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I Dottori – Canzone perfetta

Written by Recensioni

La scena musicale romana è da sempre prolifica e ben connotata. Da Max Gazzè a Nicolò Fabi, passando per l’Alex Britti del blues e della chitarra sanguigna (non certo quello de La Vasca), i musicisti romani hanno sempre saputo crea una formula di cantautorato elegante e pop al tempo stesso, profondo e leggero, tecnicamente piuttosto elaborato e contemporaneamente immediato.

La  nuova generazione, quella che sta cercando, con esiti anche piuttosto felici, di uscire dalla cantina, sembra aver imparato la lezione. Mi riferisco soprattutto all’esperienza dei Cappello a Cilindro e del progetto nato dalle loro ceneri, gli Eva Mon Amour, così come alla decennale attività  dei Kardia (che la settimana scorsa hanno lanciato in rete il video della loro Settembre).
I Dottori si insinuano in questo panorama florido con il loro Canzone perfetta, album che consta di 13 tracce, tutte cantate in italiano, con influenze che vanno dal folk all’hardcore americano.
Il disco si apre con Christine, che vanta un ritornello molto potente, quasi urlato, stile primi Afterhours, a dispetto di un arrangiamento che forse è il più debole di tutto il cd. Simile, ma ancora più rock è la costruzione di Belladonna. La pastiglia ha una strofa folk sincopata e un cantato piuttosto sillabico che si lascia andare in un ritornello molto pop, col testo in rima (quelle orrende rime tronche a cui ci piega la nostra lingua italiana – “ho sempre quel problema lì/prendi una pastiglia sì”): ottimo espediente per l’orecchiabilità, un po’ meno per l’originalità. Nero gioca, quasi teatralmente, con una risata sardonica in sottofondo, che dialoga cinicamente col testo, commentandolo con forza e indicando  l’interpretazione. Il ritornello lento e lirico ricorda vagamente i Negramaro di 000577, soprattutto per la melodia vocale. I Dottori, fin da queste prime quattro tracce sono riusciti a dare uno spaccato della loro produzione: si sente l’eredità di Gaber, con tanto di ironia sociale, inserita in un contesto profondamente rock nostrano e non solo, che strizza l’occhio spesso e volentieri alla canzone popolare, con le sue sonorità acustiche e i ritmi in levare. E proprio questi ultimi sono il fondamento portante di L’artista, non troppo velata critica alla massificazione della produzione d’arte e al ruolo del musicista che si riduce a “pezzi da classifica”: il vero tema del brano, più che nel ritornello, sembra ritrovarsi in quel hi-hat aperto sui tempi pari. La title-track, La canzone perfetta, è la più cantautorale di tutto l’album e ha una costruzione più complessa di altri brani: l’andamento iniziale, da ballata folk, sporcata dalle dissonanze dei cori (molto Alice in chains), lascia spazio a distorsioni e ritmi in levare con back voices non-sense dal sapore un po’ jazz. E ancora il cantautorato, ma più pop questa volta, la fa da padrone in Fosse per me, con una salita progressiva della voce che ha un gusto molto belcantistico nazionale. L’anonimo è forse la traccia più furiosa di tutto l’album: distorta, potente, calda, con sonorità che sembrano fondere i Sonic Youth e i Faith No More. Dio c’è è un momento invece riflessivo, con le parole ammiccano a De André e Bubola (mi riferisco soprattutto alla reiterazione di “quello che”) un andamento cullante e l’orchestrazione ridotta all’osso con pochi, sporadici, interventi delle chitarre quasi pulite. I Dottori hanno saputo dare sfoggio di una professionalità veramente invidiabile, sia per quanto riguarda la composizione dei brani, sia la registrazione del cd. Non è facile fondere tante ispirazioni diverse mantenendo una certa omogeneità stilistica. Il livello artistico è sicuramente alto così come la maturità e i contenuti da comunicare (cosa non da poco), anche se manca, almeno da disco, quella verve necessaria a catturare e mantenere l’attenzione dell’ascoltatore. Non è tutto veramente già sentito, ma la band sembra camminare sempre su quel filo sottile tra banalità e personalità. Molto apprezzabile è la scelta di cantare in italiano, ad esempio, purché non emerga l’altra faccia della medaglia con certe cadute di stile italiote da canzonetta sanremese. I ragazzi dovranno fare molta attenzione a saper scegliere le loro mosse future per non cadere nell’oblio degli stilemi della già stra-sentita composizione nostrana: auguro loro di azzeccare le prossime decisioni, soprattutto quelle da prendere in sala prove.

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