Diana Marinelli Tag Archive

Gnac – Luna Park EP

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Gli Gnac sono un gruppo padovano, più precisamente un quartetto con una biografia stringatissima, anzi potremmo dire inesistente. Degli Gnac sappiamo i loro nomi e talvolta nemmeno i cognomi: Matteo, voce e chitarra, Mejo, batteria e percussioni, Marco Cristofori, tastiere e Fabio Gasparini, basso. Sulla pagina facebook del gruppo ci viene detto che Gnac è una figura onomatopeica (suono, rumore simile al cigolio o a qualcosa che stride), ma facendo una ricerca su Wikipedia si può scoprire che Gnac è anche lo pseudonimo usato dal cantautore  Mark Tranmer e che deriva anche dal racconto di Italo Calvino “Luna e Gnac”, quindi comunque un rumore carico di significato. Inoltre sappiamo che il gruppo italiano definisce la sua musica “da spiaggia per una città senza spiaggia”, che a giugno uscirà il loro primo ep e che su soundcloud si possono ascoltare i primi brani di Luna Park.

Cinque brani che anche se registrati non perfettamente, in produzione casalinga, inquadrano perfettamente il sound del gruppo con chitarra ritmica che apre tutti i branie testi veloci come in “Aria” che ricorda alla lontana Jovanotti, con le sue ripetizioni insistenti di parole o frasi del testo. “È Adesso” è il secondo brano, molto cantautorale, con una struttura che si ripete sempre uguale: testo e poi momento musicale, quasi d’improvvisazione. La voce appare secca, cruda nel suo parlato molto veloce anche e soprattutto nel terzo brano “Se Tutto Fosse Semplice”. “Pazienza è la Vita” racchiude in sé tutti gli elementi già citati prima, ma che mi ha fatto venire in mente i Modena City Ramblers  e non sapendo le effettive influenze del gruppo rimane comunque un paragone aleatorio. “Uomini” è l’ultimo brano che chiude l’ep un po’ nella stessa maniera in cui si apre.

Quindi un lavoro tutto italiano nella sua tradizione ritmica, un album nel quale però si sente la mancanza di un brano acustico solo chitarra voce e null’altro per raccontare la visione e i racconti che si intravedono sullo sfondo, e un disco che chi lo sa potrebbe essere già cambiato, ma per dirlo e per esprimere un vero giudizio aspettiamo il lavoro definitivo.

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Sabina Caruso – Senza Remore

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Sabina Caruso è una cantautrice siciliana che dal 2009 porta in giro la sua musica, vincendo premi, concorsi (Epidaurock, Indie Contest ecc) e collaborando anche con l’artista visiva Tiziana Contino, curatrice del video “Senza Remore” e della copertina dell’album. Insomma l’arte a tutto tondo per una musicista che si diverte a raccontare le sue esperienze ma anche quelle che appartengono ai racconti di chi le sta accanto, come farebbe una brava scrittrice, infatti, Sabina si guarda attorno e racconta la realtà e i suoi sentimenti, le ansie, le gioie e le pressioni della sua vita.

Senza Remore invece è il suo primo lavoro discografico, uscito nel febbraio 2013, composto da nove brani, il cui primo singolo è “Senza Remore” da cui traspare  il mondo musicale di questa cantautrice che si definisce schizofrenica e spontanea, con una voce vera, senza fronzoli, sincera e di impatto con il graffiato che qualche volta compare. Il Rock quindi è la via maestra nei suoni distorti e graffiati, ma anche nella forza contenuta in tutti i racconti di questo album, anticipato dal brano “Non ho Tempo”. In questo lavoro Sabina Caruso canta e suona la sua chitarra accompagnata da Daniele Grasso alle chitarre e all’elettronica, e Giusy Passalacqua alla batteria. Dal vivo invece la situazione cambia, infatti la giovane cantautrice siciliana, che studia anche Legge e lavora in un’agenzia turistica, sul palco canta, suona la chitarra, le percussioni e la tastiera, supportata dal bassista Michele Musarra, dal batterista Giovanni Amato, dal chitarrista Livio Rinaldi e dalla special guest Vincenzo Di Silvestro al violino e synth.Insomma una donna e una musicista che non perde tempo, infatti tra un annetto potrebbe anche uscire il suo secondo album dato che ha già in cantiere una settantina di brani nuovi di zecca, ed è interessante il suo pensiero: le canzoni esistono prima che noi le creiamo, semplicemente scelgono da chi essere scritte… adesso, meritano di essere ascoltate.

L’unico consiglio importante che mi verrebbe di dare per migliorare la promozione di quest’artista è quello di ampliare e creare degli spazi per ascoltare Senza Remore gratuitamente. A discapito di quello che molti dicono, secondo me, l’ascolto gratuito di un album è già di per sé un’ottima promozione nel marasma musicale odierno, proprio perché stimolerebbe a un ascolto integrale e più attento, in più sarebbe già un’ottima opportunità per farsi conoscere ed apprezzare da un pubblico più vasto che poi potrebbe comprare l’album, i gadget e i biglietti dei concerti. La fase di promozione musicale è molto cambiata rispetto per esempio agli anni settanta ma l’ascolto gratuito e il tanto girare potrebbero essere una parte  del segreto del successo odierno.

