è stato chiesto ma che volete dire…
Concludiamo con poche parole e piuttosto che fare pubblicità a noi, facciamo pubblicità al nostro genere musicale. Ascoltateci per ascoltare un genere, assolutamente non originale o innovativo, ma comunque leggermente diverso da quello che ormai si sente in giro. Ciao!

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Funkin’ Donuts – Funk Tasty KO

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A volte capitano tra le mani rudimentali registrazioni di band acerbe che danno un bello scossone alla spina dorsale. Nonostante arrangiamenti raffazzonati, voce traballante, e suoni grezzoni da garage putrido, i romani Funkin’ Donuts sono coraggiosi e determinati. Coraggiosi anche perché suonare Funky, cantato per altro in italiano (tre pezzi su quattro sono in madrelingua), nel 2013 è atto di purezza e onestà. La moda dei Red Hot Chilli Peppers è sicuramente passata da qualche anno e di gruppi con questo sound indistinguibile non se ne vedono molti nel nostro orizzonte.

Attenzione, nulla per cui strapparsi i capelli o gridare al fenomeno. Semplicemente una band che ben esprime il suo piacere di suonare insieme. Senza grandi pretese e con i piedi ben ancorati a terra. Piedi non per questo fermi, scossi dal ritmo già deciso dalle prime note di “Guarda Avanti”, un classico groovone ben scandito da basso e batteria da manuale e una chitarra che fa molto il filo al buon vecchio John Frusciante. Purtroppo la voce di Flavio Talamonti non sempre riesce a convincere, soprattutto nelle parti più gridate e nei testi spesso banalotti. La pecca maggiore dell’EP però viene subito fuori e riguarda la registrazione, ben lontana dall’essere professionale, e dire che in questi periodi registrare decentemente un disco a basso costo sembra non essere più così ostico. L’insieme sicuramente perde ma per fortuna la botta non viene tralasciata.

Una maggiore cura in registrazione e arrangiamenti più attenti avrebbero dunque fatto decollare un brano come “Dammi un Buon Motivo”. Le idee si accozzano una all’altra tirando fuori una poltiglia mal amalgamata nonostante i buoni propositi e il buono stato di forma della band che jamma come se non ci fosse un domani. Un po’ di ordine forse non guasterebbe anche in “J.B.”. L’unico brano cantato in inglese si presenta con stacchi storti, attitudine meno friendly e chitarre alla James Brown. Tutto contornato dal solito groove insaziabile.

Il piede continua a battere senza sosta fino alla fine, anche nell’ultimo episodio di questo breve ma intenso EP. E allora “Drop D” non riserva sorprese se non un po’ più di rabbia, che avvicina il sound a quell’immensa realtà che erano i Rage Against the Machine. La forza non manca, la proposta è buona anche se non suona di certo innovativa, ma direi che non ha nessuna pretesa di esserlo. E questo EP, nonostante tutti i difetti che presenta, suda, vive e sporca. Di sicuro, non è poco!

