Nick Cave & Warren Ellis – Carnage

Written by Recensioni

La sofferenza del mondo non è nulla al cospetto del dolore di un uomo.
[ 25.02.2021 | Goliath Enterprises Limited | art rock, songwriting ]

Non ce ne sono rimasti molti di pezzi di storia anni Settanta e Ottanta pronti a sfornare nuovi album ancora oggi, ma soprattutto non ne sono rimasti tanti in grado di suonare non come catapultati in un’epoca che non gli appartiene ma piuttosto con una sensibilità unica, segno di uno scorrere negli anni che lenti hanno attraversato cogliendo ogni piccolo aspetto di ogni singolo momento.

Non ne sono rimasti molti di credibili come Nick Cave, di apprezzati come l’australiano ed in grado di far breccia anche nel cuore dei più giovani, e poco importa se tanto deve aver fatto la presenza di un suo brano ormai vecchio di venticinque anni come main theme della serie “Peaky Blinders”.

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Nick Cave è uno di quegli artisti che ogni amante della musica tende a preservare, a trattare con cura e difenderlo da ogni possibile attacco e poco importa se il disco in questione ci piaccia davvero. Con lui non è più questione di giudicare, di paragonarlo ai suoi contemporanei, di valutare la validità di ogni singola traccia e, a dirla tutta, ogni critico ha sempre una certa paura, una sorta di giustificata riverenza all’approcciarsi ai suoi nuovi lavori.

Anche per questo motivo si fa fatica a trovare recensioni negative sulle sue opere anche recenti, e soprattutto può sembrare antipatico che proprio i critici non riescano a criticare Cave, neanche quando tutto sommato di motivi ce ne sarebbero. Partendo da questa lunga premessa cercherò di capire quanto davvero abbia da dire il nostro, superando ogni barriera possibile.

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Iniziamo dal suo compagno di viaggio, Warren Ellis, violinista che con Cave ha già avuto a che fare in passato e musicista dei grandi Dirty Three, band che ha segnato in maniera indelebile gli anni Novanta col capolavoro Ocean Songs. Sarà lui a porsi al fianco del cantautorato di Nick Cave per costruire il tappeto sonoro su cui leggiadra danzerà la voce poetica e malinconica.

Nel complesso, il risultato sarà tra i più toccanti immaginabili e il brano che dà titolo al disco rappresenterà l’emblema di tutto il magnifico dolore che trasuda dalle note. In quest’ottica, Carnage si fa giusta prosecuzione di opere precedenti come Skeleton Tree e Ghosteen eppure, al tempo stesso, se ne distacca, riportandolo in una dimensione più umana, meno trascendentale, come a rappresentare il dolore tangibile dell’uomo in ginocchio davanti a Dio, consapevole della sua sofferenza terrena ma comunque volenteroso di rivolgersi al cielo per chiedere sollievo.

Un disco che sembra realizzato in fretta e che si discosta dai tanti dischi usciti come trasposizione artistica del lockdown. Qui l’urgenza espressiva non ha nulla a che fare con quanto accaduto e continua ad accadere al mondo, perché davanti a tutto questo ogni singolo uomo vive tormenti propri acuiti dal fatto che tutto ciò che lo circonda tenderà a sminuirli in nome di una ricerca comune di salvezza dal male.

Questo, ma non solo questo, fa di Carnage il perfetto secondo capitolo di quello che ritenevamo il testamento di Cave, Push The Sky Away del 2013, anche se, proprio per il suddetto motivo, non può ovviamente avere la stessa potenza volta al radicale cambiamento. Carnage è ciò che era Push The Sky Away ma al tempo stesso non può esserlo semplicemente perché quest’ultimo arrivò quasi inaspettato a dipingere un volto che non ritenevamo ancora possibile.

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Con lo scorrere del disco, si noterà un graduale affievolimento dell’intensità, una minore potenza a favore di litanie cui ormai Cave ci ha abituato e questo sarà un elemento che potrebbe turbare qualche ascoltatore, desideroso di maggiore enfasi e minore introspezione eppure, considerando il momento della sua vita, la scelta di sciogliere l’intensità a favore del “racchiudimento in sé” col passare dei minuti, ci sembra l’unica strada percorribile per dare al disco un senso che altrimenti non avrebbe.

Arrivati a White Elephant vi sembrerà quasi che il disco sia giunto alla conclusione e che ciò che resta non sia che una lunga outro, ma coi successivi ascolti riuscirete a comprendere meglio il perché di tutto questo. La violenza e l’aggressività sonica che si liquefanno danno l’idea della tempesta emotiva che deve attraversare l’anima di un uomo giunto agli ultimi anni della sua vita, dopo aver perso un giovane figlio, un uomo che passa dalla rabbia, alla disperazione, alla catatonia, alla speranza quasi bramata come unica salvezza. Per mettere in musica tutto questo, Cave sembra ripercorrere, anche stilisticamente, la sua vita artistica ed è uno dei motivi per cui se nelle prime tracce vi sembrerà di ricordare il primo Cave, alla fine riconoscerete l’ultimo.

Servirà uno sforzo per farlo, perché in realtà il disco non ha stacchi tanto netti e le similitudini col passato, recente o remoto che sia, andranno di pari passo con scelte a suo modo originali. Il disco si apre allo stesso modo legandosi al Cave di tanti anni fa eppure seguendo la linea dell’ultima traccia di Ghosteen e questo è solo un esempio perché lo svilupparsi di Hand Of God riuscirà anche a mostrarci un Cave che non riusciamo a ricordare.

Il dolore e la ricerca della pace interiore hanno un peso enorme solo per chi vive tutto questo, un peso in grado di far sparire la sofferenza dell’umanità tutta e, alla luce di quanto sta accadendo nel mondo, la pandemia si farà solo cornice della sua personale condizione, in una sorta di accentramento individualistico tanto cristiano quanto umano. Le parole messe nere su bianco non sono il risultato di lunghe riflessioni ma considerazioni di getto influenzate solo in parte dall’attualità come nel caso di Balcony Man (inutile spiegarvi) ma comunque sono parte dell’insieme, testi capaci di evocare sensazioni senza raccontare troppo e spogliarne la vera essenza.

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Qualcuno ha definito Carnage il suo racconto personale della pandemia in atto; a me, tutto questo suona piuttosto come il flusso di coscienza di un uomo al cospetto di Dio nel momento in cui inevitabilmente la sua mente tende a ripercorrere la sua intera vita, confuso da quanto gli succede intorno e  consapevole che la sua ricerca di pace terrena è sempre più vicina al confine con la pace celestiale.

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Last modified: 2 Aprile 2021