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All-Female Bands. Parte prima.

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Con il termine All-Female Bands si indica un gruppo formato sostanzialmente ed esclusivamente da donne. E questo a mio parere è già un paradosso, perché il solo fatto di sottolineare la formazione femminile di una band rende il tutto un avvenimento speciale quando dovrebbe essere assolutamente normale. Ma tutto ciò, e sottolineo a mio parere, è “colpa” della storia. Della storia della musica e del potere in generale che ha sempre messo (o quasi) le donne in secondo piano, perché ritenute più deboli e meno capaci. Partendo da Nannerl Mozart (1751-1829), ritenuta di grandissimo talento, soffocato però dalla storia, dalla genialità del fratello o forse anche da se stessa. O come Teresa de Rogatis (1893-1979), chitarrista, pianista e compositrice, buttata letteralmente giù dal podio perché ritenuto troppo “scandaloso” che una donna potesse comandare a bacchetta i maestri e colleghi maschi. Due semplici esempi per sottolineare da dove veniamo. Ma la storia fortunatamente sembra essere cambiata, infatti vediamo donne che lavorano nelle orchestre, che le dirigono, come Marin Alsop, Silvia Massarelli e Giulia Manicardi, e che calcano i più importanti palcoscenici mondiali, come la chitarrista classica Sharon Isbin o Jennifer Batten, chitarrista di Michael Jackson.

La scena musicale internazionale (contemporanea e rock in generale) dell’altra metà del cielo, per dirla in termini romanzati, si sta agevolmente arricchendo e potremmo citare le Girlschool, band londinese famosa soprattutto negli anni ottanta, hard & heavy metal sicuramente nel look, anche se in “Don’t Call It Love” non si direbbe, o anche la tribute band The Iron Maidens, un copia-incolla utile solo a far sbavare i maschietti. Per il Pop-Rock non si può dimenticare The Bangles, trio americano, con all’attivo cinque album, soprattutto di ballate e cover, o le Bond, quartetto d’archi australo-americano, che contamina musica Classica con Pop/Dance, in attività dal 2001. E tante altre come le Haim, quartetto di Los Angeles  sicuramente da ascoltare, o le Thelma & Louise del Rock, Deap Vally, tra i cui pregi live ci sono quasi esclusivamente i tanti capelli e i pantaloncini scosciati. Ma l’elenco sarebbe troppo lungo.

Come in tutto il resto del mondo anche in Italia le cose iniziano a muoversi. E in questo viaggio melodico troviamo molti gruppi formati da due donne che spesso sono autrici di musica e testi, come le Amavo, duo chitarra-voce e batteria formato da Anna Lott e Silvia Lovo, attive dal 2004 e nel 2012 con il nuovo album GraceFool, fatto di Rock scomposto, dissonante, ma a tratti melodico e interessante. Oppure le Tree B***h, alias Alice Bianconi e Angelica Gallorini con il disco d’esordio Modem, di sei tracce quasi improvvisate e dal suono ancestrale, che lascia però un po’ sgomenti. E ancora un duo con le Iotatola, Serena Ganci e Simona Norato, alter-ego una dell’altra che si esprime nel primo interessante lavoro Divento Viola del 2011, dopo il quale parte la loro carriera Indie-Pop. Le She Said Destroy!, duo Noise-Pop bolognese con una biografia stringatissima, invece escono nel 2013 con la ristampa del loro Ep Conflicting Landscapes affidata all’etichetta La Stalla Domestica.

Di formazione un pochino più corposa sono per esempio le Bambole di Pezza, band italiana soprattutto milanese, che si formò nel lontano 1997, attenta oltre che all’aspetto musicale particolarmente Rock-Pop-Punk anche al mondo femminile in generale. Più variegata la formazione delle Roipnol Witch, band emiliana, che dal 2004 propone un Indie Rock alternativo a tratti anche melodico e interessante per l’alternanza delle voci (tranne che per l’elettrica rosa), che assieme alle Dogs Don’t Like Techno, che propongono un Punk-Rock misto a Noise-Sperimentale proprio per unire ricerca sonora da un altro lato intima, partecipano al movimento Rock With Mascara che dal 2005 ripropone serate musicali e itineranti, in cui sono all’attivo altre bands come le LeiBei, le Muble Rumble, le Kill The Nice Guy, trio fiorentino che scrive in inglese e ripropone ottimi live, le Doppie Punte, le Steri Strip Shotgun Babies, le Eggs Salamaini e le Anphetamina C, band all-girls milanese, con all’attivo due demo e tanti cambi di formazione, ma come loro stesse dicono “il messaggio anti sessista, anti machista e anti omofobo delle Anphetamina è rimasto sempre lo stesso”.