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Vertical – Black Palm

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Esiste una forma intelligente di suonare musica portandosi dalla propria parte tutte le ragioni del mondo, la musica strumentale non finisce mai di stupire (e inventare), i Vertical girano nell’ambiente da un decennio, il disco “nuovo” dei Vertical si chiama Black Palm. Gli anni settanta per i Vertical non sono mai passati, gli Area cuciti a vivo nel cuore e il pensiero rivolto costantemente al 2005 quando nel fiore dell’attività aprivano le date nord italiane del maestro James Brown. Funk Rock senza troppi giri di parole, i pezzi saltellano in svariate direzioni ma il principio di base rimane sempre quello del Funk (arricchito dal Rock). Detto così potrebbe sembrare una cosa poco attraente sentita e risentita fino al collasso ma devo prontamente ammettere che le cose non stanno in questo (scontato) modo. Rifacendomi a quello che dicevo all’inizio i Vertical in Black Palm non si accontentano mai e sperimentano in continuazione lasciando sorrisi dolci e amari sulle labbra dell’ascoltatore. Non sono certo prevedibili e il disco respira ad ogni modo con i propri polmoni, una band capace di spaccare il mondo quando diventa possibile farlo, sorprendenti è il giusto termine per definirli. Black Palm apre le proprie porte con “Divo”, un esagerazione di basso e riff acidi che esplodono la propria energia in un ritornello sostenuto dall’hammond e voci Soul campionate, non ci sono prove a sostenerlo ma ho pensato subito ai Pink Floyd più intimisti. “New World” tutto sembra tranne che un nuovo mondo, la mia impressione è stata quella di un campionamento per karaoke con atmosfere da crociera, scusate se non sono riuscito a cogliere l’innovazione. Forse non sono molto perspicace. Colgo invece la realistica terapia d’urto mentale portata da “Tispari (ho voglia di piangere con te)”. Poi si continua a cavalcare l’onda del Funk aromatizzato al Jazz e le condizioni sono decisamente carine, un disco interamente strumentale è difficilissimo da tirare per oltre quarantacinque minuti mantenendo sempre la stessa intensità, questa è bravura. Sfiderei chiunque a farlo lasciando da parte Demetrio Stratos o gli attualissimi Calibro 35 a cui i Vertical dimostrano di essere molto affezionati. E non parliamo di Post Rock alla Mogwai. Poi esiste anche un brano nel disco “Watcha Gonna Do” cantato da Ken Bailey e definito dalla band Acid-Jazz con tutto il diritto di farlo, roba nuova per non lasciare mai la puzza della scontatezza. Assolutamente da segnalare il pezzo che dà il titolo all’album che nella sua semplicità non porta comunque scompensi. I Vertical sarebbero una perfetta band da colonna sonora da impiegare in molteplici forme di arte. Presente anche (ovviamente in chiusura) una ghost track “900” e la voglia di ascoltare nuovamente Black Palm invade tutta la mia attenzione. Un album concepito in maniera decisamente professionale da musicisti altrettanto validi, Black Palm inganna il tempo, non si esce vivi dagli anni settanta.

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Rivoluzioni musicali in mostra alle OGR di Torino

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Quando si parla di musica, ognuno ha senza dubbio i propri riferimenti, i propri miti, le stelle polari che lo guideranno lungo il corso della propria esistenza ,in lungo e in largo, a destra e manca, forever and ever, “finché morte non vi separi”. Alcuni di questi miti, però, non fanno solo parte del nostro universo musicale, ma sono delle vere e proprie pietre miliari della storia della musica, simbolo di un’ epoca, esempio per le generazioni future ed esponenti di rivoluzioni che hanno deviato il corso della storia stesso.  Ed è proprio a questi Dei dell’Olimpo musicale che fa riferimento Alberto Campo, curatore della mostra fotografica Transformers – Ritratti di Musicisti Rivoluzionari, allestita presso i Cantieri OGR di Torino e visitabile dal 28 settembre al 3 novembre 2013. Il filo conduttore che la caratterizza è quello della “Trasformazione”, tema tanto caro alle ex Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie (una delle ultime testimonianze della storia industriale della città), oggetto di un recente restauro che le ha restituite alla popolazione torinese sottoforma di “Cantieri Culturali”, sede di eventi musicali, teatrali, mostre, fiere ecc.