Gli Honeybird & the Birdies, gruppo per i due terzi femminile, miscela sonorità Indie-Rock con tinte brasiliane e psichedeliche, rendendo la loro musica molto singolare. Come ultimo loro lavoro si potrebbe citare You Should Reproduce uscito nel 2012 per la Trovarobato. Invece, due ragazze e un maschietto. Chitarra in eco perenne, voce femminile sussurrata al basso e batterista verticale, è la descrizione che i Be Forest fanno di loro stessi, giovanissimo trio pesarese che con il debutto di Cold hanno ammaliato con sonorità scure in contrasto con l’angelica voce di Costanza.

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Progetto Panico – Maciste in Paranoia

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C’era una volta un gruppo che nasce nel  torrido agosto, o nell’autunno non si sa bene, del 2010 in una sperduta cittadina del middle Italy: Spoleto. Un giorno infatti Pan incontra due loschi figuri, Gilando e il Nano nel bar più lurido della città ed avviene l’incanto… i Progetto Panico. Così il trio inizia a organizzarsi con Enrico Carletti alla chitarra e alla voce, Luca Benedetti al basso e Leonardo Mariani alla batteria, provando e sperimentando vari suoni per trovare la loro strada musicale e per cercare di farci entrare le varie influenze dei tre musicisti. La strada però è impervia, va dai Beatles poi svolta ai Tool passando per Pupo, ma finalmente si giunge a quel punk dalle sonorità anni 90 contaminato da un mix di ska, reggae e rock. Un anno dopo nel 2011 esce il loro primo ep autoprodotto Livello Zero, formato da sette brani di cui due vengono inseriti in varie compilation. Contemporaneamente a questo, continua la loro esperienza live, vincendo contest e dividendo il palco e le compilation con gruppi famosi: 99 Posse, Il Pan Del Diavolo, Lo Stato Sociale, Bud Spencer Blues Explotion, Be Foreste ecc.

Finalmente nel 2013 esce il loro primo lavoro in studio Maciste in Paranoia. L’album registrato all’Urban Rec di Perugia e masterizzato al BigTune Studio, per la “Taratura Limitata Record” l’unica etichetta nata major, con l’esimio dittatore sonoro, Lorenzo Briguori, è composto da ben diciassette brani che poche volte superano i tre minuti di lunghezza. Un lavoro coloratissimo fin dalla copertina che rappresenta bene il titolo del lavoro in una grafica stile fumetto cinematografico anni sessanta-settanta e che emana nel suoi quarantacinque minuti un sound veloce e ritmato, fin dai primi brani “Avatar”, “Oh Mamma”, anche vincitore del premio della critica nel blog Musica che dovresti conoscere, e “Scimmia d’Acciaio” i cui testi procedono per ripetizioni infinite seguiti però da un chiaro impasto ritmico. “Fuori Contesto” rallenta un po’, chiarificando il testo che diventa più comprensibile assieme alla melodia interessante, seguito allo stesso modo da “Rasta Rancoroso” e “666”. “I Ching” ritorna in quel ritmo ossessivo da pogo, abbandonato in “Ascesi a Metà”, brano abbastanza interessante, e ripreso in “Sul Gozzo” con il suo testo sempre ripetuto come in “Sbattimi, la Porta in Faccia”. La ripetizione di parole o frasi, dunque, è  l’elemento che più salta all’orecchio, che rende il lavoro interessante solo all’inizio e che lo svuota di interesse verso metà ascolto. Il ritmo è un qualcosa che può essere espresso in un andamento veloce ma anche in uno lento e se si vuol giocare con la velocità lo si deve fare fino in fondo, sperimentando andamenti, testi e colori musicali, altrimenti si cade nella noia e nel già sentito. L’andamento cambia radicalmente alla fine in “Maciste in Paranoia” che procede a ritmo quasi di valzer con un testo nonsense e una vocalità interessante e che dovrebbe essere scoperta piano piano.

Insomma un album che non mi ha fatto saltare dalla sedia, ma che contiene qualcosa di interessante, che potrebbe essere sfruttato meglio, riducendo magari il numero dei brani e rendendo ogni brano più speciale e più interessante.

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Pills Týden Patnáct (consigli per gli ascolti)

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“Le Pills non sono cattive. Le Pills sono musica. Il problema è quando quelli che ascoltano le nostre Pills le considerano una licenza per comportarsi come teste di cazzo.” Frank Zappa
Dalle novità extraconfine (su tutti il nuovo The Knife) proposte dal nostro Don, ad una mini carrellata storica targata Sannella. Dalla solita nuova scoperta della nostra Diana (stavolta svedese), sempre in crca di talenti nascosti, ad un classico tutto italiano proposto da Riccardo.

Silvio Don Pizzica
Mazes – Ores & Minearals   (Uk 2013)   Noise Rock     3/5
Come all’esordio, ancora psichedelia sporca in chiave Indie per la band britannica. Come all’esordio, il secondo lavoro dei Mazes non lascia intravedere niente di sensazionale, sotto ogni aspetto.
Dirk Serries – Microphonics XXI-XXV   (Bel 2013)   Ambient, Drone Music   3/5
L’artista belga riesce ad essere imprevedibile, qualunque cosa decida di fare. Questo lavoro ne è la riconferma. Tra atmosfere Ambient e droni elettrici e languidi, non potete perdervi l’ultimo capitolo della pseudo saga Microphonics. Sempre che non sia musica a voi indigesta.
The Knife – Shaking the Habitual    (Sve 2013)   Electronic, Experimental   3,5-4/5
Non per fare lo snob ma un po’ fa rabbia ascoltare tutto l’entusiasmo creato attorno a questa formazione considerando che da fine millennio a l’altro ieri la cagavano veramente in pochi. Oggi sembra la moda del momento ma in realtà, dietro a tutto questo, c’è un album fantastico che ha il merito di crescere ad ogni ascolto.

Max Sannella
Country Joe And The Fish – I Feel Like I’m Fixin’ To Die   (Can 1967)   Psichedelia    5/5
LSD e amori  incontrollati a cavallo di una psichedelica ottenebrante e a due passi dalla luna.
Culture Club  – Colour by Numbers  (UK 1983)   Pop Dance   3/5
Boy George e Soci strabiliano i dancefloor  internazionali con un mix di pop entravesti e calori jamaicani. Fanno centro!
The Cure – Wild Mood Swing    (UK 1996)   Dark Wave   4/5
Dalla “Generazione degli Sconfitti” i Cure di Smith si ricolorano di altre sfumature e promuovono un capitolo sonoro che cambia di non poco il loro status.

Diana Marinelli
Den Svenska Bjornstammen – Ett Fel Narmare Ratt   (Sve 2012)   Pop Techno   3/5
Cliccando a caso si può scoprire musica interessante come questa band svedese formatasi nel 2010 che miscela Pop, Techno e una puntina di Folk.

Riccardo Merolli
CSI – Linea Gotica    (Ita 1996)   Art Rock, New Wave    4,5/5
La migliore (post)rock band italiana di sempre incide un disco dalle tinte forti e sapori amari, l’inizio di una rivoluzione musicale che purtroppo in Italia non si può fare.

Marialuisa Ferraro
Smashing Pumpkins – Mellon Collie And The Infinite Sadness    (Usa 1995)   Rock    5/5
È semplicemente un must have, si presenta da solo, ma va assolutamente ripassato in cuffia di tanto in tanto, per sentire come la voce di Corgan si amalgami perfettamente con l’orchestrazione.
Half Japanese – Half Gentleman/Not Beasts    (Usa  1980 – Ristampa 2013)   Rock   3,5/5
Molto complesso etichettare con un genere questo lavoro: é un’esplorazione primitiva tra le matrici dei generi e le pulsioni ritmiche del reagire umano. Un disco cupo per molti aspetti, violento e crudo, che raramente cede il passo al puro godimento armonico-melodico.

Vincenzo Scillia
Iggy Pop & The Stooges – The Stooges    (Usa 1969)   Punk Rock    4,5/5
Il suono primitivo di un gruppo che è pura storia. “The Stooges” racchiude quel grandioso suono da garage che in tanti hanno seguito. Rispolverare questa perla è stato un vero privilegio.
Finntroll – Nattfodd    (Fin 2004)   Folk Metal    4/5
“Nattfodd” dei Fintroll è un simpatico disco che ha la capacità di farti immaginare di stare in mezzo agli abitanti del piccolo popolo. Tra fate, elfi, nani e troll vegliano più che mai i riff, le cornamuse ed il cantato in growl dei Finntroll. Una chicca di album.

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Disorchestra – Umano Disumano

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I Disorchestra, trio formato dal cantante, chitarrista e autore Giulio Marino, dal bassista Emanuele Ciampichettie dal batterista Alessio Palizzi,che nel 2012 esce con l’album d’esordio intitolato Umano Disumano, due termini antitetici per spiegare l’umano, inteso come attenzione all’Essere, sostituito da una disumanizzazione spietata dell’individuo.