Ed eccoli allora sfilare uno per uno i Grandi della musica, in una serie di scatti che li ritrae durante la loro vita di artisti (con una predilezione per quelli realizzati durante gli eventi live) e di comuni mortali; un richiamo all’idea della “Trasformazione” come trapasso dalla dimensione pubblica a quella privata. Le fotografie sono attinte dal vasto bacino messo a disposizione da Getty Images, ed abbracciano sessant’anni di musica (dall’avvento del Pop negli anni ’50 all’era del web e delle tecnologie digitali odierne); il sottofondo musicale è una lunga colonna sonora composta da canzoni-simbolo degli artisti considerati. Campo fa cominciare tutto con Elvis (e come dargli torto!), opportunamente inserito nella sezione “Origini della Specie” e fotografato durante una delle sue celebri mosse di bacino. La seconda tappa porta il titolo de “l’Invasione Britannica” ed i protagonisti non potevano che essere Beatles e Rolling Stones, considerati perennemente in antitesi. Gli anni ‘60 si tingono anche di Folk e dei ritratti di un giovanissimo Bob Dylan, che con la sua “Blowin’ in the Wind”, cantata come inno di chiusura dei comizi di Martin Luther King, diviene il rappresentante della “Canzoni di protesta”, mentre Miles Davis e James Brown lo sono del Jazz e del Soul-Funky nella sezione “Black Power”. Si conclude un decennio e ne comincia uno nuovo, segnato dall’ “Utopia Hippie” che vede i suoi massimi esponenti nei Doors e in Jimi Hendrix (immortalato mentre dà fuoco alla chitarra elettrica durante il festival di Monterey), mentre il Transformer per eccellenza, David Bowie (nelle vesti di Ziggy Stardust) trova posto nella sezione “Rock a Teatro” insieme alla primissima formazione dei  Velvet Underground (fotografati con l’immancabile Andy Warhol ), quella di cui faceva parte anche la splendida Femme Fatale Nico, immortalata in un primo piano stupendo, mentre indossa una maglietta riportante la scritta Fragile. Nella sezione “gli Outsider” si piazzano Tom Waits e Frank Zappa, mentre l’unico artista italiano preso in considerazione, Ennio Morricone, non poteva che collocarsi nella sezione “la Musica Come in un Film”. Passano gli anni, cambia il modo di far musica, che diventa “definitivamente prodotto dal vivo su larga scala”: Led Zeppelin e Pink Floyd sono esempio dell’ avvento dei grandi concerti che riempiono gli stadi. Dall’altro capo del mondo, sempre in quegli anni, “One Love”, Bob Marley si faceva portavoce di un nuovo genere musicale: il  Reggae. Altra rivoluzione musicale degna di nota in quegli anni è il Punk, rappresentato nella sua forma più grezza dai Sex Pistols (lo scatto che ritrae Johnny Rotten nel tentativo di armeggiare un paio di forbici enorme parla da sé) e nella sua forma più colta da Patti Smith, la sacerdotessa del Rock che sembra non aver alterato con gli anni l’espressione che ha in volto mentre canta. Gli anni ‘80 sono quelli dell’ Hip Hop dei Beastie Boys, del re e della regina del Pop: Michael Jackson e Madonna. Gli anni ’90 segnano una frattura col decennio precedente grazie all’avvento del Grunge e dei Nirvana: il primo piano di Kurt Kobain troneggia in sala (forse è una delle immagini più belle della mostra), mentre ha in mano la chitarra che riporta la scritta “Vandalism: beautiful as a rock in a cop’s face”. La mostra arriva fino ai giorni nostri, e si conclude con l’ “Evoluzione della Rockstar” verso una musica sperimentale e ricercata, i cui esponenti sono rappresentati da Björk e Radiohead (riconoscere una foto scattata durante il loro ultimo tour del 2012 ti fa sentire fiero di esserci stato) per chiudersi definitivamente con l’avvento della musica elettronica dei Kraftwerk e dei Daft Punk nella sezione “Technologia”.

I grandi assenti? Tanti, ognuno sicuramente troverà qualche suo “mito” mancante all’appello. In ogni caso, non è un buon motivo per privarsi di questa mostra, che non è una semplice esposizione fotografica, ma un viaggio visivo e sonoro indietro nel tempo, verso tappe della storia e rivoluzioni musicali compiute dai musicisti che tanto amiamo. Allacciate le cinture, si parte.

Fonti: http://www.ogr-crt.it/events/transformers-ritratti-musicisti-rivoluzionari/

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