Un lavoro di tredici brani che si muovono nel Rock Cantautorale tipicamente italiano, a tratti alla Marlene Kuntz, pieno di elementiteatrali nell’uso della voce e soprattutto poetici nei testi molto fitti, come loro stessi dicono senza molte pretese, che come nella maggior parte delle volte nella sfera cantautorale esprimono il mondo interno dell’artista, con i suoi sentimenti, pensieri, passioni e preoccupazioni, confrontandosi poi con la parte oggettiva del complicato mondo contemporaneo. L’andamento del disco appare però fin troppo omogeneo, nella parte vocale sempre uguale a se stessa nel modo di cantare parlando, nel ritmo e nella parte strumentale che potrebbe esplodere in sonorità più Rock ma invece non lo fa se non ne “La Camera Elettrica” che sottolinea soprattutto nella batteria l’ansia di vivere e in “Non è Nessuno”rabbioso e dolce allo stesso tempo. Interessante è invece “La guerra dei Poveri” ultimo brano del disco che finalmente sperimenta nuovi orizzonti sonori con un country ironico sulle guerre quotidiane contro nemicisbagliati per la gioia di un potere che si ricicla e ingrassa… e brani come questo spiegano perché la musica e il cinema riescano a raccontare la realtà e la vita in modo più facile e sincero rispetto alla politica fasulla. Peccato che poi poeti musicali come Franco Battiato si siano lasciati trasportare dall’infamia e dalla lode di un mondo forse troppo lontano dall’arte musicale, facendola vergognare di espressioni sempre più volgari.

Umano e Disumano, quindi, è un lavoro “adulto” forse un po’ troppo e un po’ troppo carico del peso della vita, con i suoi riferimenti all’amore finito, alla mafia, alla tossicodipendenza, alla perenne agitazione dell’individuo nonché del popolo. Tutto questo certamente è utile per spingere la gente a pensare e a riflettere invece di farsi trasportare dalle mode, ma dal punto di vista della melodia che viene definita asciutta, sembrerebbe un lavoro che con molta difficoltà lascia trasparire qualche brivido musicale. Tutto sommato un buon esordio, ma per finire un consiglio: uscire dagli schemi e colorare il Cantautorato con altre sfumature musicali forse sarebbe una strada da imboccare, tanto male che vada si può sempre cliccare il tasto cancella.

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Bruno Bavota Ensemble – La Casa Sulla Luna

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La copertina di questo album fatta da disegni semplici, colorati con colori primari, in primis un bellissimo blu notte, e un musicista che con il suo pianoforte raggiunge la luna, mi ha riportato alla mente quando da piccola lessi il Piccolo Principe. Quel musicista che cavalca la nuvola della musica è Bruno Bavota, pianista e compositore partenopeo che nel 2013 esce con il suo secondo album La Casa Sulla Luna, per la Lizard Records.

La Casa sulla Luna è un album di nove tracce strumentali, dedicate nella maggior parte dei casi alla signora luna. “Ho comprato casa sulla luna, qui non ci sono oceani da solcare ma crateri da riempire.  Ho comprato casa sulla luna, qui non c’è suono. Come un ruscello canto la mia melodia alla notte”. La luna e la notte che da anni e secoli sono le protagoniste più gettonate non solo della storia della letteratura ma anche della musica, continuano ad esserlo anche nel 2013 e non stupisce che un giovane e romantico compositore possa aver ceduto al loro fascino. Al fascino di una melodia malinconica e di un pianoforte senza tempo, che però il tempo ce l’ha eccome e non solo uno preciso di metronomo ma un tempo di un determinato momento storico musicale, quello minimale/contemporaneo, a cui paragonarlo. Si potrebbero fare dei nomi, come lo stesso Bavota fa sul suo profilo Facebook e sulle sue biografie: Ludovico Enaudi, Roberto Cacciapaglia, Giovanni Allevi …ah no questo non era citato, ma può sempre saltare alla mente anche se cosa abbastanza scontata.Ritornando al disco, “un viaggio musicale della durata di 36 minuti”,  potrei dire che uno dei pregi è sicuramente il bel timbro dello strumento principale, un pianoforte Steinway&Sons model D-274, e il piacevole impatto che l’orecchio ha con tutti i nove brani. Brani romantici, malinconici, sereni, a seconda del momento, utili per fare da sottofondo a foto di ricordi romantici (magari anche di qualche ex che vuole farsi del male). Piacevoli anche e soprattutto i brani dove il pianoforte duetta con il violoncello di Marco Pescosolido e il violino di Paolo Sasso. Dall’album è stato anche estratto un singolo che poco tempo fa è diventato video ufficiale e si tratta di “Amour”, girato nella stazione londinese di St. Pancras. “Un pianoforte risuona in solitudine tra pochi passanti.Là dove, tra addii, rincorse e sguardi fugaci tra passanti indifferenti, gli amanti si stringono forte l’un l’altro…”.

Tutto gradevole ma qualche interrogativo può saltare in mente. Del tipo: perché con uno strumento così potente come il pianoforte, che per secoli ci ha abituati a Bach, Mozart, Beethoven, questo giovane musicista non si spinge oltre? Oltre il limite del suono, dell’armonia e di ciò che è conosciuto? Perché si ferma nell’atmosfera scontata di suoni e di melodie già un po’ sentite? Per quale motivo dovrebbe essere ricordato? Nonostante i tempi che corrono, le industrie musicali, il sempre più fiorente moltiplicarsi di gruppi, musicisti e album, e l’estrema facilità che si ha oggi nell’ascoltare musica, l’ascolto vero, studiato che diventa piacere assoluto rimane sempre cosa difficilissima. Infine è pur vero che nell’assoluto c’è il bisogno di avvicinare i giovani alla musica classica, ma non bisogna sempre farlo con la pappa pronta alla mano, anzi all’orecchio. Nonostante queste mie riflessioni, certamente scaturite dall’ascolto de La Casa Sulla Luna (e questo lo inserirei nella lista dei pregi), rimane un lavoro gradevole e ben suonato.

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Uross – L’Amore è un Precario

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Tra l’Italia e l’America c’è Uross, cantautore pugliese attivo dal 2000 con l’ep Musiche da Quattro Soldi, dopo il quale  seguono tanti altri demo e lavori non ufficiali fino ad arrivare al suo secondo album L’Amore è un Precario uscito nel febbraio del 2013, che conta dieci tracce e un omaggio a Rino Gaetano, “Il Cielo è Sempre Più Blu”, settimo brano sul quale è stato fatto a mio parere un buon lavoro di coverizzazione in uno stile molto diverso dall’originale.
Tutto il nostro mondo raccontato in questo album, fatto da bellissime chitarre, anche slide come nel primo brano, da armoniche, testi sinceri, musiche uniformi e atmosfere west accompagnate da ritmo e rime. Una miscela di Rock, Blues, Pop e Folk che per autodefinizione Uross chiama Bastardmusic, come la sua vocalità, quasi parlata e in alcuni punti urlata per esprimere il disagio e tutte quelle emozioni forti del potere cantautorale.Tutto questo anche grazie al lavoro di musicisti, come Maurizio Indolfi e Oscar Marino alla batteria, Andrea Brunetti alle tastiere, pianoforte e organo, Andrea Acquaviva e Carletto Petrosillo al basso.

Il mondo di Uross si muove attraverso quella precarietà che purtroppo è all’ordine del giorno, nella quale i cambiamenti avvengono solo grazie al duro lavoro, fatto “in giorni che passano presto in facce che si dimenticano in fretta”(“Chiedi Alla Polvere”). “Ego”, secondo brano dell’album, racconta più a fondo la visione dell’ipotetico cambiamento di ognuno, l’esistenza di ognuno di noi paragonata ad una strada, ad un viaggio visto come un’ottima esperienza oggettiva di cui la musica si fa portavoce (“Noir”) e l’equilibro critico con cui a volte la vita stranamente procede, invece, è il protagonista del quarto brano “Claustrofobikronico”, anche video ufficiale. Un richiamo a Rino Gaetano lo possiamo scorgere anche in “Cane Vagabondo” soprattutto nell’ultima frase “la sveglia lo sveglia per andare…A LAVORARE” dopo una notte passata a vagabondare per le vie di una città vuota o forse quasi spenta. Lo sconforto a mio parere si fa largo in “Sto Così Scomodo Che Resto”, sesto brano de L’Amore è un Precario, dove viene citata la corruzione, il silenzio interno con cui purtroppo procedere la vita e l’orgoglio inchiodato allo scoglio, e dove compare la seconda voce di Angela Esmeralda. All’ordine del giorno, oltre alla precarietà c’è anche e soprattutto il “Bu$ine$$” di se stessi, dei propri bisogni e sentimenti probabilmente mossi  da un “Flusso di Incoscienza”, dove per la prima volta appare la parola amore, l’amore che dopo pochissimo si scopre essere una bugia, una parola che non significa più nulla in questo mondo dove a vincere è solo la sopravvivenza (“una sola regola, DEVI respirare finché non respiri più”). “Al Mio Funerale” procede per molte rime in un’atmosfera tra blues e quel cantautorato tipicamente italiano e “Lontano”, brano che chiude il lavoro, conferma ogni pensiero e ogni sentimento della vita in generale, accompagnata questa volta dalla figura della mamma attraverso una bellissima visione romantica “Sentivo suonare nel vento carillon antichi di orologi scordati”.

Un album scambiato molte volte come un lavoro d’esordio e in fondo non sarebbe male paragonarlo ad una nuova rinascita. La rinascita sempre nuova di cantautori impegnati ed attenti all’io della propria terra e del proprio mondo.

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Monday – Smooth Phase Ep BOPS

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Questo ep mi è arrivato proprio di lunedì. Sarà stata una coincidenza? Strano. Comunque dopo svariato tempo ho capito che c’è chi adora il lunedì e chi invece lo odia fortemente, da Snoopy a tutti quelli che vedono davanti a se una lunga settimana interminabile, sognando il week end magari dal mercoledì. E su tutto questo pensiero quattro ragazzi di Rimini fondano il loro gruppo: i Monday, all’attivo nel 2013 con il loro ep SmoothPhase. Un lavoro di sei brani, in inglese, dove la voce di Stefano Spada, la chitarra di Marco Pandolfini, il basso di Andrea Muccioli e la batteria di Davide Quadrelli si fondono con sintetizzatori e musica digitale per creare un ottimo Dark-Rock, pieno di atmosfere e visioni moderne e un po’ malinconiche. Tutto questo abbracciato da un ritmo presente, molto anni 80, che porta l’ascoltatore sulla pista di una discoteca darkettona, piena di capelloni e ragazze dalle creste viola. Un cliché? E’ molto probabile. Uno stereotipo che mi serve, però, da complimento al gruppo riminese, per il sound e la scelta di non imprigionarsi in un genere sostanzialmente Dark, che poteva allontanare molti ascoltatori, aprendosi invece ad atmosfere più ritmiche e Rock, rendendolo gradevole anche a chi è abituato ad ascolti più classici. Infine, le tante ore di sala prove che delineano gli ultimi due anni dei Monday si sentono eccome, e proprio questa ricercatezza dovrebbe essere la base per tutti coloro che vogliono fare musica. La ricercatezza del proprio sound, delle proprie visioni e del proprio essere, che rende i Monday un gruppo da tenere sott’occhio.

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Come Gatti Nell’Acqua – Paranoighnen Activity

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Talvolta i musicisti, volendosi allontanare dalle etichettature e dai generi, affermano che la loro musica non appartiene a nessuna categoria ben definita, quando in realtà esiste eccome. Altre volte invece il genere musicale muta, di album in album, facendo allontanare dei fans, avvicinandone degli altri. Oppure per sperimentare al massimo si cerca di non rinchiudersi in una sola idea, spaziando attraverso le diverse combinazioni musicali esistenti, come hanno fatto quattro ragazzi di Predazzo, che in questa realtà si sentono Come Gatti Nell’Acqua. Affermazione molto chiara e condivisibile, data la condizione odierna della gioventù, sballottata tra l’idea del presente e del futuro assolutamente incerto.Tutto questo viene ben raccontato nel loro primo lavoro Paranoighnen Activity, uscito a dicembre 2012 e accompagnato da una brevissima descrizione del gruppo (“suoniamo pezzi originali, spaziamo un po’ qua e un po’ la e soprattutto ci divertiamo un casino”) formato da Tobia alla voce, Eugen alla chitarra e synth, Trudenji al basso e cori e Dalle alla batteria.

Dieci brani i cui testi fortunatamente dicono qualcosa, a differenza di molti altri gruppi emergenti e non, parlando della fede in Dio, dell’esistenza di altre forme di vita, dell’importanza del lavoro, disensazioni malinconiche, della paura, dell’amicizia e della voglia di sognare.  Tutto questo per il gruppo è un modo di comunicare, spesso in rima, quello che nella vita è importante, non pensando sempre all’idea che la scrittura deve sempre parlare dell’amore, della felicità o della tristezza legata ad esso. Spesso nelle canzoni, soprattutto in quelle più commerciali, è così, ed è una noia assoluta, perché dopo il primo brano non c’è più un’idea originale. Quindi i testi che contengono dei pensieri e delle riflessioni, ben vengano. Testi che in questo album vengono espressi attraverso un cantato poco classico, quasi parlato e talvolta sboccato, non inteso con parolacce, più che altro con finali molto aperte e libera intonazione, ma tuttofa parte del lavoro complessivo anche un po’ Punk, che inizia con una parlata alla Lino Banfi per sfociare in un timbro alla Caparezza in “Funky Cristo”. Si prosegue con “Il Blues Degli Alieni” e tutto, voce e accompagnamento, rimane in questa atmosfera, che subito cambia in “Turbopolka Del Lavoratore, in ritmo ternario e intenzione molto popolare, quasi da sagra (che va messa a punto nel ritmo, che talvolta presenta delle indecisioni). Il Funky e il Reggae si mescolano in “Qui Puoi!” con cori che dovrebbero autenticarsi un pochettino. L’atmosfera rock, invece, prende piede in “Botte e Lividi, quinto brano che all’inizio sembra ricordare Vasco Rossi ma poi cambia tangente quasi verso i Deep Purple, come in “Scimmia Maledetta”, simile alla precedente, ma più comprensibile come urlo di sfogo, nel suo breve esistere. “Come Gatti Nell’Acqua, settimo brano dell’album, si apre con un arpeggio suonato sotto il lamento sembrerebbe di un bimbo, che subito scompare per cedere lo spazio al ritmo e cantato incisivo e veloce. “Vampiri” e “Tante coccole” invece, dopo degli intro strumentali abbastanza presenti, si muovono in atmosfere rock, con sonorità simili a tastiere hammond nella prima, e metal che sfocia nello Ska nella seconda, allontanandosi dall’immaginario del titolo che fa presagire una ballata. E per finire “Tu Vuoi Ballare Con Me” è l’ultimo brano che chiude questo lavoro, che per certi versi ha tanti pregi: generi disparati, completamente diversi ma coesistenti, scrittura significativa dei testi e organizzazione musicale pensata. La voce e il colore degli strumenti non fanno impazzire, a differenza della grafica di tutto il disco, molto moderna e particolare, ma questo dipende solo ed esclusivamente dai gusti personali.

 

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Lorian – Demo BOPS (recensioni tutte d’un fiato)

Written by Novità

Vito Solfrizzo, voce e basso, Cristian Fanizzi, chitarra, Alessandro Spenga, batteria, e Domenico Lippolis, piano, hammond e synth, formano i Lorian, giovane gruppo barese, che dall’inizio del 2012 propongono, assieme ai loro brani originali, anche i grandi successi del passato (Pink Floyd, The Police, U2, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Santana). Una demo, la loro, formata da tre brani: U.R.A. (Utopia Realmente Astratta), L’Ombra del Sole e Gladio, dove il rock, di stampo assolutamente classico, è il genere predominante, con tinte di progressive e qualche puntino di funk. Buoni i soli di chitarra, gli arrangiamenti e l’uso dei cori. La parte vocale, invece, rimane sempre un po’ standardizzata e uguale a se stessa, quando potrebbe andare oltre le proprie capacità, sperimentare nuovi colori e modi di esprimersi. La strada è ancora lunga, ma i migliori amici per i giovani musicisti sono il tempo, la sperimentazione, totale, perché no anche sfrenata e lo studio, il resto è solo fortuna.

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The Autumn Leaves Fall In – The Different Visions of Things

Written by Recensioni

Il 2013 si tinge post-rock, con l’uscita, il 17 gennaio scorso,di The Different Visions of Things, primo album dei toscani The Autumn Leaves Fall In, il trio formato da Lorenzo Terreni (chitarra), Fabio Melani (basso) e Alessandro Lucarini (batteria), formatosi nel 2010.
Sei tracce per scoprire la diversa visione delle cose. Come i cieli ghiacciati di un futuro lontano, in cui il noi si trasforma in un’unica entità, attaccata da ombre teatranti, tra le nuvole sopra i grattacieli o nel più profondo nascondiglio, fino a tronare bambini. Sei mondi. Sei sensazioni così diverse che potrebbero sembrare reminiscenze ci centinaia di persone.Che regalano emozioni dalla purezza al caos, dalla pace all’inquietudine, come loro stessi scrivono. Diversi modi di interpretare e di sentire, dunque, niente testi, niente parole inutili. Solo musica, finalmente!
E tutto inizia con Blue Ice Sky, il primo brano che lentamente presenta gli strumenti e rimane in quell’atmosfera sospesa di sperimentazione fino al terzo minuto, dopo il quale tutto diventa più tangibile, più terreno, come una corsa, ma verso il nulla… Wewereone procede quasi alla stessa maniera, battute uguali, che si ripetono all’infinito, assieme  alla batteria che come una marcia porta il tempo. Un tempo che si perde, nei pensieri o nella malinconia di qualche ricordo, che magari affiora ad occhi chiusi, mentre la musica inizia a declinarsi. Ma le ombre di Chinese Shadows Theaternon emanano paura, ma quasi tristezza,che quando esaurisce il suo percorso, lascia un vuoto o forse troppo silenzio. Silenzio che si spezza con Like Clouds Over Skyscrapers, che potrebbe, ma non lo fa fino in fondo, ben accompagnare le immagini di splendidi viaggi, di posti nuovi, incantevoli, arabeggianti o moderni fino all’eccesso. E dal quinto brano, Deeperthroughit, si va verso la fine, ma, ecco, forse la pecca di questo lavoro: troppa batteria. Strumento splendido, suonato con bravura, ma che talvolta opprime tutto il resto, che comunque chiede attenzione. Kids chiude l’album, con i suoi sei minuti di musica soffice, accostata all’infinito con le sue mille ripetizioni. Un finire che ricorda un sorriso o un arrivederci al prossimo album.Blue IceSky, Wewereone e Kids sono a mio parere i brani più interessanti, ma che nascondono qualcosa di celato, di non detto, di trattenuto..
The Different Visions of Things è un buon primo lavoro, nel quale il rock prende piede, contaminato dall’ambient e dalle sperimentazioni, che però dovrebbe liberarsi da tutto e lasciar andare la musica a briglie sciolte. La musica suonata ad occhi chiusi, senza schemi, senza pensieri, per dar vita a qualcosa di più caratteristico. Per creare atmosfere magiche, come i Giardini di Mirò o i SigurRòs. Queste sono mie esternazioni personali, certo, ma se è vero che la musica è l’arte delle arti (anche se non sarei molto propensa nel sostenere questa affermazione) allora la musica può tutto: creare colori, far nascere mondi, raccontare delle storie.. Può e deve creare tutto questo, altrimenti rimane solo musica, solo note e nulla più. I The Autumn Leaves Fall In si definiscono una band che continua a evolvere il proprio sound pur rimanendo fedele alla matrice post-rock, e sono sicura che in questa evoluzione uscirà fuori tutta quella musica di cui parlavo prima.

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